Sergio Romano, La Lettura, Corriere della Sera 20/10/2013, 20 ottobre 2013
I NUOVI POPULISMI POSSONO DISGREGARE L’UNITÀ DELL’EUROPA?
Anche nei Paesi in cui il sistema elettorale è tradizionalmente maggioritario, il voto per le elezioni europee sarà proporzionale. Nel 2009 questa scelta, resa necessaria dal trattato di Amsterdam del 1997, ha avuto l’effetto di modificare la geografia elettorale della Gran Bretagna. Il partito della destra nazionalista e antieuropea (United Kingdom Independence Party) non è rappresentato alla Camera dei Comuni, ma ha conquistato 13 seggi a Strasburgo con una percentuale di voti (16,5%) superiore a quella dei laburisti (15%). Il suo leader, Nigel Farage, non siede a Westminster, ma può parlare al suo popolo da Strasburgo e attaccare l’Europa dall’interno del suo cuore parlamentare. Anche il partito di Marine Le Pen, pasionaria dell’antieuropeismo gallico, compenserà largamente a Strasburgo la sua assenza a Palazzo Borbone, sede dell’Assemblea nazionale della V Repubblica. Secondo gli ultimi sondaggi il gruppo parlamentare del Fronte nazionale al Parlamento europeo potrebbe essere più numeroso di quelli del Partito socialista e del movimento gollista. Lo stesso accadrà verosimilmente nel caso di altri partiti della famiglia «populista» europea. Con la proporzionale l’Europa offre ai suoi avversari più rappresentanza di quanta ne abbiano conquistata nel loro Paese. Esisterà dunque, dopo le elezioni europee del 22-25 maggio 2014, una coalizione dei partiti antieuropei in cui confluiscano anche il Partito della libertà austriaco, il Movimento per un’Ungheria migliore (Jobbik), i Veri finlandesi, i Demokraten svedesi, il Partito della libertà di Geert Wilders nei Paesi Bassi, il Vlaams Belang belga, il Partito del popolo danese, la Lega Nord e, forse, il Movimento 5 Stelle? Se questa coalizione verrà costituita, assisteremo a un fenomeno interessante. I membri della famiglia populista hanno tratti comuni. Con diverse sfumature da un Paese all’altro, non amano Bruxelles e la Banca centrale europea; sono convinti che le malattie dei loro Paesi debbano essere imputate all’euro; vogliono indire referendum sull’Europa e sulla moneta unica; considerano l’immigrazione una minaccia all’identità nazionale; vogliono «nazionalizzare» le politiche economiche; vogliono svuotare le istituzioni europee dei poteri conquistati dopo i trattati di Maastricht e Lisbona. Dicono le stesse cose in lingue diverse e potrebbero unirsi per scalare insieme le mura del castello europeo. Ma tutti dichiarano di volere l’«interesse nazionale» e scopriranno rapidamente che gli interessi nazionali sono spesso difficilmente compatibili. Saranno sempre disposti a dormire nello stesso letto o si divideranno non appena capiranno quanto sia difficile costruire una federazione degli egoismi? Toccherà ai partiti europei fare esplodere le loro contraddizioni. Vi riusciranno, tuttavia, soltanto se dimostreranno di avere, sulla costruzione dell’Europa integrata, gli stessi propositi. Forse gli storici diranno un giorno che il massiccio ingresso dei populisti nell’aula di Strasburgo ha reso l’Europa più unita.