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 2013  ottobre 22 Martedì calendario

LA FACCIA INVECCHIATA DI ANTONIO MARTELLO TRADITO DALLA SUA PROFEZIA


In questo Paese va che i vincenti trovano aedi dovunque e sui perdenti piovono polpette di guano. Con una eccezione: Antonio Conte. Quando trionfava non lo sopportava nessuno; domenica, avendo perso, ha smosso qualche corrente di empatia. In me, per lo meno. Per due anni e rotti ogni volta che la telecamera lo andava a cercare lo trovava in piedi davanti alla panchina, ossessionato, in piena trance agonistica. Sgranati gli occhi, spalancata la bocca, frementi le narici. Gridava, incitava, pretendeva. Il braccio proteso indicava qualche millimetro quadrato di campo che Lichtsteiner non aveva dissodato. Nella geometria apparentemente perfetta di Pirlo scorgeva, furioso, un calcolo infinitesimale che andava arrotondato. Sul tre a zero esigeva furore, bandiva pietà. Guai ai vinti e guai ai vincitori. Con Antonio “Martello” eran comunque e sempre guai. Calci alla vita e a chi l’edulcora. Dategli l’inferno. Dategli la bolgia. Dategli giocatori che escano dal campo come unni da un saccheggio.
Poi, nell’attimo più bruciante che fuggente di Fiorentina-Juventus, al quarto gol viola, passa sugli schermi un’immagine che meriterebbe il replay: Conte è attonito, la bocca chiusa gli si piega, gli occhi rinfoderati sembrano sul punto di disgregarsi nel pianto, dalle narici non passa aria. Tace, fissa, implode. Le braccia sono distese lungo i fianchi. Pirlo gli ricorda una stagione trascorsa e così la banda che non faceva prigionieri. In quell’attimo Conte invecchia di un’età. Affranto, si frantuma. Autoprogrammato per la vittoria, quella veemente, non era pronto alla sconfitta violenta: quattro colpi in quindici minuti. Non era pronto? È dalla scorsa estate, addirittura dallo scorso campionato, un attimo prima della preparazione di ago e filo per cucire lo scudetto, che lo va dicendo: così non ci sarà domani, solo questo magnifico oggi che però, vedete, è già ieri. Nell’istante in cui si pietrifica Conte ha davanti a sé una visione lungamente evocata: la profezia che si autoavvera. Solo che quando accade non ci credi neppure tu. Per scaramanzia non bisognerebbe mai fare niente del genere: lo dici e subito l’universo si mette al lavoro per adeguarsi. Soprattutto, sei tu che ti dai da fare, consapevole o no, per realizzare la tua previsione. Certo, se ti aiutano è tutto più probabile: qualsiasi oroscopo diventa quello del giorno dopo. Ti serve un cannoniere là davanti. Va bene che segnano tutti, ma uno da venti gol ti risolverebbe molte partite, quando lo schema diventerà usurato. Un Lewandowski, un Higuain, un Suarez. Ti prendono Llorente (come non fosse bastato Bendtner). Al terzo allenamento Conte aveva già capito molto, se non tutto. Gli avrebbe assegnato il destino che riservò a Krasic. Invece eccolo, titolare a Firenze. Ininfluente. Altro allarme: gli si sono allentate le fasce. Asamoah non copre, Isla non esiste, Pepe non recupera. Gli han ceduto Giaccherini (a otto milioni, giusto) e preso: nessuno. Occhio, la difesa è invecchiata, perché è invecchiato Buffon, ma vaglielo a dire: nell’anno dei Mondiali renderà inevitabilmente a singhiozzo, però giocherà sempre. Resta il centrocampo, il più forte d’Italia con quello, ritrovato, della Roma. Ammonisci Pirlo, punisci Vidal, prevendi Pogba. Te la stai cercando? Con tutto il rispetto, ogni volta che al posto di uno di questi gioca Padoin: signor Agnelli, c’è da spostare una macchina.
E tuttavia quel volto immoto di Antonio Conte, quel martello abbandonato nella fonderia vuota, può avere un significato molto più profondo di quello che gli è stato attribuito. Nell’interpretazione dei più l’allenatore guardava attonito la propria squadra incapace di reagire, uomini che non hanno più la fame di vittorie che li ha resi invincibili due anni fa, irraggiungibili l’anno scorso. Sorge il sospetto che trasmettesse invece il proprio immobilismo, l’impossibilità di inventare altro che un moto perpetuo con tre frangiflutti davanti al porto sicuro, un faro in mezzo al mare e l’onda che va. Il sospetto che il primo ad aver perso l’appetito sia proprio Conte. Sa che in Europa difficilmente arriverà primo e in Italia deve faticare solo per ripetersi. Ma stavolta non basta ripassare la stessa musica, bisogna riscriverla e l’orchestra andava registrata. Oppure, doveva andarsene il direttore. L’han detto in tanti: gli allenatori martello duran due anni, dopodiché ogni oggetto è un chiodo, fisso nel muro. È, anche questa, una profezia che rischia di avverarsi. Poi, magari e invece, pianta quattro colpi al Real Madrid.