Andrea Bonzi, l’Unità 21/10/2013, 21 ottobre 2013
EDICOLE, LA CRISI SILENZIOSA 12 MILA HANNO GIA’ CHIUSO
Bologna Dal 2005 ad oggi 12mila edicole hanno già abbassato le serrande, e altre 10mila rischiano di chiudere nei prossimi tre anni. È la fotografia di un intero settore a rischio, quella scattata dal sindacato Fenagi-Confesercenti, che ieri a Roma ha tenuto la sua assemblea elettiva.
CALO DI VENDITE
Un palco da cui il presidente dell’associazione, Giovanni Lorenzetti, ha lanciato l’allarme sull’ipotesi di aumento dell’Iva sui prodotti editoriali dal 4% al 22%: «Se questo incremento si dovesse tradurre in realtà, la rete di vendita sparirà prima della carta stampata. Mettendo a rischio un servizio essenziale – continua Lorenzetti – soprattutto in un Paese come l’Italia, dove il digital divide (ovvero la conoscenza e l’utilizzo della Rete, ndr) è ancora ampio».
«È a rischio anche il pluralismo dell’informazione garantito da giornali e riviste tradizionali, che offrono un “secondo tempo” di approfondimento sui temi più importanti, ancora non eguagliato dall’informazione online, di rapido consumo», insiste il numero uno di Fenagi. Per questo, il sindacato chiede lo stop all’aumento dell’Iva, il rilancio del ruolo dei rivenditori e gli incentivi per la creazione di una rete di edicole 2.0, per essere competitivi con le nuove tecnologie.
Ma per analizzare la crisi profonda delle edicole non si può partire dallo stato dei lettori italiani di giornali. I consumi di quotidiani e riviste, tra 2011 e 2012, hanno già visto un calo dei ricavi da vendita rispettivamente del 9,5% e del 6,6%. E anche per il 2013, gli operatori del settore parlano di un crollo annunciato, con 1 miliardo in meno di entrare complessive. «È un fenomeno a cui assistiamo da diversi anni considera Lorenzetti ma che ha subito una accelerazione a causa della recessione».
Già prima della stretta economica, i lettori italiani non erano tra i più accaniti, chiaro che la sempre maggiore scarsità di denaro a disposizione abbia finito per contrarre ulteriormente questo tipo di acquisti. Basta analizzare qualche numero.
Nel 2012 (fonte Istat) poco più della metà della popolazione (il 52,1%) ha dichiarato di leggere il giornale almeno una volta alla settimana: solo un terzo degli italiani sopra i 6 anni (il 36,7%) sfoglia i quotidiani almeno cinque giorni su sette. Dal 2007 il calo della quota di lettori è stato continuo, la diminuzione totale o pari a 6 punti percentuali. In termini assoluti, nei primi mesi di quest’anno si è ormai scesi sotto la quota dei 21 milioni di lettori di quotidiani. Va detto che internet ha trasformato le modalità di fruizione dell’informazione, ma in Europa l’Italia si colloca nella metà bassa della classifica.
EFFETTO DEVASTANTE
L’effetto sui giornalai – secondo i dati Finagi-Confesercenti – è stato devastante: nel 2005 si contavano sul territorio 42mila punti vendita, di cui il 71% rappresentato da chioschi e negozi promiscui, la rete tradizionale prima della liberalizzazione del 2001, mentre il restante 29% costituito da bar, tabaccherie, supermercati, distributori di carburanti e simili. Nel 2013, il numero complessivo di punti vendita si è ridotto a 30mila unità. E se le cose non cambiano, da qui al 2016, potrebbero chiudere altri 10mila chioschi, con una perdita secca di 20mila posti di lavoro: questi i dati diffusi all’inizio dell’anno, dall’altro sindacato di categoria, il Sinagi-Cgil.
BATTAGLIA SUI TERRITORI
Una sigla impegnata in queste settimane in una battaglia sui territori: a Modena, gli edicolanti hanno recentemente presentato un esposto al Comune contro le «difformità riscontrate» sul rispetto delle norme sulla liberalizzazione della vendita dei giornali. La richiesta alle amministrazioni locali (Modena è solo un punto di partenza) è di «sospendere le autorizzazioni alla vendita di quotidiani e riviste in attesa di una legge nazionale che regolamenti il settore e protegga la libertà di informazione garantita dalla Costituzione». Un appello per il quale il locale Sinagi aveva già presentato 5mila firme di cittadini.