Massimo Mucchetti, L’Unità 20/10/2013, 20 ottobre 2013
PRIVATIZZAZIONI LA VERA STORIA
Enrico Letta ha annunciato a Washington l’intenzione di cedere parte di alcuni pacchetti azionari detenuti dal ministero dell’Economia e dalla Cassa depositi e prestiti. La stampa ha presentato la cosa come un piano di privatizzazioni che coinvolge Eni, Snam, Terna, Sace, Fincantieri e forse la costituenda società dell’Alta velocità ferroviaria. Si tratta di una presentazione impropria. Quanto il governo avrebbe intenzione di offrire al mercato non comporta alcuna privatizzazione. Lo Stato continuerebbe infatti a detenere, direttamente o tramite la Cdp, pacchetti azionari tali da consentirgli di controllare ancora tutte quelle imprese, sia pure con una minore interessenza economica.
Questa sequenza di operazioni va dunque valutata sotto cinque profili: a) la convenienza della vendita; b) la destinazione dei ricavi; c) l’effetto sulle aziende e sul loro rapporto con il Paese; d) l’effetto sul debito pubblico; e) le modalità di comunicazione. Vediamoli.
A) La convenienza della vendita si misura nel confronto tra gli interessi passivi risparmiati sulla quota di debito pubblico cancellata grazie a queste dismissioni e i dividendi che quei pacchetti azionari danno allo Stato e che domani daranno ad altri. Volendo, potremmo anche considerare l’attuale fase delle quotazioni in relazione a quello che l’azionista giudica il valore intrinseco del titolo. Ma lasciamo stare. Sarebbe materia opinabile.
Il futuro sta in grembo a Giove, il passato no. Nel 2012, l’Eni ha pagato 3,6 miliardi di dividendi. Il 4,5% dell’Eni che lo Stato possiede direttamente e che il governo vorrebbe vendere, incorpora una dote di dividendi pari a 162 milioni. Alle quotazioni correnti una tale dismissione può portare 3 miliardi. Il risparmio sugli interessi, calcolati sul Btp a 10 anni meno l’imposizione fiscale del 12,5%, sarebbe pari a circa 117 milioni. Nel 2012, Terna ha pagato 400 milioni di dividendi. Il 10% che la Cdp dovrebbe vendere, secondo le indiscrezioni riportate dal «Sole 24 Ore», rende 40 milioni. Gli interessi passivi netti risparmiati sarebbero pari a 26 milioni. Nel 2012, Snam ha pagato dividendi per 811 milioni. Il 10%, che dovrebbe essere destinato alla vendita, ne assorbe 81, mentre gli interessi passivi netti risparmiati non arriverebbero a 50 milioni. Siamo sicuri che convenga vendere?
Su Fincantieri, Sace e Alta velocità non è ancora possibile far di conto. Bisognerà vedere che cosa verrà proposto, quale perimetro aziendale, quanto debito incorporato, quali garanzie pubbliche. È certo però che, sia di Fincantieri sia dell’Alta velocità, non sono possibili pure e semplici dismissioni azionarie. La prima ha appena fatto un’acquisizione da 900 milioni a debito. Un aumento di capitale si impone. La Cdp potrà rinunciare all’opzione e magari vendere qualcosina, magari una volta dimostrato che l’acquisizione è andata bene. Una semplice vendita di azioni Fincantieri sarebbe irresponsabile. Le Fs hanno bisogno di soldi per reinvestire nel trasporto locale e interregionale. E pure nella rete, alla quale sono stati tagliati i ricavi per favorire la Ntv di Montezemolo. Non si può chiedere al gruppo Fs di cantar messa e portare la croce. Quanto alla Sace, la si potrebbe vendere in toto o in parte purché, come avviene in Francia e in Germania, lo Stato si mantenga garante. Diversamente, verrebbero assicurati solo i crediti arcisicuri, con i Btp alle spalle: le imprese ne soffrirebbero.
B) La legge 474 stabilisce che i proventi dalla vendita di partecipazioni dirette dello Stato vadano ad ammortamento del debito pubblico. I dividendi versati dalla Cassa depositi e prestiti, ancorché possano venire dalla dismissione di partecipazioni, possono essere ricompresi nelle entrate correnti. L’incasso pro debito pubblico era già avvenuto al momento della cessione delle stesse alla Cdp. Certo, Quintino Sella porterebbe anche questo ricavo a detrazione del debito pubblico. Ma ai governi attuali si possono chiedere miracoli?
C) La mera cessione di quote di partecipazioni nelle società infrastrutturali Terna e Snam sul mercato borsistico potrebbe non essere la soluzione migliore quanto all’incasso e quanto alla politica industriale del Paese. Mettere in una scatola questi pacchetti azionari e poi aprire la scatola a partner finanziari istituzionali esteri che condividano una strategia industriale di lungo termine potrebbe garantire meglio sui due piani. Sotto questo aspetto la Cdp sembra muoversi con più sagacia dei consiglieri del governo.
D) L’effetto di queste mosse sul debito pubblico è del tutto trascurabile. Nella rilevazione di luglio, il debito delle pubbliche amministrazioni era pari a 2.072 miliardi di euro. L’incasso teorico delle dismissioni azionarie fin qui ipotizzate sarebbe pari a 5 miliardi per le azioni quotate, mentre dall’Alta velocità, da Fincantieri e dalla Sace potranno arrivare tra i 3 e i 10 miliardi (a largheggiare su prezzi e consistenza dei pacchetti da vendere). Non vale la pena di calcolare le percentuali di incidenza sul debito pubblico. Meglio considerare gli impatti di tali dismissioni sulle capacità del governo di fare politica industriale e sui vincoli che ne derivano per le Autorità.
E) In questa partita il governo ha detto troppo non avendo ancora deciso niente di concreto. Di fronte a un presidente americano, che ha rischiato lo shutdown ed è tuttora serenamente padrone del 32% di Gm a cinque anni dal disastro Lehman, l’Italia non deve dare alcuna prova di mercatismo. Dal governo di un Paese dove cinque banche dominano l’intero mercato mondiale dei derivati e dove prosperano i nuovi monopoli del web, campioni di elusione fiscale, il governo italiano non ha bisogno di endorsement. Dopo di che, le parole di Obama fanno piacere, come fanno sempre piacere i complimenti di un amico. Con lo spread a 230, i conti pubblici correnti in ordine, un debito pubblico che è inferiore a quello americano (se si fanno bene i conti), non credo che Wall Street pretenda questo pugnetto di dismissioni, pomposamente dette privatizzazioni, per continuare ad acquistare le obbligazioni della Repubblica italiana, denominate in una moneta che (ahinoi...) macina record nel cambio con il dollaro. In particolare, il governo dovrebbe essere più cauto nelle dichiarazioni su quello che deve o non deve fare la Cassa depositi e prestiti. Eurostat ci guarda. E fin qui ha considerato la vendita dei pacchetti Eni, Snam e Terna alla Cassa come privatizzazioni... Vogliamo farla ricredere e riportare gli antichi e meno antichi incassi nel debito pubblico?