Ernesto Assante, la Repubblica 19/10/2013, 19 ottobre 2013
MARCO MENGONI “LA MIA BELLA VITA LONTANO DA SMARTPHONE E FACEBOOK”
«Non sono stato particolarmente attratto dalle tecnologie, non amo gli smartphone, non sono stato un grande utilizzatore di Facebook. Io rimango dell’idea che sia bello guardarsi negli occhi quando ci si parla e non essere dietro a uno schermo».
No, non è un anziano signore, magari appassionato del telefono a gettoni, che parla. È Marco Mengoni, 24 anni, divo del nuovo pop italiano, in grado di fare un tour in cui registra regolarmente il “tutto esaurito”.
Arrivato al successo dopo l’esordio a X Factor, vincitore del “Best European Act” agli Mtv Awards, trionfatore all’ultima edizione di Sanremo, Mengoni è un personaggio curioso, leggermente controcorrente per quello che riguarda il digitale, le nuove comunicazioni. «Ma non sono un anti-tecnologico», tiene a sottolineare, «il mio non è certo un atteggiamento snob. Anzi, capisco che le nuove tecnologie siano una cosa positiva per la comunicazione, e che servano a molte persone per vincere la paura di un faccia a faccia. Mi sto avvicinando sempre più, quindi, anche a queste cose, ai social network in particolare. Ma di certo non arriverò a stare collegato ore e ore, non mi diverte far sapere agli altri cosa ho mangiato oggi o far vedere la foto del solito gattino. Leggo, osservo, se ho qualcosa davvero da condividere scrivo, o segnalo una musica, una poesia, un libro. Con queste tecnologie sono un bradipo, mi adatterò, ma con lentezza...».
Mente? Può essere davvero così un ventiquattrenne italiano di oggi? Sembrerebbe di sì, almeno a giudicare i commenti di quelli che lo conoscono e lo frequentano di più, e che confermano il sostanziale rifiuto di Mengoni per la logica “always on”, sempre connessi. Un rifiuto che passa anche per il cellulare? «Beh, è evidente che oggi sia impossibile vivere senza ma non ne sono ossessionato. E molti si arrabbiano con me perché non rispondo mai ai messaggi. Se mi invitano a una cena per la stessa sera tramite un sms è molto probabile che a cena ci vadano senza di me...».
Mengoni è una star diversa dalle altre. Sarà il look, elegante e stravagante quanto basta per farlo uscire dal mucchio, sarà il suo modo di cantare, o più semplicemente l’età e le canzoni che canta, ma è impossibile confondere il giovane cantautore di Ronciglione con gli altri personaggi musicali della sua generazione. Lontanissimo dal rap, da certo linguaggio caciarone e a tratti becero, così come dal pop di consumo sempre uguale a se stesso, Mengoni sta cercando di scrivere la sua storia in maniera originale, di sicuro non copia colleghi più celebri, mentre cerca il magico e spesso irraggiungibile equilibrio tra il pop di consumo e la canzone più raffinata, tra il rock e la musica da classifica. Niente tecno, niente dance, niente dj in giro. «Ma non sono un passatista», tiene a dire, «anzi sono a favore della tecnologia, soprattutto se mi aiuta nel mio mestiere. Però per quello che riguarda la comunicazione, soprattutto sui social network, non riesco ad essere come molti miei colleghi. Leggo osservo, ma di scrivere banalità non me ne frega niente. Lo faccio se ho qualcosa davvero da dire, da condividere. Cose che abbiano un senso, un motivo».
Lontano da Facebook e Twitter, insomma, con i quali ha un rapporto «non ossessivo», ma vicino, anzi vicinissimo al pubblico: «È il rapporto con il pubblico che mi spinge a fare musica, suonare dal vivo è la cosa che ti fa andare avanti, ti rende felice di fare questo mestiere. Per me è la cosa più fica che c’è. Essere in studio per registrare va bene, è ovvio, ma dopo un po’ mi sento un po’ stretto. Invece quando suono dal vivo ogni sera è diversa, ogni concerto è come se fosse l’ultimo, non sai cosa succederà domani e quindi dai tutto quello che hai. Ogni sera quando salgo sul palco per me è l’ultima volta, e quindi cerco di dare tutto, di sgolarmi, di triturarmi le mani sulla chitarra...». Mengoni è sulla strada della musica fin da quando era molto giovane, ma il successo è arrivato tutto insieme, rapidamente, dopo l’edizione 2009 di X Factor, che ha vinto con la squadra di Morgan. «Ho iniziato come tutti, bussando a tante porte che, ovviamente, non si sono aperte. Poi X Factor e questa rapidissima corsa che mi ha portato dove sono oggi. È un mondo curioso quello che mi sono trovato ad affrontare, me l’aspettavo diverso, magari un po’ più buono, ci sono tanti meccanismi che non capisco, tanti disequilibri, e devi sempre stare attento a come ti muovi, a quello che fai. Non è come dieci o quindici anni fa, oggi la musica è vento, passa rapidamente, è un vento forte e veloce, devi fare in modo che non ti scompigli i capelli e basta». Dubbi, incertezze? «Tante, è ovvio, ma raggiungo anche picchi di felicità che non vanno sottovalutati. È una cosa sana dubitare di se stessi, e del lavoro che hai fatto. Se non avessi dubbi sarei già finito, non avrei limiti da superare, obbiettivi da raggiungere... ».
In questo “rifiuto” per le tecnologie è facile immaginare, allora, che Mengoni sia un fan dei vecchi padelloni neri, i dischi in vinile, scomparsi con l’avvento dei cd, e che non ami gli Mp3 e i download: «Amo il vinile assolutamente», conferma lui, «sono un fan dell’analogico. La differenza di suono è abissale, il calore è diverso. E io cerco questo calore in quello che registro, quel calore che da piccolo sentivo nei dischi di Billie Holiday. Il che non vuol dire che non scarico le canzoni di Billie Holiday su iTunes, ma che, se posso, ascolto i dischi in vinile. E poi penso che sia giusto che la musica nata per essere registrata in maniera analogica sia ascoltata dai dischi in vinile. La musica di oggi invece è pensata per il digitale, ed è giusto che venga ascoltata in un altro modo».
Un compromesso allora in favore della tecnologia odierna si può fare? «Si deve fare, io mica posso costringere la gente a comprare un mio album in vinile. Ma anche se il risultato finale è digitale, io registro ancora su supporto analogico, su bobine, come si faceva un tempo».
Il grande successo di Mengoni non è dovuto solo alla sua vocalità e alle canzoni, ma anche, moltissimo, al suo modo di stare in scena. Sfacciato o ammiccante, sensuale o drammatico, Mengoni interpreta le sue canzoni con trasporto, anche fisico. È curioso vederlo, invece, seduto al bar, parlare con voce bassa, senza la grande sicurezza che dimostra in scena. «Sono un timido, ancora. Mentre sul palco ho una buona dose di egocentrismo, sicuramente ne ho molto meno nella vita», dice. «Certo che mi piace essere in scena, sennò facevo un altro lavoro. Ma è anche vero che, anche se sembra banale dirlo, quando sono sul palco sono un altro. Quando sei lì hai una sensibilità diversa, ti accorgi e senti cose che normalmente non senti, ascolti gli altri musicisti, ascolti te stesso, senti come sta il pubblico, avverti quanta energia gira intorno a te, la musica scorre nelle vene. Sei un’altra persona, perché porti sul palco l’estremizzazione di quello che sei nella vita normale, è tutto amplificato, esasperato. E anche in questo capisci, rivendendoti, che tante cose non le controlli, sono istintive, altro che tecnologia, non c’è computer che tenga». Mengoni segue la lezione dei grandi, da Jagger a Bowie, passando per Renato Zero, e sembra un performer navigato, in grado di occupare il palco con consumata professionalità: «Sicuramente la memoria che ha il tuo cervello ti fa rimanere dentro tutto quello che hai visto e ascoltato. Quindi c’è Mick Jagger, o Marvin Gaye o Otis Redding, o De Gregori. Ma è come se fossi in un sogno, non decido io ma l’inconscio, anche nel modo in cui il corpo si atteggia e si pone. Sicuramente non c’è nulla di costruito, addirittura alle volte quando mi riguardo mi dà fastidio vedere certe cose che faccio».
«Non mi ritengo un artista, non lo sono. Sono sicuramente un impiegato della musica, non mi posso attribuire una definizione così importante. Sono un impiegato che dignitosamente fa il suo lavoro, al meglio delle sue possibilità. Certo che l’arte mi piace, mi attira, io vengo da un istituto d’arte, mi piace essere onnivoro, prendere esempio dagli artisti con la “A” maiuscola. Ma io per adesso sono solo un servo della musica, non posso fare altro, lei decide per me».