Massimiliano Chiavarone, Corriere della Sera 22/10/2013, 22 ottobre 2013
AMLETO, PRIMO UOMO MODERNO
«To die, to sleep. / To sleep, perchance to dream. Ay, there’s the rub, / For in that sleep of death what dreams may come / When we have shuffled off this mortal coil / Must give us pause. There’s the respect / That makes calamity of so long life». («Morire, dormire. / Dormire, forse sognare. Sì, qui è l’ostacolo, / perché in quel sonno di morte quali sogni possano venire / dopo che ci siamo cavati di dosso questo groviglio mortale / deve farci esitare. È questo lo scrupolo / che dà alla sventura una vita così lunga»).
Lo afferma Amleto, nell’omonima tragedia shakespeariana, prima scena atto terzo, quando credendosi solo e invece spiato dal re e da Polonio, declama il suo celebre monologo che assume il carattere di riflessione universale sul senso della vita e della morte. Sul desiderio di giustizia e la volontà di combattere per ottenerla. E se ciò è giusto o sbagliato. È questo il primo titolo de Il grande teatro di William Shakespeare , 14 dvd che il «Corriere» ripropone per godersi le migliori opere del Bardo. Un omaggio a William Shakespeare (1564-1616), uno dei più grandi drammaturghi di tutti i tempi, di cui l’anno prossimo ricorrono i 450 anni dalla nascita. Da più parti, però, si è registrato un fenomeno che è diventato un’emergenza. Shakespeare è poco conosciuto a quella umanità anagraficamente più giovane. I suoi titoli, le sue trame, le sue idee, i suoi personaggi sono a loro distanti e addirittura ignoti. Che fare? Certo la scuola, innanzitutto, è chiamata a correre ai ripari, insegnando Amleto e La Tempesta , le sue tragedie e commedie, poesie e sonetti. Alcuni, nel tentativo di colmare il divario, anzi voragine tra generazioni, hanno pensato di proporre versioni semplificate di questo genio del teatro, selezionando le opere e i passi, le scene più significative e i personaggi più rilevanti, in edizioni ridotte e sintetizzate.
Addio dunque a quel sistema di metafore e allegorie, figure retoriche e doppi sensi, riflessioni sulla vita compiute attraverso il linguaggio che solo i testi di Shakespeare nella loro interezza possono dare. A questo punto ci si chiede. Cos’è la verità? Se non, citando Nietzsche in Verità e menzogna , «un esercito mobile di metafore, metonimie, antropomorfismi, in breve una somma di relazioni umane che sono state sublimate, tradotte, abbellite poeticamente e retoricamente, e che per lunga consuetudine sembrano a un popolo salde, canoniche e vincolanti: le verità sono illusioni, delle quali si è dimenticato che non sono che illusioni e metafore». E appunto è solo la conoscenza completa di una frase, di un pensiero, di un’opera teatrale di Shakespeare che ci permette di individuare le illusioni della vita coperte dalle parole, per smascherarle. Solo così si intende appieno perché Amleto parlando a Rosencrantz dice: «Non c’è niente che sia un bene o un male, ma è il pensare che lo rende tale». Leggere, quindi, i testi di Shakespeare, seppure, in base alle condizioni di partenza, anche attraverso la mediazione della traduzione, diventa tempo «per pensare a sé», per superare le barriere del linguaggio, andare al di là del testo e conoscere meglio se stessi, gli altri e il mondo che ci circonda, permettendo, come Joseph Conrad, in tempi diversi, aveva intuito straordinariamente, di far penetrare l’oscurità della vita nella lingua stessa, scardinandone le convenzioni, rompendo quel brillìo luccicante delle parole con le pause e le esitazioni amletiche.
Le tragedie e le commedie di Shakespeare, i suoi versi e le parole messe in bocca ai suoi personaggi, non sono solo questione di stile. Quelle frasi racchiudono stratificazioni di vissuti profondi che portano chi legge a riflettere e ripensare alle proprie esperienze. A diventare interprete di quella terra di mezzo in cui realtà e finzione si mescolano. Anzi Amleto si trasforma anche in un progetto di critica, commento e traduzione collettiva. È il caso di The Global Hamlet , in cui attraverso una piattaforma web chiunque potrà inviare la traduzione di un verso, l’aggiunta di una nota o l’illustrazione di una delle scene della tragedia. Ogni contributo sarà poi selezionato da una ristretta cerchia di esperti per arrivare alla messa a punto di un testo finale. Dunque applicare l’intelligenza collettiva all’arte, complice Amleto, il personaggio che apre la porta ai tempi moderni, perché introduce quell’approccio alla vita fatto di razionalità pervicace e ossessiva.
Il suo «essere» rivolto all’azione e il «non essere» che è inazione e morte, ma che diventa cifra testuale di un’alienazione poi di portata storica, di un potente e anticipatore squarcio sulla crisi della contemporaneità, in cui si cronicizza la percezione di una realtà complessa e sfuggente, ambigua e inesorabile. Siamo fatti di tubi piccoli e grandi che attraversano il nostro corpo, vasi che trasportano liquidi e fluidi, sangue e umori, la vita che alimenta se stessa nel suo eterno scorrere. Quel sistema di canali si trova, in modo speculare, anche all’esterno, in quei numerosi filamenti di cui il caso ci avvolge ogni giorno.
Un mistero che si traduce in fatti che accadono o in riflessioni che ci capita di fare. Ecco la lingua di Shakespeare nel suo alveo originario ricalca quel flusso ininterrotto che dentro e fuori di noi è il segno della vita. Quelle parole devono essere assorbite diffondendosi da quel conio quanto più possibile vicino al concepimento primigenio per vedere quei bagliori che illuminano il senso dei fatti, dell’esistenza, dell’inizio e della fine di ogni cosa. È dunque la lingua stessa, il testo completo di Shakespeare che ci parla abbattendo qualsiasi barriera temporale, mettendo sullo stesso piano l’uomo del Seicento e quello di oggi, sempre alle prese con gli eterni tumulti della vita.
E il cinema ha saputo fare propria questa lezione con interpreti di valore assoluto da Laurence Olivier con un Amleto cupo e romantico e all’opposto Kenneth Branagh nel suo monumentale film di quattro ore in cui dà vita a un eroe energico ed eccessivo che naufragherà nella conclusione di un’epoca. Da ricordare anche le interpretazioni di Ian McKellen e Ethan Hawke. Amleto ha poi ispirato Akira Kurosawa ne I cattivi dormono in pace (1960), Claude Chabrol con Ophélia del 1962 e Tom Stoppard in Rosencrantz & Guildenstern sono morti , vincitore del Leone d’oro a Venezia nel 1990.