Giacomo Valtolina, Corriere della Sera 22/10/2013, 22 ottobre 2013
LO STUDENTE ASSO DEL BASKET CHE HA TRAVOLTO UNA FAMIGLIA
Il rumore dello schianto, i corpi che spariscono lontano scagliati dal cofano dell’auto, oltre 20 e 50 metri più in là. E tutto che cambia in un istante. «Non ho visto niente, ho sentito solo un botto violentissimo, all’improvviso». Roberto Andrea Luciano, 28 anni, sta andando a prendere la fidanzata in stazione. Finita la partita di pallacanestro, doccia a casa, si mette al volante esce dal posteggio imbocca Viale Famagosta. Semaforo verde, alla sua sinistra corre un’aiuola spartitraffico, senza protezioni, quei new jersey, che poco più in là conducono la strada giù verso un tunnel. Poi il botto, l’anteriore distrutto, Roberto inchioda cento metri avanti. Scende e si volta, a terra il corpo di una donna. Incinta. L’altra vittima, un bimbo di 4 anni verrà scoperto solo un’ora più tardi. Come un mantra disperato, dice «Non ho visto niente». Tutto cambia. E ora Roberto è indagato per omicidio plurimo colposo.
Il giorno dopo la morte di una giovane egiziana, Magda Niazy Sehsah, di 28 anni, della piccola che da 7 mesi aveva in grembo e del figlio di 4 anni, Roumando detto Yassè, la voce di Roberto, al citofono, è sconvolta. Rimbomba nei cortili silenziosi del palazzo popolare. Mattoni rossi e fatiscenza. L’aria è spettrale sui casermoni, Roberto cerca pace dopo una notte terribile. Prova a dimenticare quell’attimo che gli ha cambiato la vita. «Non avevo mai fatto un incidente, mi sento malissimo, non oso immaginare cosa provi il marito e padre delle persone che ho investito». Non era né ubriaco né sotto effetto di droghe, Roberto, l’hanno provato i test. Solo un «bravo ragazzo», laureando in Scienze biologiche, impiegato in laboratorio clinico, sportivo semiprofessionista che gioca a basket in una squadra di Serie C. Che vive a poche centinaia di metri da quell’angolo che ricorderà per sempre.
Chiede di lasciarlo tranquillo, «meglio contattare i miei avvocati», Agostino Rubelli e Giorgia Gatto. «Come poteva evitare l’incidente?» dicono, «quello è un incrocio maledetto». E infatti, ieri mattina, ancora i pedoni attraversano in quel punto senza strisce, ma con un sottopassaggio snobbato. Non c’è pioggia né buio né foschia, come domenica, ma nonostante l’illuminazione a giorno, solo l’idea di attraversare fa paura, tra le due carreggiate di entrata e uscita dal tunnel e di salita e discesa dal cavalcavia che conduce in tangenziale. Ma ancora ci sono quelli che passano, incuranti dell’incidente che poche ore prima ha spezzato una famiglia. Agli agenti di polizia locale impegnati nei rilievi sotto gli occhi del comandante Tullio Mastrangelo, i passanti chiedono: «Com’è possibile lasciare aperto un attraversamento così rischioso», dove la velocità è alta, nonostante il limite a 50 km/h? E se dal Codacons parte il j’accuse al Comune per la mancanza di autovelox, il buon senso dei vigili riconosce: «Basterebbe una siepe o una protezione per impedire il passaggio dei pedoni».
Le due facce della tragedia ruotano intorno al luogo dell’incidente. L’abitazione del marito e padre delle vittime ha una distanza speculare rispetto alla casa della famiglia Luciano. Solo che è vuota. L’uomo, Orabi Emad Gadalla Ghaly, un cuoco egiziano 35enne, è in obitorio, dove i corpi dei familiari attendono l’autopsia. Tornerà poco più tardi dal fratello, stretto ai parenti e ai cugini, la famiglia rimasta, la comunità copta ortodossa in un piccolo appartamento tra panni stesi e l’italiano che stenta. Piangendo, gridando, scagliandosi al suolo. Chiedendo al cielo un mare di perché. Dal suo consolato hanno contattato l’avvocato Domenico Musicco dell’Avisl (Associazione vittime di incidenti della strada, sul lavoro e della malasanità): «Abbiamo offerto la nostra assistenza legale gratuita — spiega — ora bisogna però valutare anche la velocità dell’auto».
Giacomo Valtolina