Andrea Visconti, la Repubblica Affari & Finanza 21/10/2013, 21 ottobre 2013
FINANCIAL TIMES: “LA NOSTRA VETRINA ONLINE”
New York «L a sfida fra l’edizione cartacea e quella digitale è una partita chiusa. Ora la sfida è come vincere sui dispositivi mobili». A parlare è Rob Grimshaw, capo delle operazioni digitali del Financial Times nonchè direttore di Ft.com e guru nel mondo dei new media. Sono le sette e mezzo del mattino e Grimshaw arriva all’Harvard Club, una decina di isolati dalla sede newyorkese del Financial Times, pronto a parlare del suo argomento preferito: il sorpasso. Il quotidiano britannico ha più abbonati all’edizione online che non persone che ogni giorno lo comprano in edicola o lo ricevono in abbonamento: 350mila sottoscrittori a Ft.com contro 260mila copie di diffusione del leggendario giornale rosa. C’ è motivo di celebrare? «La crescita del digitale non è mai stata un modo per cannibalizzare l’edizione su carta. Ci ha permesso invece di espanderci in nuove aree. Mercati come l’Australia o il Canada, che per motivi logistici sono difficili da raggiungere, sono al quinto e sesto posto grazie all’edizione digitale. Abbiamo anche più abbonati in Brasile che non in Germania». Che sia più facile diffondere un prodotto digitale è evidente. Ma convincere la gente a pagare? «In un mese abbiamo oltre 12 milioni di persone che visitano il nostro sito. Altri siti per motivi pubblicitari annuncerebbero in modo trionfale di avere avuto 12 milioni di visitatori. Noi no. Per noi il modello è simile al commercio al dettaglio
dove quei 12 milioni non sono altro che passanti davanti alle vetrine. Solo una parte entra nel negozio, si guarda in giro per vedere quello che c’è. Poi un numero ancora più piccolo fa un acquisto. I nostri sforzi sono sempre rivolti a ottimizzare quell’imbuto». Come si convincono i passanti della vetrina digitale a entrare, curiosare e spendere? «Abbiamo fatto test su test per arrivare a scoprire che i teaser, gli strilli di un articolo, erano negativi per gli abbonamenti. Perché i nostri sono lettori intelligenti e un sommario scritto bene è sufficiente: non serve pagare per leggere il resto». Allora cosa si mette in quella vetrina digitale? «Siamo focalizzati sull’unicità dei contenuti perché nel complesso panorama digitale le notizie vengono da tutte le parti. Il valore aggiunto, che fa sì che la gente voglia abbonarsi, è la nostra interpretazione e analisi. Ci domandiamo: cosa possiamo aggiungere che la gente non è in grado di trovare altrove?» Contenuti unici, va bene. Ma come decidete quanto contenuto dare gratis e a chi offrirlo? «Abbiamo oltre cinque milioni di utenti registrati, persone che pur non essendo abbonati hanno fatto almeno un log-in a Ft.com. Di loro abbiamo indirizzo e-mail e alcuni dati demografici come ad esempio la professione e il codice postale. Sappiamo anche quali contenuti d’informazione preferiscono consumare. Questi dati sono una miniera d’oro. Anziché mandare una e-mail a macchia d’olio mandiamo un promo a gente che con tutta probabilità è interessata». I numeri vi stanno dando ragione. «Sei anni dopo l’introduzione del paywall gli abbonamenti sono più del 50 per cento del giro d’affari. Ancora nel 2008 la pubblicità era il 52 per cento dei nostri introiti, ora è il 39. Se mettiamo insieme tutti gli spazi pubblicitari del mondo gli editori raccolgono solamente l’1,5 per cento del totale. I social media prendono il 50 per cento, i portal circa il 15 e i motori di ricerca l’8 per cento. E’ uno stravolgimento del business model ». Colpa della tecnologia? «Quando cominciai a occuparmi di editoria digitale pensavo che la sfida più grande sarebbe stata tecnologica, invece è culturale. In un’industria dove il modello di business era rimasto identico per oltre un secolo era il modo di pensare che doveva cambiare. Per esempio il processo nei giornali era così radicato che le diverse squadre non erano abituate a comunicare. Perchè mai la parte editoriale avrebbe dovuto parlare con il settore abbonamenti? Per avere successo nel mondo digitale invece bisogna tirare giù tutte le barriere e non pensare che l’online riguardi sono una manciata di nerd che smanettano in un angolo della redazione. Penso che fra dieci anni pubblicheremo ancora l’edizione cartacea ma al suo fianco ci saranno sa il cielo quanti altri canali di distribuzione». Soprattutto i dispositivi mobili... «Il 50% dei nostri abbonati online accede col desktop, il 50% con dispositivi mobili. Fra questi metà accede col tablet, metà con lo smartphone. Ma è fuori dubbio che i dispositivi mobili sono la direzione in cui si sta muovendo il mondo, una rivoluzione ancora più profonda che non il passaggio dal cartaceo al digitale. La sfida è non solo come creare un prodotto avvincente per un dispositivo mobile ma anche come produrre pubblicità senza usare lo strumento del server che usa il tracking. Su un dispositivo mobile la pubblicità non può arrivare in modo sincronico. Sono convinto che gli editori non stiano facendo abbastanza per stare al passo con questa sfida».