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 2013  ottobre 21 Lunedì calendario

PERSI TRA LE FIAMME GLI ULTIMI SEGRETI DELLA SPIA MATA HARI


DAL NOSTRO CORRISPONDENTE BRUXELLES — Novantasei anni fa, due poliziotti francesi scrissero in un verbale di sequestro: «30 paia di calze, 8 corpetti, moltissimi biglietti da visita di ufficiali e diplomatici, 3 veli, 3 busti, costumi di scena, camicie da notte, 7 abiti da principessa, sottovesti, conchiglie mammellari…». Erano le cose personali di Mata Hari, «il serpente sacro» o «figlia di Visnù», spia internazionale, «cacciatrice di tigri». E l’altra sera c’era qualcuno di quegli indumenti, e decine di fotografie e lettere personali, in una stanza della casa che è stata distrutta da un incendio a Leeuwarden, cittadina della Frisia olandese: la casa natale di Margaretha Geertruida Zelle, l’agente segreto H21 o AF 44, appunto Mata Hari ovvero «Occhio dell’alba» in lingua malese.
Un rogo senza spiegazioni, secondo la polizia locale. Un giovane che aveva dato l’allarme è morto fra le fiamme, una dozzina di abitazioni vicine sono state raggiunte dal fuoco. E’ stata aperta un’inchiesta, per ora senza esito: quasi che, 96 anni dopo, l’ombra di colei che giostrò pericolosamente fra Germania, Francia, Austria e Russia, e fra schiere di ufficiali e banchieri dei 4 Paesi, abbia voluto dare un segno della sua presenza.
Leeuwarden è stata designata dalla Commissione Europea come capitale della cultura della Ue nel 2018, è un luogo pittoresco. Ma molti turisti vi arrivano solo per lei, l’olandese dalla pelle bruna. In città c’è una statua che la ritrae seminuda, E c’è appunto – anzi c’era — la casa natale, una palazzina occupata in parte da un salone di parrucchiere: ora resta in piedi solo la facciata pericolante.
Quella era la casa scelta dal padre Adam Zelle, ricco cappellaio e mugnaio, per la propria famiglia. Margaretha o «M’greet», come la chiamavano i suoi, vi trascorre una vita agiata fino ai 13 anni, quando il cappellaio va in bancarotta e la famiglia si sfascia. Allora, niente più passeggiate in carrozza. Ma la ragazza non è portata alla rassegnazione, vuole fuggire da quel grigiore.
A 18 anni risponde a un’offerta di matrimonio trovata sul giornale «Notizie del giorno». Sposa un ufficiale dell’esercito coloniale olandese, che la porta in Indonesia. Matrimonio tempestoso, e una doppia tragedia: un figlioletto che muore misteriosamente avvelenato; e una figlioletta che morirà di sifilide ereditaria. I coniugi si separano, «M’greet» fugge a Parigi. E lì inizia la sua vera vita. Sfrutta il suo corpo bruno, in un’epoca puritana lo mostra volentieri (ma non il seno, che considera troppo minuto). Sa danzare, si ammanta di favole: racconta di aver carpito i «segreti di Shiva» da bambina, nei templi dell’India, di avere una nonna principessa di Giava, di aver sedotto i marajà. Racconta di un torero che per amor suo si è lasciato uccidere dal toro, a Siviglia. Balla nei circhi e teatri d’Europa, anche alla Scala di Milano. All’inizio della grande guerra, uno dei suoi amanti ufficiali la arruola nello spionaggio tedesco. Ma lei «flirta» anche con i francesi, i russi, gli austriaci. E’ forse un doppio, triplo agente. Fino all’arresto. Va davanti al plotone di esecuzione con un cappello di paglia di Firenze, è ancora seducente. Rifiuta la benda sugli occhi e saluta con il capo i 12 fanti francesi che ha davanti. Otto di loro sbagliano, uno la colpisce a un ginocchio. E solo uno riesce a centrarla al cuore.