Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  ottobre 20 Domenica calendario

VELTRONI: IL PD NON PUÒ CREDERE DI AVER GIÀ VINTO


Walter Veltroni, che fine ha fatto? Si è dato al cinema?
«Sì, sto girando un documentario che si chiamerà Quando c’era Berlinguer . Due grandi passioni della mia vita che si incontrano. Ma proprio per la distanza non fredda dalla politica quotidiana devo confessare una preoccupazione: temo si stia dando l’impressione che abbiamo già vinto le elezioni, e l’unico problema sia ripartire i posti del governo che verrà. Sinceramente, lo eviterei».
Perché dice questo?
«Perché vedo una certa leggerezza nell’affrontare la durezza di questo momento storico in Occidente, come se fosse una fase ordinaria. La politica dovrebbe analizzare tutti gli elementi di un passaggio d’epoca sconvolgente. Invece prevale dovunque la politica dell’istante, senza passato e senza futuro, proiettata nella polemica del giorno. Tutto è gridato, tutto è personalizzato, con la violenza di polemiche che per il solo fatto di esistere finiscono sui giornali».
È così da tempo, non crede?
«Sì, ma ora rischiamo di caricarci di una responsabilità storica molto pesante: sottovalutare l’effetto del combinato disposto tra recessione e crisi istituzionale. E questo non vale solo per l’Italia. Mi piacerebbe che si guardasse la situazione come dall’alto, per cogliere tutti i cambiamenti rispetto al ‘900. La recessione, che dura da un tempo tanto lungo dall’averci fatto dimenticare quando non c’era. L’invecchiamento di tutta la popolazione europea: oggi in Italia ci sono la metà dei bambini rispetto agli anni 70. Il mutamento della composizione delle società occidentali: la politica è ferma all’idea dei blocchi sociali consolidati, statici, mentre ora durante un’esperienza di vita si cambia orizzontalmente e verticalmente, si cambiano lavori e condizioni sociali, più a precipitare che a crescere. L’assedio di una società a copertura totale e permanente della comunicazione, con l’elevatissimo grado di condizionamento che la gigantesca rete comunicativa comporta su ogni discorso pubblico».
Non vorrà dire pure lei che si stava meglio negli anni 70.
«No. La società di oggi potenzialmente ha dentro di sé tutte le risorse per essere la migliore delle società possibili: non ci sono mai stati un così lungo periodo di pace in Occidente, tanto sapere diffuso, tanta tecnologia, tanta lunghezza della vita. Ma le rivoluzioni tecnologiche postulano la capacità della politica di saper trovare i nuovi equilibri. È stato così dalla rivoluzione industriale in poi. Oggi sento la difficoltà delle democrazie a governare una società strutturata come quella moderna. E se la democrazia non decide, muore. Lo si vede nel più consolidato dei modelli, quello americano: per la prima volta, quella democrazia si dibatte con la sensazione che non esista più, per dirla con Schlesinger, la “presidenza imperiale”. In Francia, nel totale disinteresse il primo partito è il Fronte xenofobo e antieuropeo di Marine Le Pen mentre appare in crisi l’esperienza di gauche traditionelle di Hollande. L’estrema destra cresce in Grecia e in Austria. La socialdemocrazia arretra in Germania e nei Paesi scandinavi. Alle prossime elezioni europee rischiamo di avere un Parlamento antieuropeo. E in Italia la destra, con tutto quello che ha combinato, è in testa ai sondaggi».
Perché, secondo lei?
«La sinistra è sempre andata meglio nelle fasi di espansione economica. Le fasi di recessione sono sempre state un’occasione per la destra. Si reagisce alla recessione su una linea di isolazionismo sociale e di disinteresse per gli altri. Prevalgono posizioni che tendono a difendere la propria condizione individuale, spingono all’odio verso gli immigrati, animano pulsioni di egoismo sociale, di superiorità identitaria. La mia paura è che si stia facendo strada nel nuovo millennio un modello diverso dalla democrazia, una forma semplificata di decisione politica, di cui Russia e Cina sono la testimonianza più evidente».
Insomma, la sinistra italiana ancora una volta dà la vittoria per scontata, mentre ovunque il vento tira dall’altra parte.
«La sinistra storica non è certo in una posizione di forza. Ma qui ci può essere per una volta la peculiarità italiana, in positivo. Un Pd che realizzi il miracolo di tenere insieme la capacità di parlare ai più deboli e di convincere le forze più dinamiche della necessità di cambiamenti radicali, un Pd che si rivolga all’intera nazione oggi potrebbe costituire una risorsa, l’unica possibile nel nostro Paese. Altrimenti il rischio è che prevalga un soggetto populistico e demagogico».
Sta dicendo che Grillo non è affatto fuori gioco?
«Per tutte le ragioni che ho detto, Grillo è un fenomeno politico tutt’altro che sconfitto. E pure la Lega può recuperare consenso. La politica di un certo tipo tende ad annusare la stagione, e il voto europeo, sganciato dalla necessità di formare un governo, tende a diventare un voto di protesta diffuso; non a caso Grillo ha preso posizione contro gli immigrati e contro l’Europa. Una parte del suo consenso è legato alla perdita dell’identità originaria del Pd. Per questo il Pd deve incarnare il bisogno di cambiamento che c’è nell’elettorato di Grillo, almeno nella sua parte di sinistra».
Come le sembra la campagna di Renzi?
«Penso che Renzi abbia l’ispirazione giusta, capisca che questa non è una fase ordinaria, sappia che l’Italia non può essere governata con palliativi paternalistici, ma ha bisogno di riforme radicali che scuotano i conservatorismi di ogni specie».
Cosa gli manca, invece?
«A Renzi ho detto, pubblicamente e privatamente, che deve trasferire al Paese l’idea di coltivare quella che per me è la parola-chiave della nostra stagione storica: profondità. Tutto in Italia è molto leggero, volatile, privo di radici e nello stesso tempo di prospettiva. Non basta mettere insieme pezzetti di programma; ci vuole una visione generale, un’idea dell’Italia. Quello che Renzi deve fare è ribaltare il modello di politica che la destra ha imposto nei toni, nei linguaggi, persino nella rapsodicità di un discorso pubblico di continuo spezzettato e contraddetto».
Le pare che questo Pd sia in grado di parlare a tutti gli italiani?
«Il Pd per me deve tornare a lavorare su quello che cercai di fare nel 2008: riscrivere il rapporto tra finalità e ideologia. La storia della sinistra italiana è stata grande perché legata a una storia di liberazione, di diritti, di riscatto. Il suo limite oggettivo è stato il legame storicamente determinato con l’ideologia. Dopo l’89 queste due cose potevano virtuosamente separarsi. L’impressione, specie negli ultimi anni, è che si siano perdute ambedue. Dobbiamo recuperare la sostanza dell’identità di una sinistra riformista: la battaglia per l’uguaglianza, nel senso che le attribuiva Bobbio; l’uguaglianza delle opportunità».
Nell’attesa, il Pd è considerato il partito delle tasse.
«Il Pd non deve essere il partito delle tasse. L’Italia non può reggere l’attuale pressione fiscale. Resto convinto che la strada sia pagare meno, pagare tutti. Il contrasto all’evasione e il calo della pressione fiscale devono andare di pari passo, insieme a una radicale riduzione della spesa pubblica. In Italia ci sono due tassazioni, una economica e una burocratica; e la seconda non è meno onerosa della prima. Tante imprese chiudono o non nascono perché sono oppresse dalle tasse e dalla burocrazia, fatta per consentire la corruzione. La lotta contro il conservatorismo passa da qui».
Intanto la sinistra torna a proporre la patrimoniale, cui pure lei si disse favorevole.
«La patrimoniale esiste in tutti i Paesi del mondo. Dobbiamo favorire meno la rendita e più la produzione e il lavoro. Occorre un riequilibrio, ma non in senso classista: oggi chiunque produca ricchezza deve essere parte della sinistra. L’operaio e il piccolo imprenditore sono la stessa cosa; altra cosa sono quelli che spostano la finanza. Mi fa piacere che Renzi abbia recuperato la citazione di Olof Palme che feci al Lingotto: la sinistra non è contro la ricchezza, è contro la povertà».
Aldo Cazzullo