Gianni Riotta, la Stampa 19/10/2013, 19 ottobre 2013
IL SINDACO DEI SUPER RICCHI HA CAMBIATO PELLE ALLA CITTÀ
Il mitico «A train» della metropolitana di New York, inaugurato nel 1936, è famoso per il classico brano jazz «Take the A Train», composto tre anni dopo l’inaugurazione, nel 1936 da Billy Strayhorn, sigla avvincente della band di Duke Ellington. «A train» ha visto gli italiani e i cinesi andare e venire da Downtown a Brooklyn, le gang dei dominicani muoversi su e giù da Washington Heights, i rabbini ortodossi creare siti web a Williamsburg, i geni asiatici della matematica pendolare fino alla Columbia University. Ha visto violenze, quando le bande dei «wolfpacks» derubavano i lavoratori esibendo il coltello come una carta di credito e quando il timido impiegato Goetz, nel 1984, ferì a colpi di pistola i ragazzi che temeva lo derubassero, diventando eroe per i lettori dei tabloid popolari «Daily News» e «New York Post» a Staten Island, e anatema per i liberali del «New York Times».
New York cambia pelle in fretta. Il meraviglioso grattacielo Pan Am, ispirato da Gropius e Belluschi, si chiama solo MetLife, la compagnia aerea delle affascinanti hostess in tailleur azzurro ridotta a serial tv. Altman, il grande magazzino che vendeva perfino autografi di Lincoln e Kennedy, è ricordo degli anziani. Vent’anni fa gli intellettuali piangevano la scomparsa delle librerie d’autore come Coliseum sulla 57esima strada, davanti al nobile Fisk Building delle agenzie letterarie, uccise dalle catene alla Barnes&Noble. Oggi al posto di B&N a Lincoln Center vendono i capi di abbigliamento scontati di Century 21: le signore russe benestanti arrivano all’ora di apertura e comprano l’intero scaffale di Armani, Brioni, Fendi, scontati 60-80% rivendendo poi i capi con un bel profitto. E le librerie B&N? Cedono il passo ad Amazon.
Su questa New York in perenne mutazione, ferita e ripartita dopo l’11 Settembre, ha presieduto il sindaco miliardario Bloomberg: non pittoresco come Koch, caro ai liberal come Dinkins, carismatico come Giuliani, ma alla fine apprezzato dalla città che ha fatto sopravvivere alla brutale crisi del 2008, capace di spazzare l’arroganza di Wall Street e milioni di posti di lavoro. Occupy Wall Street riempie allora le piazze, i giornali la scambiano per la Rivoluzione d’Ottobre, l’astuto Bill Clinton civetta: «Hanno fatto più questi ragazzi in pochi giorni che noi in anni». Bloomberg lascia affollare Downtown Manhattan dall’accampamento di «Ows», spinelli, tamburi, biblioteca ambulante, telecamere tv dal mondo. Quando i vicini si stufano, chiama la polizia e rimanda tutti a casa. Oggi di Ows restano pochi ragazzi con i capelli alla Bob Marley e cuccioli di cane malinconici, accampati a Broadway dietro Columbus Circle, in protesta sonnolenta contro un manager di Goldman Sachs che vive vicino.
Bloomberg rivendica ogni momento della sua amministrazione, le piste ciclabili e le biciclette a nolo, le bacchettate al potentissimo sindacato degli insegnanti, fino ai nuovi quartieri residenziali in progetto, e la rete di industrie informatiche di New York, avanguardie come Quirky che in stampanti 3D, e su marketing online degli utenti, decide quali modelli unici produrre. I critici non si accontentano. Per il settimanale «The Nation» Bloomberg è stato il sindaco dei ricchi che vivono nell’Upper East Side, stipendio medio annuo 177.200 dollari (135.000 euro), non dei poveri di Mott Haven e Hunts Point nel Bronx che si accontentano di 24.000 dollari l’anno.
Bloomberg saluta i suoi sostenitori con un bel party nella residenza del sindaco, sull’East River e ripete la sua filosofia. È stato democratico, poi repubblicano, ora indipendente, ma la pensa come Reagan: «I ricchi portano ricchezza, più ricchi lavorano e risiedono a New York più lavoro c’è». Jarrett Murphy, direttore del sito City Limits, replica che 1,7 milioni di newyorchesi vive sotto la soglia della povertà e l’1% dei ricchi in città controlla il 40% della ricchezza. Bloomberg scrolla le spalle: «La tecnologia distrugge il lavoro, non il mercato. Dopo il crollo della Borsa nel 2008 l’America ha recuperato solo 79% dei lavori perduti, New York il 300%». Vero, ma si tratta di lavori meno pagati, meno sicuri, con pensione e sanità incerte. Il sindaco si arrabbia, per lui il trend non è newyorchese, ma mondiale e il suo probabile successore Bill De Blasio «non ha idee e quando dice che aumenterà le tasse sa benissimo che non glielo faranno fare».
La New York di Bloomberg è la vecchia downtown Brooklyn diventata paradiso dei grattacieli, il quartiere chic di Dumbo, Times Square che ha perduto il fascino stile romanzo hard boiled di Hammett ma guadagnato il sorriso dei turisti. A Williamsburg, Brooklyn, gli ebrei tradizionalisti lasciano il posto ai ragazzi che ne stanno facendo, tra birrerie, gallerie d’arte e start up, il Greenwich Village vibrante e romantico del XXI secolo.
Anche sotto Bloomberg, insomma, New York resta New York. Il sindaco ha le sue megalomanie, «quando ho vietato il fumo in città tutto il mondo l’ha vietato» non accorgendosi di essere buon ultimo e ha cercato perfino di proibire bibite e pop corn al cinema, in un ingenuo tentativo di combattere l’obesità. I cittadini hanno sorriso, senza volergliene.
New York resta città di estremi, i ragazzini delle scuole private con tutor da 200 dollari l’ora, i ragazzini del ghetto con genitori che guadagnano 200 dollari la settimana. Ma sull’«A train», due giorni fa, ho aiutato un musicista a districare i cavetti del suo auricolare, annodati peggio che a Gordio. Quando gliel’ho restituito mi chiede: «Come ha fatto»; gli ho detto delle estati passate in Sicilia a «spirugghiare» lenze da pesca, ha riso e mi ha invitato al suo concerto.
New York 2013: potete violare la regola N.1 degli anni duri, mai guardare negli occhi i passeggeri in metropolitana, mai parlare loro, se volevate salva la pelle. E anche Bloomberg mantiene la prima regola di New York la chutzpa, la faccia tosta. A chi gli chiede cosa vorrebbe intitolato a suo nome a New York risponde: «Central Park non si può, vero?».