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 2013  ottobre 20 Domenica calendario

DALLA TRISE AL FLOP SUL CUNEO IN 72 ORE SETTE TESTI DIVERSI E ORA LA MANOVRA È DA RISCRIVERE


Erano partiti già con una gomma bucata. Nella conferenza stampa tenuta durante una pausa del consiglio dei ministri di martedì 15 ottobre, il premier Enrico Letta se ne rese conto e mise le mani avanti: «Il 2 ottobre eravamo impegnati in un rodeo; correndo, oggi siamo arrivati qui, l’impianto potrà essere modificato in Parlamento». In realtà la crisi, scatenata da Berlusconi, preoccupato delle sue grane giudiziarie, un vantaggio l’aveva procurato: il 1° ottobre era scattato per inerzia, senza che il governo potesse assumersene la paternità, il temuto aumento dell’Iva fino al 22 per cento che nessuno voleva. Per il 2015 significavano 4 miliardi in meno da cercare.
Nonostante l’insperato vantaggio la situazione era critica. La battaglia delle sentinelle anti-tasse, come definisce i suoi il vicepremier Alfano, aveva logorato per mesi esecutivo e maggioranza e aveva comportato una continua frizione sui conti pubblici: del resto c’erano ancora da trovare più di 2 miliardi per cancellare l’ultima rata Imu di quest’anno. Altre montagne di richieste si affastellavano sulla scrivania del ministro dell’Economia Saccomanni.
Con questi presupposti è partito il tour de force della legge di Stabilità 2014: sette testi, uno diverso dall’altro, in circa 72 ore. Un articolato ogni dieci ore. Ecco come è andata e perché ora si pensa di riscrivere quasi tutto.

LA PARTITA TRUCCATA DEL CUNEO
La parola d’ordine è cuneo fiscale, per rilanciare i consumi. Il 2 ottobre, nel suo intervento in Senato nel pieno della crisi, Enrico Letta alimenta le speranze: «Conla legge di stabilità punteremo ad una riduzione del carico, su lavoratori e imprese». I sindacati lo chiedono, la Confindustria pure. Le aspettative crescono, le risorse disponibili, invece, di pari passo, calano. Si auspicano 10 miliardi (lo fanno la Confindustria e Angeletti della Uil), circolano indiscrezioni per cinque. Ma alla fine ci sarà solo un miliardo e mezzo, la famosa pizza pro-capite. E’ così che nelle 72 ore che vanno dalla circolazione dei primi testi della sera dell’11 ottobre all’ultimo testo semi-ufficiale, che data le 22,03 del 16 ottobre, speranze e illusioni si accendono e si spengono. Per i modesti redditi di 15 mila euro inizialmente si prevede un bonus annuale che va dall’ipotesi minima di 112 euro ad una massima 221. Dopo un estenuante braccio di ferro il testo finale sceglierà la via intermedia: 172 euro, 14 euro al mese. E scatenerà ironie e rivolte.

BEATRICE E LO SCOGLIO DELLA SANITÀ
«Mi batterò come una leonessa», aveva annunciato giovedì 10 ottobre, cinque giorni prima del consiglio dei ministri, Beatrice Lorenzin, titolare della Sanità, del Pdl. Nessuno le aveva dato molto credito: decisa, loquace, combattiva nei talk show delle prime ore del mattino, ma non certo un peso massimo. Invece nel consiglio dei ministri del 15 ottobre ha dato battaglia. Argomenta: cinque miliardi di tagli sono impossibili, tanto più che si sommerebbero ad altri 5, già stabiliti in passato, previsti per il prossimo anno. Significa chiudere le sale operatorie. La mano di «Bea» si vede già dai testi del preconsiglio del 13 ottobre dove alla sanità viene dedicato solo un titolo, peraltro prontamente cancellato in rosso dal revisore world. Passano poche ore e un colpo di mano rigorista introduce invece i tagli nel testo che entra in consiglio: 2,6 miliardi. Tanto basta per far di nuovo imbufalire la Lorenzin, che alla fine la spunterà. Alle ore 17 del 15 ottobre, giorno della riunione del governo, i tagli scompaiono. Sono restati in vita 24 ore.

FASSINA E LE SENTINELLE ANTI-TASSE
Le coperture, a torto a ragione, si riducono. Gli occhi sono puntati sul cuneo fiscale, sulla telenovela, Imu-Iva, ma in realtà c’è la questione delle rendite finanziarie che bolle. Si punta a portare la tassazione almeno al 22 per cento dal 20 attuale. Il viceministro dell’Economia, Stefano Fassina, si batte fino all’ultimo (alla fine, deluso, minaccerà le dimissioni) ma il Pdl alza un muro impossibile da superare. La tassazione sulle rendite esce dal menù. Il giorno dopo Alfano si definirà «sentinella anti-tasse ». Ma visti i risultati su Iva, Imu e cuneo, la sentinella ha protetto solo il fortino di Piazza Affari.

SACCOMANNI, LA RGS E L’ULTIMO CATENACCIO
L’impressione che si trae scorrendo l’uno dopo l’altro gli ingombranti file, è quella di ripensamenti, indecisioni e di una sostanziale difficoltà ad operare. Qualche errore formale viene evitato all’ultimo minuto. Si spiega che la squadra è nuova e tutta da rodare. Alla guida della Ragioneria generale c’è Daniele Franco, sta lì da cinque mesi viene da Bankitalia. Al posto del contestato Vincenzo Fortunato, capo di gabinetto storico di tutti i ministri del Tesoro degli ultimi anni, oggi c’è Daniele Cabras: è stato segretario della Commissione Bilancio della Camera dei deputati ed ora è al suo banco di prova. Alla fine quando il «team» del Tesoro ha capito che Bruxelles con questa Finanziaria ci avrebbe preso per le orecchie ha tira il freno a mano con violenza: una nuova clausola di salvaguardia prevede in caso di mancato raggiungimento dei risparmi previsti il taglio-catenaccio delle detrazioni fiscali (per intenderci, spese sanitarie, mutui, assicurazioni) per 10 miliardi a regime nel 2017 (3 nel 2015, 7 nel 2016). Un’altra stangata che è piaciuta poco ai membri del Pd al governo.

L’IMU E LE SUE TRE SORELLE
La vera ossessione degli ultimi mesi, la maledizione postuma di Berlusconi che con le tasse sulle casa vinse le elezioni nel 2008. Per mesi al centro del pressing del Pdl e oggetto della promessa di «superamento » da parte di Enrico Letta, l’Imu è stata una delle spine della legge di Stabilità. Dopo averla chiamata per settimane service tax al momento del varo sono spuntati dal cilindro del governo tre acronimi irritanti: Trise, Tasi e Tari. Purtroppo tutto fa pensare che c’è il rischio che faranno rimpiangere l’Imu perché costeranno di più.
Non è un caso che da più parti ora si invochi la «riscrittura ».