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 2013  ottobre 22 Martedì calendario

SENZA PATTO RCS PUÒ RISOLLEVARSI MA CI VUOLE UN RIMPASTO IN CDA NESSUN SOCIO DEVE COMANDARE


[Diego Della Valle]

Dottor Della Valle, alcuni azionisti di Rcs Mediagroup hanno deciso di sciogliere il patto di sindacato che esisteva dal 1984. Lei da molto tempo si è dichiarato contrario a questo tipo di accordi, ora che cosa dice?
«Con una presa di coscienza di azionisti vecchi e nuovi, anche se non tutti, si è capito che con il patto non si andava da nessuna parte. È finita questa idea di gestione medievale, anche se con molti anni di ritardo, e ora l’azienda ha l’opportunità di essere gestita pensando ai risultati e alla creazione di valore per gli azionisti. Vedremo se ne sarà capace».
In futuro come verranno prese le decisioni chiave dell’azienda? Dovranno esserci cambiamenti nella governance?
«Come in tutte le aziende quotate. Credo che ora sia opportuno chiedersi se il cda attualmente in carica sia espressione degli azionisti rilevanti che ci sono oggi, e allo stesso modo se c’è fiducia nell’amministratore delegato. Dopodiché occorre capire se il piano industriale che si sta portando avanti sia veramente efficace e il migliore possibile per poter far uscire la Rcs dalla difficile situazione in cui si trova. Terzo, occorre garantire l’indipendenza e l’autonomia del Corriere della Sera dall’influenza di qualsivoglia socio».
Ha intenzione di rientrare personalmente a far parte del cda ?
«Non sono disponibile a rientrare in alcun organo. Come azionista rilevante ritengo che il cda vada rivisto, mantenendo alcuni membri che hanno le caratteristiche di reputazione e indipendenza, mentre qualcun altro, che non possiede queste caratteristiche, deve prenderne atto. Servono altre persone competenti, oltre a quelle che ci sono già, e qualche “ciambellano” in meno».
Chi vorrebbe sostituire?
«Credo che l’inserimento di qualche personaggio che conosca bene questo mestiere e abbia una visione internazionale sia necessario, anche per supportare l’ad. Per quanto riguarda Scott Jovane, leggo che non sarebbe da me gradito: non è così, i nostri rapporti sono cordiali anche se, come è noto, io non considero adeguato il piano da lui preparato. La sua permanenza alla Rizzoli sarà decisa dai risultati che porterà a casa e non dalla vicinanza a questo o a quell’azionista».
John Elkann ha appena promosso la nascita di un Advisory board con personalità di spicco del mondo dell’editoria. Non crede sia sufficiente?
«Il cda dovrebbe focalizzarsi solo ed esclusivamente su quello che serve a mettere a posto i conti. Se poi qualcuno, avendo tempo libero, ha voglia di incontrare a colazione esponenti della stampa internazionale, non vedo nulla di male. Importante sarebbe invece se alcune persone esperte di media volessero entrare in cda portando contributi veri allo sviluppo del gruppo».
Dunque secondo lei, dopo il ricambio in cda e la fiducia al management, occorre rivedere anche il piano industriale?
«Io dissi pubblicamente che il piano industriale non era adeguato, vedremo nei prossimi mesi l’andamento del business e, sulla base dei risultati che saranno ottenuti, faremo tutti le valutazioni necessarie. Nel frattempo, bisogna stare molto attenti a non preoccupare il mercato con operazioni non utili a Rcs come quelle con altre parti correlate ».
Per parti correlate intende La Stampa che è di proprietà della Fiat la quale è anche il primo azionista di Rcs con il 20,5%?
«Sento voci preoccupanti su ipotesi di accordi tra i due gruppi che sarebbero disastrosi per Rcs. Pertanto chi tenterà operazioni di questo tipo se ne assumerà la responsabilità, anche a livello personale. Rcs ha già pagato alla Fiat il pedaggio Fabbri, operazione che non ha certo fatto bene a Rizzoli, e nessuno pensi che si possano riproporre cose simili».
E nella Rcs senza patto chi dovrà decidere le operazioni di carattere strategico?
«Da questo momento in poi è bene che le operazioni strategiche rilevanti vengano sottoposte al vaglio di chi ha investito molto nell’azienda. Credo nella logica delle decisioni condivise, e per molti azionisti oggi è importante solo che il gruppo sia ben diretto e che crei valore ».
A suo parere basteranno questi interventi per rimettere in carreggiata la Rcs?
«Rimane comunque il grande errore di come è stato gestito l’aumento di capitale. Noi lo abbiamo contestato, anche legalmente, e ne chiederemo conto anche nelle sedi opportune, ma la Rcs si porterà dietro la scellerata gestione di quell’operazione. Invece di portare a una ristrutturazione di un debito che doveva risultare più leggero, ha destinato soldi alle banche e non allo sviluppo. Operazione costata centinaia di milioni ad alcuni azionisti ».
E ora come giudica l’andamento del business in casa Rcs?
«Purtroppo non vedo al momento prodotti nuovi e interessanti da proporre al mercato. Vede, io vengo da una scuola che impone, nei momenti di crisi, uno sforzo maggiore da parte delle aziende per proporre prodotti innovativi che devono cercare di intercettare l’interesse dei clienti, in questo caso lettori e investitori pubblicitari. Inoltre in azienda non c’è certezza sul futuro per i continui malumori tra i soci. Mancano stimoli, le persone sono demotivate, si naviga a vista senza entusiasmo».
Perché, voi soci importanti, non la smettete di litigare?
«Come è noto a tutti, in Rcs oggi vi sono due scuole di pensiero. Quella degli azionisti che vogliono aziende ben dirette e buoni profitti e quella ancorata a vecchi sistemi in via di estinzione, che vivono di relazioni, di posti da occupare e di rapporti da gestire tra di loro sotto al tavolo con il vezzo di voler fare credere a tutti, compresi i giornalisti Rcs, che sono loro a “controllare” il gruppo ed il Corriere».
A chi si riferisce esattamente?
«E’ evidente. Ma oltre a questo ci sono fatti positivi. Basta guardare all’atteggiamento di Mediobanca e Fonsai e anche di altri azionisti che hanno fatto dichiarazioni contrarie ai patti per capire che il futuro della Rcs ci sarà solo con un’azienda solida e i conti a posto. Oggi nulla potrà prescindere dal tener conto che Rcs è quotata in Borsa e appartiene al mercato».
Secondo lei Elkann e Bazoli non gradiscono questo modello?
«Mi pare che aver tentato di ricostruire un patto e non esserci riusciti è la risposta chiara di come molti azionisti la pensino. Le azioni si contano e non si pesano, per comandare in un’azienda devi avere la maggioranza, senza scatole o patti tra persone che investono poco di tasca loro».
Ritiene che l’era Bazoli al Corriere della Sera sia finita?
«Premesso che non vi è nulla di personale, dico che visti i risultati e la condizione di Rcs oggi, l’era Bazoli al Corriere sia da considerarsi finita, per fortuna. Se l’azienda oggi è in queste condizioni è prevalentemente colpa sua, anche se non solo sua. È finita anche l’epoca di Bazoli banchiere; sarà sempre più imbarazzante per chi lo sostiene giustificare il suo modo arcaico e miope di operare. Mi auguro che ne prenda atto il prima possibile e decida da solo di farsi da parte. Banca Intesa ha ottimi manager pronti a sostenere lo sviluppo di una grande banca; bisogna dare loro fiducia».
Ha intenzione di crescere nell’azionariato Rcs visto che Mediobanca ha annunciato di voler vendere il suo 15%?
«Premesso che, vista la capitalizzazione, non sarebbe un impegno gravoso, ho sostenuto invece mesi fa che sarei pronto a fare, se tutti fossimo d’accordo, un passo indietro invece che uno in avanti, a patto che ci sia qualcuno che faccia l’editore puro e che, investendo quanto serve, si occupi del gruppo. Se ciò, come sembra, non è possibile allora ogni altra valutazione e decisione dovrà essere fatta al momento opportuno».
Quanto ha investito nella Rcs?
«Compreso l’ultimo aumento, oltre 200 milioni. Credo che oggi siamo gli azionisti che hanno investito di più in questa azienda e gli ultimi sforzi non li abbiamo fatti pensando al profitto, ma in un’ottica di protezione dell’azienda e della sua indipendenza da appetiti che consideriamo pericolosi».