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 2013  ottobre 19 Sabato calendario

«QUESTI MAGISTRATI HANNO UN POTERE

TERRIBILE» –

Un day after frenetico ma lieve. Silvio Scaglia, assolto con formula piena dal tribunale di Roma nell’ambito dell’inchiesta sul maxiriciclaggio di denaro per false fatturazioni telefoniche, sta per imbarcarsi su un aereo per Londra. E vola alto. «No, non è tempo di pensare a chiedere i danni per quello che ho subìto. È tempo invece di riflettere, di guardare avanti senza dimenticare». Scaglia il più dinamico imprenditore delle comunicazioni, della rete, un uomo capace di antivedere ha vissuto l’incubo di 80 giorni a Regina Coeli e di un anno agli arresti domiciliari per poi sentirsi dire dal tribunale: lei non c’entra nulla. Nel frattempo Fastweb creata da Scaglia che aveva dotato il Paese di un’infrastrutturazione unica, il cablaggio per la trasmissione telefonica via internet, ha avuto dei contraccolpi nel suo sviluppo. E oggi l’Italia che, grazie alle intuizioni e al coraggio imprenditoriale di Scaglia, aveva il primato nella banda larga è ultima in Europa. Sono anche queste le macerie di un’inchiesta che, almeno per quanto riguarda lui e Fastweb, «forse non doveva neppure cominciare » sussurra l’ingegnere, che ora si occupa di start-up e ha lanciato a se stesso, tra le tante, una nuova sfida: riportare in alto La Perla,uno dei brand più famosi del made in Italy.
Ingegner Scaglia, come si sente?
«Mi sono tolto un enorme peso. Sono sollevato. È la fine di un incubo che è durato troppo a lungo. È la vittoria in una battaglia che ho scelto di combattere e che forse non doveva neppure cominciare. Voglio ricordare che io sono tornato in Italia per farmi interrogare, per difendermi. Quello era l’unico modo che avevo e che io, peraltro, concepivo per dimostrare la mia innocenza. Ma è stato all’un tempo duro, troppo lungo e terribile combatterla, anche se non ho mai perso la fiducia nella giustizia. Devo dire che appena è cominciato il processo ho avvertito che la conclusione non poteva che essere quella che è stata: l’assoluzione . È la conferma della mia innocenza e la mia innocenza è la conferma della verità dei fatti».
Dunque non ce l’ha con i magistrati, non è arrabbiato?
«C’è un po’ di rabbia verso un gruppo specifico di pubblici ministeri. Questi magistrati godono di una discrezionalità assoluta, hanno un potere terribile anche perché il sistema di garanzie per l’imputato è debolissimo. Ma come ho già detto io sono tornato per difendermi dentro un tribunale, nel processo. Devo dare atto ai giudici che il tribunale ha avuto la forza di riconoscere i fatti».
Cos’ha pensato e sentito quando è stata pronunciata la sentenza?
«Che l’incubo era finito, poi ho ripensato ai giorni del carcere. E a quello che ho visto e vissuto. Le condizioni di sovraffollamento sono disumane, i maiali d’allevamento hanno più spazio di uno che sta nelle carceri italiane. In quelle celle ci sono migliaia di innocenti. Metà delle persone che stanno là dentro, in quell’inferno, sono in attesa di giudizio e metà di costoro vengono assolti. Ecco: sì, subito dopo aver avvertito che avevo vinto la mia battaglia, che mi veniva restituita la mia innocenza, ho pensato a chi sta ancora in carcere. E aspetta, in condizioni inumane, di vedere riconosciuta la propria innocenza».
Lei è la prova che la giustizia italiana è in parte malata. Si stima che il nostro sistema giudiziario sia una zavorra allo sviluppo economico del Paese e certo è uno dei maggiori ostacoli agli investimenti esteri. Lei che opinione s’è fatta?
«Io vivo da anni a Londra e per il mio lavoro sono continuamente in viaggio. Incontro moltissime persone nei più diversi Stati, molti imprenditori, molti uomini di affari che sono attratti dall’Italia. Però quando il ragionamento si sposta sulla possibilità d’investire nel nostro Paese, di fare affari in Italia si blocca immediatamente. Tutti gli imprenditori stranieri che incontro e con cui parlo sono fortemente preoccupati dal nostro sistema giudiziario sia penale che civile in Italia. E ciò che dico non è un’opinione è solo la cronaca fedele, starei per dire una testimonianza oculare, di centinaia d’incontri che ho avuto in questi anni in tutto il mondo».
Se ne ricava che ritiene indispensabile una riforma della giustizia.
«È indispensabile: bisogna dare certezze alle aziende che già sono in Italia e a quelle che desidererebbero investire nel nostro Paese. Io lo dico da imprenditore, sotto il profilo istituzionale e politico del resto ci sono persone molto più autorevoli di me che lo dicono, lo chiedono, lo dichiarano».
Torniamo a Fastweb. Quando lei la creò, il progetto era di dotare il Paese di una rete di comunicazioni che consentisse un prepotente salto in avanti. Lei è stato il primo a pensare alla banda larga e allora l’Italia era all’avanguardia. Oggi si scopre che siamo ultimi in questa infrastruttura. Pensa che questa inchiesta da cui lei è uscito completamente assolto abbia frenato lo sviluppo non solo di Fastweb, ma del Paese?
«Stiamo ai fatti. L’inchiesta che ha coinvolto Fastweb a momenti provocava la chiusura dell’azienda. Inchieste come questa di cui stiamo parlando generano dentro le aziende shock fortissimi, traumatici. Sono quasi mortali soprattutto in chi opera nel settore delle tecnologie più avanzate dove i tempi di progettazione sono lunghi, ma quelli di realizzazione devono essere rapidissimi e fluidi. Fastweb era in quel momento una delle realtà più avanzate dal punto di vista tecnologico e il progetto che stavamo dispiegando e cioè l’operare su fibra ottica per le interconnessioni, per la trasmissione dati e per la telefonia richiedeva che il lavoro procedesse spedito. Quell’inchiesta ha provocato un contraccolpo fortissimo. Ricordo che il socio svizzero, importantissimo, rimase shoccato non capiva, era impaurito. Questo avrebbe potuto determinare la fine dell’azienda».
C’è stato dunque un danno al sistema Paese?
«Non sta a me fare questa valutazione. So soltanto che con Fastweb l’Italia si era collocata in una posizione di avanguardia per quanto riguarda la connessione in fibra ottica e la banda larga. E so che la banda larga oggi è indispensabile per lo sviluppo di un Paese ad economia avanzata. Ho già detto che l’inchiesta provocò uno shock terribile, quasi mortale per l’azienda. Questi sono i fatti, le valutazioni le lascio a chiunque voglia farle». Il gate sta chiamando il volo. Silvio Scaglia è pronto al decollo. Libero, per volare alto verso altri orizzonti. “ .