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 2013  ottobre 21 Lunedì calendario

POSTE, IL SEGRETO DI SARMI DIRE DI SÌ AI GOVERNI E FAR CRESCERE IL BUSINESS


C he lavoro fa un impiegato delle poste? Portalettere e corriere espresso, ma anche bancario, assicuratore, promotore finanziario ed esattore delle tasse. Meno ovvio trovare cartolai, venditori di dischi e libri, gestori di telefonia cellulare e broker di energia, banchieri per il credito agevolato alle imprese del Sud (su mandato statale), uffici sostitutivi della pubblica amministrazione per il rilascio dei certificati più vari. Di alcuni mestieri poi non esiste nemmeno un nome in italiano come “service provider di servizi cloud per le imprese” o “esperto di cyber security”, ultimi arrivati in estate nell’amplissima offerta commerciale. E nemmeno quando il presidente Massimo Sarmi ha dato la sua disponibilità a investire 75 milioni in Alitalia la lista si è allungata, perché piloti e assistenti di volo tra i quasi 145 mila addetti del gruppo ce ne sono già un paio di dozzine. La Mistral Air fa volare sotto l’insegna giallo-blu del gruppo, indifferentemente pacchi, corrispondenza, ma anche i pellegrini verso i santuari europei e i turisti verso il Mar Rosso. Poste non è certo un “carrozzone” come dimostrano i suoi bilanci, ma di certo è un convoglio lungo, articolato e senza uguali tra le grandi aziende italiane e nemmeno tra gli ex servizi postali pubblici europei. Un ircocervo di cui pochi riescono a spiegare il successo: alternativamente ci si concentra sui livelli di qualità del servizio postale, o sulla sostenibilità e l’avvedutezza
della gestione del risparmio, sull’innovazione tecnologica, ma a sorpresa il grosso dei ricavi al momento arriva dalle assicurazioni sulla vita. Proprio la vicenda Alitalia ha dato fiato a chi da tempo si chiede: c’è un criterio in questo ventaglio così ampio di avventure imprenditoriali? Ne è certo il presidente Massimo Sarmi: «In realtà Poste sta solo inseguendo il proprio business storico, quello di movimentare informazioni, denaro e cose. La corrispondenza tradizionale, quella fisica, si riduce al ritmo del 10% annuo, abbiamo di fronte due possibilità, o ridurre l’azienda e il personale di conseguenza o cercare di capire dove quelle informazioni si spostano. Pensi ad un’azienda, o a uno studio professionale che lavorava con documenti fisici (raccomandate, bollettini per i pagamenti). Ora la sua comunicazione passa dai canali tradizionali a quelli elettronici, e viceversa. Ecco noi vogliamo offrire tutti quei servizi». Nella visione di Sarmi assume un senso industriale aprire Postemobile (primo gestore di corrispondenza a provarci nel 2007) e vendere 3 milioni di Sim, perché la sua non è un’invasione di campo rispetto a venditori di traffico telefonico. I minuti al cellulare sono comprati all’ingrosso e venduti con margini minimi, ma quei milioni di Sim sono collegate ad altrettanti conti Bancoposta o carte prepagate poste pay. La tecnologia trasforma il cellulare in una carta di credito da avvicinare semplicemente al Pos del negoziante. Risultato nei primi sei mesi del 2013, Poste Mobile ricava solo il 60% (100 milioni su 160) di fatturato dal traffico telefonico e il resto dai “servizi distintivi”. Dei miracoli della diversificazione o della cross fertilizationnelle sede dell’Eur ne potrebbero parlare per ore: Poste vita a giugno si era accaparrata una polizia su cinque tra tutte quelle stipulate in Italia, e incassato 6 miliardi di premi (dopo i 10 del 2012) con meno di 300 persone in organico. Anche se è ovvio che senza i 13.300 uffici postali (in costante, ma lento, calo) le polizze non arriverebbero a quei clienti che nemmeno le grandi reti di promotori delle assicurazioni concorrenti riescono a coprire. E così il ramo vita “crossfertilizza” le polizze danni, da tre anni in vendita con il marchio della casa. Oppure in ambito informatico, è sembrato naturale mettere in vendita alle aziende spazio nei server dei 7 data center del gruppo, uno dei network più estesi e più controllati d’Italia (lo ha fatto anche Amazon scoprendo che affittare spazio e capacità di calcolo rende di più che vendere oggetti). Usare quello che c’è a costi marginali più bassi e trasformandolo in nuove opportunità, è uno dei credo dell’ingegner Sarmi, che sui libretti e le oltre 11 milioni di prepagate Poste Pay ha costruito una banca vera e propria che dà molto fastidio agli altri istituti di credito. Ma ci sono anche aspetti meno affascinanti e più pragmatici dietro la ricetta del presidente delle Poste e che gli hanno garantito un regno decennale sull’ex monopolista, pregi apprezzati più di dieci anni consecutivi di utile (ora a un miliardo) e l’aumento del fatturato del gruppo da 14 a 24 miliardi, mentre la gestione tradizionale delle lettere non pesa più di 4,5. Sarmi ha passato indenne l’avvicendarsi di 6 governi perché raramente dice dei no pesanti: si è fatto carico dell’idea con echi degasperiani- meridionalisti di Tremonti di ricreare un mediocredito a lungo termine per le imprese del Sud con la Banca del Mezzogiorno; gode da tempo di un tregua con i sindacati che ottengono un mantenimento del numero dei dipendenti che non ha eguali tra le altre società privatizzate come Telecom o Enel anche a costo di trasformarli in cartolai, venditori di cellulari e altre professioni meno prevedibili. E il presidente non ha detto di no nemmeno a Letta quando gli ha chiesto di inventarsi qualcosa anche su Alitalia. La sfida è di quelle pesanti. Non finanziariamente, 75 milioni sono una briciola per una società che alla fine del 2012 aveva disponibilità liquide per 2,5 miliardi di euro (di cui la metà senza alcun vincolo) e una posizione finanziaria netta di poco superiore al miliardo. Però proprio sul trasporto aereo la ricetta di sfruttare l’esistente per ridurne i costi non ha funzionato. Mistral Air è tuttora uno dei pochi comparti della conglomerata che perde soldi, -1,8 milioni di euro di perdita operativa a giugno 2013 dopo una perdita di 8 UNA PICCOLA CONGLOMERATA ripianata nel 2012. Far volare la posta ogni notte lungo la penisola, frutta alla compagnia aerea 18 milioni di euro a semestre, pagati dalla capogruppo Poste. Il tentativo di riutilizzare equipaggi e aerei sul mercato charter fa crescere il fatturato, ma non abbastanza da rendere il business sostenibile. Dopo vari tentativi di riorganizzazione, la decisione ufficiale di mettere Mistral Air in vendita è arrivata in estate, l’idea era trovare un partner industriale che sviluppasse il business trasporto facendosi carico anche degli obblighi postali a prezzi vantaggiosi. L’alternativa era un compratore che lasciasse Poste con le mani libere di trovare un vettore esterno per le spedizioni nazionali e internazionali. Alitalia ha cambiato tutto e di fronte all’offerta “irrifiutabile” di entrare nelle vicende della Magliana, Sarmi ha messo Mistral Air in cima alla lista delle “possibili sinergie”. Lista che in queste settimane di lavoro frenetico si è allungata all’integrazione dei sistemi informatici, e all’offerta congiunta a livello commerciale (un marchio low cost, l’integrazione Millemiglia-Postepay- Poste mobile, le prime idee emerse). La scommessa è che il piccolo problema Mistral Air e il grande problema Alitalia si fondano creando una soluzione soddisfacente per tutti. Anche se la via d’uscita principale si chiama ancora Air France dove Poste diventerebbe il presidio nazionale in grado di rappresentare gli interessi del sistema-Italia ma anche l’inizio di una collaborazione privilegiata con uno dei più grandi vettori al mondo, anche nel cargo, risolvendo i problemi della logistica internazionale dove Poste è lontanissima dai grandi colossi globali del settore gli americani di Fedex e Ups o i tedeschi di Dhl. Un governo che punta alle privatizzazioni però potrebbe aver sacrificato all’emergenza Alitalia uno dei pochi asset veramente appetibili per una consistente dismissione. Quotare in Borsa anche solo la minoranza del business finanziario (Poste Vita e Bancoposta) può significare una capitalizzazione tra i 40 e 50 miliardi di euro, a patto però che tutte le particolarità della conglomerata Poste vengano percepite come un valore aggiunto e non come un elemento di rischio. Essere alla mercé delle richieste dei vari esecutivi-azionisti è un vizio italiano. Finora i contatti di Poste con il mercato finanziario europeo sono stati limitati: un’emissione da 750 milioni a giugno come parte di un programma di lungo periodo per circa 2 miliardi. I bond Poste, assenti sul mercato da 11 anni, sono andati a ruba e hanno una buona quotazione sul secondario, il 50% del collocamento è finito in mani estere. La settimana scorsa si sono aggiunti altri 50 milioni acquistati tutti da Allianz. Buoni segnali, ma vista la liquidità e le dimensioni di Poste non può essere considerato un vero giudizio. Quello, Alitalia compresa, è rimandato a quando si parlerà seriamente di quotazione.