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 2013  ottobre 20 Domenica calendario

IL BUON MAESTRO NIETZSCHE


Che cosa bisogna intendere con questa frase scritta da Camus nel 1954: «Devo a Nietzsche una parte di quello che sono»? Sappiamo ormai che gran parte dell’opera e del pensiero del filosofo trova le sue radici nella fedeltà all’infanzia. Qual è allora quest’altra parte libresca che viene rivendicata come fondatrice? Camus filosofo nietzschiano è un’avventura raccontata pochissimo! Capiamo benissimo però come per questo pensatore della radicalità immanente Nietzsche possa funzionare da antidoto a Hegel. Meglio La gaia scienza nietzschiana che la dialettica hegeliana della Fenomenologia dello spirito. Evitiamo ogni malinteso e spieghiamo subito cosa significa essere un filosofo nietzschiano. Il luogo comune d’una storiografia un po’ dubbia assimila piattamente l’essere nietzschiano con l’essere Nietzsche. Questa stupida valutazione presuppone che un nietzschiano abbia l’obbligo di assumersi in prima persona la totalità dei pensieri di Nietzsche e di diventare un docile ripetitore di quanto il filosofo tedesco ha scritto, dal primo all’ultimo libro. Seguendo tale ragionamento, per essere nietzschiani, bisognerebbe riciclare i pensieri di Nietzsche su Socrate e sull’ideale democratico, adorare Wagner e poi detestarlo prima di preferirgli Bizet, restare affascinati da Schopenhauer e poi un giorno smettere e iniziare a superare il suo nichilismo, credere alla teoria del l’eterno ritorno, sottoscrivere il meccanismo ontologico del superuomo, praticare un’identica critica riguardo all’ideale ascetico giudaico-cristiano, assimilare il socialismo al cristianesimo in quanto ideologia del risentimento eccetera. Ma è ridicolo.
In effetti, dove si trova il corpus da venerare? Nietzsche è andato avanti, ha bruciato quello che detestava, ha strappato alcuni dei libri che una volta adorava, ha creduto che l’Europa avrebbe potuto salvarsi grazie all’opera di Wagner e poi ha appiccato simbolicamente il fuoco a Bayreuth, rimpiazzando il compositore della Tetralogia con un Epicuro riscaldato al sole di Portofino e di Rapallo, prima di far nascere il proprio profeta e di farlo accompagnare da un’aquila e da un serpente. Bisogna rifare la stessa strada dell’autore di Così parlò Zarathustra e ricalcare tutti i sentieri che lui ha tracciato? In Della virtù che dona, uno dei capitoli dello Zarathustra, Nietzsche scrive: «Si ripaga male un maestro se si rimane sempre scolari». Un bravo maestro insegna a distaccarsi, mappa il reale ma non scrive il cammino. Lascia invece che sia il discepolo ad assumersi il compito di scriversi la propria strada in un universo che hanno cartografato insieme. Il tempo della relazione con il maestro coincide con quello della compilazione degli atlanti e dei portolani, e il tempo che viene dopo continua in realtà questa relazione perché ci si trova su una strada che viene cercata nei pressi di quella vecchia. In questo senso, Nietzsche è stato per Camus un buon maestro.
Essere nietzschiano non consiste quindi nel pensare come lui, ma nel pensare a partire da lui. Detto con altre parole, nel ragionare tenendo presenti le sue scoperte fondamentali e contando sulle sue analisi e sulle sue osservazioni: la rigorosa e fondata diagnosi del nichilismo europeo; l’invito a oltrepassare l’ideale ascetico del cristianesimo di matrice giudaica; la proposta di nuovi valori e di nuove possibilità per l’esistenza; l’ontologia radicalmente immanente; la passione per la filosofia presocratica greca; l’opera di distruzione di tutta la metafisica occidentale a profitto d’una fisica della volontà di potenza; il timore di fronte al crescere d’un socialismo che si è dissetato alla sorgente del nichilismo e che si è nutrito di passioni tristi; la predilezione per la luce mediterranea contro le nebbie del Nord; il pensiero non ottimista, non pessimista, ma tragico; l’invito alla vita filosofica; l’arte di pensare al di fuori dell’istituzione universitaria; la figura del filosofo-artista; il concetto di dolore inteso come occasione di forza (il famoso «quel che non mi uccide mi fortifica» della Gaia scienza) e tante altre idee architettoniche d’un pensiero estraneo alle istituzioni. Camus ama lo stile di Nietzsche: lo stile del suo pensiero, lo stile della sua esistenza, lo stile della sua scrittura, lo stile della sua vita.
Sui suoi otto Taccuini, le citazioni dal filosofo abbondano: sui greci, sul dolore, sullo stile del Seicento, sulla morale nel senso dei moralisti, sulla tenerezza, sulla vita filosofica, sull’amor fati, sulla pazzia, su Lou Salomé, sugli artisti come uomini religiosi, su Genova, sulla malattia, sulla solitudine, sull’eterno ritorno, sull’amore per la vita, sulla casa e sulle strade di Torino, sul teatro, sul bordello di Leipzig, su Wagner e su Burckhardt, sull’incendio del Louvre, sul progetto di dieci anni di silenzio e di meditazione, sull’elogio di Napoleone, sulla speranza di essere seppellito in maniera pagana a Röcken.
Tutte queste citazioni, tutti questi rimandi, tutte queste note danno vita a un autoritratto da nietzschiano. Un autoritratto in frammenti. Se ci preoccupiamo di definire il nietzschiano come chi fa di Nietzsche non tanto un fine da copiare quanto un inizio da superare, allora Albert Camus fu uno dei grandi filosofi nietzschiani del Novecento, forse addirittura il più grande. Lontano dall’oscura mole dei corsi tenuti da Heidegger a Friburgo, agli antipodi rispetto al Deleuze che rilegge La volontà di potenza alla luce sinistroide del Sessantotto o rispetto al Derrida che ne decostruisce sistematicamente i testi e gli archivi senza preoccuparsi della vita filosofica o delle glosse con cui gli universitari hanno ingarbugliato un pensiero chiaro fino al loro intervento, Camus ha preso Nietzsche sul serio, come un saggio che invita a vivere da nietzschiano. Da qui, la citazione del filosofo tedesco consegnata in epigrafe al settimo quaderno, quello che raccoglie i pensieri annotati tra il marzo 1951 e il luglio 1954: «Colui che ha concepito qualcosa di grande deve anche viverlo». Un’eresia, per gli universitari.