Sergio Luciano, Milano Finanza 19/10/2013, 19 ottobre 2013
CHE OCCASIONE PERDUTA
L’alleanza con Air France non è la soluzione ottimale, ma ormai non c’è alternativa migliore che si possa ancora perseguire. Ed è un peccato, perché alcuni errori strategici commessi dalla cordata dei patrioti dopo il salvataggio del 2008 hanno compromesso le possibilità di successo che pure, all’epoca, c’erano.
Ne è convinto Giuseppe Bonomi, ex presidente e amministratore delegato della Sea ed attuale consigliere del ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi, per il piano aeroporti e del governatore della Lombardia, Roberto Maroni, per il progetto di fusione Atm-Trenord. Insomma, uno che di trasporti, aerei e logistica capisce, e molto.
Domanda. E allora faccia capire anche a noi, Bonomi: perché o l’Air France o niente?
Risposta. Chiariamo: io condivido chi pensa che Alitalia sia in un punto di non ritorno per la scelta del partner e che quindi, anche se Air France non era l’alleato perfetto, è l’unico oggi possibile. Però ha ragione Lupi nel dire che non siamo e non vogliamo essere la cenerentola della situazione, per cui come tattica negoziale è indispensabile riequilibrare la compagnia per trattare meglio.
D. Ma se i francesi sanno di essere indispensabili, per Alitalia ci sarà poco da trattare!
R. Beh, indubbiamente: l’aumento di capitale è stato deliberato all’unanimità, se Air France sottoscrive la sua quota di ricapitalizzazione la strada è segnata. Se invece dovesse ripensarci, si potrebbero riaprire alternative, ma io oggi non saprei quali potrebbero essere. Neanche all’ipotesi Ethiad mi sembra facile credere: perché mai Air France, dopo aver speso su quest’Alitalia parecchi soldi, dovrebbe oggi regalarla a Ethiad?
D. Dunque è vero che la compagnia ha ancora una sua appetibilità?
R. Ce l’ha il mercato italiano, perché ha grandi possibilità di crescita. E quindi Alitalia vale in quanto porta principale per accedere al mercato italiano.
D. Ma perché ci siamo ridotti così male?
R. Devo risponderle prendendola un po’ da lontano. Diciamo innanzitutto che il business dell’aerotrasporto è molto difficile e ingrato. Le quasi 200 compagnie che aderiscono alla Iata, nel 2013, perderanno soldi: 12,6 miliardi di dollari, nel loro insieme. Negli ultimi 60 anni, la redditività media delle compagnie aeree è stata appena dello 0,6%! Voglio dire che a gestire gli aerei va già bene se si pareggia. Detto ciò, come si sono mosse tutte le grandi compagnie aeree internazionali? Si sono dedicate ai voli intercontinentali, più redditizi, lasciando campo libero alle low cost per i voli a breve e medio raggio. E si sono attrezzate, per questo, inserendo in flotta molti aerei grandi, che Alitalia non ha. Se prendiamo come parametro l’aereo di linea più grande oggi in produzione, che è l’Airbus 380, Emirates ne ha 37 e ne ha ordinati 90; Lufthansa ne ha 12 e ne aspetta 19; Air France ne ha 10 e sta per riceverne 12. Aggiungiamo che il mercato dei voli redditizi si è ormai spostato lontano dall’Europa e quindi gli attori più forti sono ormai le compagnie asiatiche: Ethiad, Qatar Airways, Quantas, Singapore.
D. E perché Alitalia è rimasta così fuori dal gioco ricco?
R. Il famoso progetto Fenice del 2008 prevedeva sei basi operative in Italia, quando le dimensioni della flotta non ne consentiva più di una. Ed era del tutto sbilanciato sulla volontà di sviluppare il breve-medio raggio. Un errore strategico clamoroso.
D. Addirittura?
R. Ma certo, già nel 2008 era chiarissimo che il breve-medio raggio era già appannaggio delle low cost. Impossibile competere sul breve-medio raggio con aziende che hanno il modello di costi delle low cost. L’unica possibilità per guadagnare offrendo prezzi non competitivi rispetto a quelli delle low cost risiede nell’altissima rotazione degli aerei: che devono atterrare e ripartire nel giro di mezz’ora, appunto come fanno le low cost. Figuriamoci: gli aerei Alitalia restano fermi in aeroporto per ore_ Insomma, errori gestionali ne sono stati fatti, del resto la maggior parte del management della compagnia era rimasto al suo posto, quando il governo pilotò il passaggio ai privati.
D. Una critica al primo amministratore delegato Rocco Sabelli?
R. E’ stato bravissimo a tagliare i costi, tanto che al di fuori dal mondo delle low cost oggi Alitalia ha costri strutturali inferiori a quelli di Air France, e se arriva la ripresa, saprà meglio giovarsene. Ma quando il problema maggiore è che mancano i ricavi, com’è accaduto in questi anni di crisi, aver tagliato i costi può non bastare.
D. Insomma, la scelta fatta a suo tempo dai capitani coraggiosi di Colaninno, investire nella nuova Alitalia, lei non l’apprezza?
R. No invece, non solo non riesco a biasimarla, ma avendoli conosciuti, in particolare Colaninno, posso testimoniare che era animato da autentica passione per l’impresa. La mia delusione è stata indotta dalle scelte strategiche e gestionali che sono state fatte.
D. Non è che lei ha il dente avvelenato per il cosiddetto de-hubbing fatto da Alitalia su Malpensa, cioè la decisione di abbandonare lo scalo di Varese, che lei gestiva, per trasferire a Fiumicino la propria base operativa?
R. Una delle scelte sbagliate, ritengo indotta da un diktat francese.
D. Restiamo in tema di aeroporti, il suo pane. Cosa accadrà ai nostri scali, se Alitalia diverrà francese?
R. Niente di male. Uno dei grandi equivoci in cui è incorsa la politica italiana è stato quello di credere che le sorti di Alitalia coincidessero con quelle del trasporto aereo in Italia. Alitalia era ed è ancora importante, ma non incarna tutto il potenziale dell’aerotrasporto italiano, non è l’unica leva con cui sviluppare il rapporto con i mercati esteri. Per l’Italia è più importante avere buoni aeroporti, che una compagnia di bandiera. Ora, con la misura 39 del progetto Destinazione Italia e con il redigendo piano nazionale aeroporti, il governo ha deciso di completare il lavoro avviato dall’ex ministro Passera, con la sua ricognizione della mappa degli aeroporti italiani che, nella conclusione d’indirizzo, aveva auspicato il passaggio dai 47 scali censiti a 33. Inoltre va considerato che oggi in Italia solo 23 aeroporti superano il milione di passeggeri annui, livello al di sotto del quale è inevitabile perdere soldi, senza concrete o almeno rapide possibilità di recupero. Bisogna naturalmente preservare gli scali che, nelle isole, garantiscono la continuità territoriale. Ma per il resto occorre razionalizzare, con gli aeroporti strategici per le varie macroaeree del Paese.
D. Sembra già di sentirli, gli assessori locali espropriati delle loro macchine da voti!
R. Gli scali minori possono farcela solo a patto di specializzarsi: i city-airport, se hanno mercato; gli aeroporti merci; quelli specializzati in low cost. Comunque, il futuro Dpr sul piano aeroporti sarà preceduto dal confronto con gli enti locali nella Conferenza Stato-Regioni.
D. Per chiudere, torniamo ad Alitalia: cos’accadrà ora, secondo lei?
R. Che Air France riuscirà ad imporre la sua formula di integrazione, Poste o non Poste, e passerà al comando. Dettando condizioni severe, che noi dobbiamo cercare di negoziare e potremo riuscirci tanto meglio quanto meglio andrà, nel frattemo, la compagnia. E i francesi imporranno sacrifici alle banche, tagli all’organico e mano libera sulle strategie”.
D. Addio sovranità italiana su Alitalia?
R. Beh, le condizioni dei francesi saranno queste. E a me sembrano logiche, da punto di vista di chi investe.