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 2013  ottobre 20 Domenica calendario

LA BEFFA DEI 30 MILIONI PER FRANE E ALLUVIONI


Ma se il 62% delle frane d’Europa flagella l’Italia causando in media un miliardo di danni l’anno, come possiamo investire nella prevenzione la miseria di 30 milioni cioè molto meno di quanto è costato il centro benessere (mai aperto) finanziato dallo Stato a Bagnoli? Dobbiamo affidarci ancora a San Gennaro, alla Madonna di Loreto e ai cornetti di corallo? Non abbiamo fatto in tempo ad asciugarci le lacrime nel ricordo del disastro del Vajont, e tutte le parole solenni intonate dalle più alte autorità («mai più, mai più, mai più») sono evaporate nel nulla.

Ma è questo il modo di rendere omaggio alle vittime di quella strage provocata dall’insipienza, dalla sciatteria, dalla superficialità con cui fu trattata la natura? Non ci sono soldi per difendere oggi il fragile suolo nazionale, dice la legge di stabilità. Punto. Discussione chiusa. E la cosa pare non avere scandalizzato nessuno.
Eppure, come ricorda Ermete Realacci chiedendo al governo e alla maggioranza un radicale ripensamento perché «la messa in sicurezza del territorio è la sola Grande opera assolutamente indispensabile al Paese», la commissione Ambiente della Camera aveva votato all’unanimità (all’unanimità!) una risoluzione bipartisan, sottoscritta da tutti i gruppi politici, che chiedeva di fare finalmente molto, ma molto di più. A partire da uno stanziamento «pari ad almeno 500 milioni annui». Ne arriveranno 16 volte di meno.
Un azzardo. Perché i numeri ricordati nella risoluzione non dovrebbero far dormire di notte. In Italia, vi si legge, «le aree a elevata criticità idrogeologica (rischio frana e/o alluvione) rappresentano circa il 10 per cento della superficie del territorio nazionale (29.500 chilometri quadrati) e riguardano l’81,9 per cento dei comuni (6.633); in esse vivono 5,8 milioni di persone (9,6 per cento della popolazione nazionale), per un totale di 2,4 milioni di famiglie; in tali aree si trovano oltre 1,2 milioni di edifici e più di 2/3 delle zone esposte a rischio interessa centri urbani, infrastrutture e aree produttive».
Non bastasse, «la pericolosità degli eventi naturali è senza dubbio amplificata dall’elevata vulnerabilità del patrimonio edilizio italiano: oltre il 60 per cento degli edifici — circa 7 milioni — è stato costruito prima dell’entrata in vigore della normativa antisismica per le costruzioni e, di questi, oltre 2,5 milioni risultano in pessimo o mediocre stato di conservazione e, quindi, più esposti ai rischi idrogeologici».
Di più, «il progetto Iffi (Inventario dei fenomeni franosi in Italia), realizzato dall’Ispra e dalle Regioni e Province autonome, ha censito ad oggi oltre 486 mila fenomeni franosi, il 68 per cento delle frane europee si verifica in Italia. Inoltre, il ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, sulla base dei dati dell’Ispra, ha valutato che il costo complessivo dei danni provocati dagli eventi franosi e alluvionali dal 1951 al 2009, rivalutato in base agli indici Istat al 2009, risulta superiore a 52 miliardi di euro, quindi circa un miliardo di euro all’anno e, complessivamente, più di quanto servirebbe per realizzare l’insieme delle opere di mitigazione del rischio idrogeologico sull’intero territorio nazionale, individuate nei piani stralcio per l’assetto idrogeologico e quantificate in 40 miliardi di euro».
Ancora: «La gravità del problema appare altresì evidente, se si pensa che, a partire dall’inizio del secolo scorso, gli eventi di dissesto idrogeologico gravi in Italia sono stati oltre 4.000 e hanno provocato ingenti danni a persone, case e infrastrutture, ma, soprattutto, hanno provocato circa 12.600 morti, mentre il numero dei dispersi, dei feriti e degli sfollati supera i 700 mila».
E le cose, anche se la memoria collettiva pare avere già dimenticato i disastri e i lutti più recenti che hanno colpito al Nord e al Sud, da Vicenza a Giampilieri, da Soverato a Genova, vanno peggiorando: «Gli effetti conseguenti ai cambiamenti climatici in atto sono ormai tali che gli eventi estremi in Italia hanno subito un aumento esponenziale, passando da uno circa ogni 15 anni, prima degli anni 90, a 4-5 l’anno».
Ad essere a rischio sono anche moltissimi edifici pubblici. Spiega il rapporto Ance-Cresme sullo «Stato del territorio italiano nel 2012» che nelle aree ad elevata criticità idrogeologica (poi ci sono quelle esposte ai pericoli sismici) «rientrano complessivamente circa 6.800 edifici, di cui 6.251 scolastici e 547 ospedalieri». Particolarmente vulnerabile appare la situazione delle scuole in Campania dove a rischio di smottamenti, frane e alluvioni sono addirittura 1.017: un sesto di quelle italiane.
E siamo al tema: è meglio spendere più soldi «dopo», piangendo morti e dispersi, o è meglio spenderne di meno «prima» puntando sulla prevenzione? La risposta è ovvia. O almeno così la pensano, a parole, tutti coloro che hanno firmato in questi mesi mozioni sul tema. Dal forzista Renato Brunetta al democratico Roberto Speranza, dal montiano Salvatore Matarrese al vendoliano Alessandro Zan, dalla leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni al grillino Samuele Segoni… Insomma tutti, ma proprio tutti. Ma poi, al momento di stringere…
Gian Antonio Stella