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 2013  ottobre 19 Sabato calendario

SECUREDROP, IL RIFUGIO DEI GIORNALISTI-DETECTIVE


È L’ULTIMO dono che Aaron Swartz ha lasciato, l’eredità di un combattente per la libertà d’informazione, per la libertà tout court. Suicida a ventisei anni lo scorso gennaio, hacker geniale che rischiava decenni di carcere: “Un eroe americano”, lo ha definito il blog del Washington Post. Prima di uccidersi, mentre era in attesa di processo, Swartz ha ultimato uno dei suoi progetti più ambiziosi.
Grazie a lui le gole profonde e i giornalisti investigativi ora hanno una “piattaforma protetta” per difendersi meglio dal Grande Fratello: che quest’ultimo abbia le fattezze dell’intelligence americana, o dei colossi digitali collaborazionisti della Silicon Valley. Si chiama SecureDrop, letteralmente una “cassetta delle lettere sicura”.
È gestita dalla Freedom of the Press Foundation: una Ong che ha come ragione sociale “la trasparenza nell’era digitale”. Teoricamente, SecureDrop è un luogo di asilo aperto anche ai dissidenti dei regimi autoritari, dalla Cina alla Siria, all’Iran. Per ora, però, si rivolge soprattutto al mondo anglosassone, è mirato esplicitamente contro la National Security Agency, la Cia, il Dipartimento di Giustizia Usa. È una tecnologia open source, libera da copyright privati. Oltre a questo sistema crittato, la Freedom of the Press Foundation offre assistenza tecnica e corsi di addestramento per giornali e reporter che vogliano installare SecureDrop, capire come funziona, padroneggiare i dettagli di questa tecnologia. È gratuita, la fondazione raccoglie donazioni su basi volontarie. Offre perfino di finanziare lei i media meno abbienti, inviando a sue spese un esperto, James Dolan, per tenere corsi di formazione nelle redazioni.
Il progetto nacque dalla mente fertile di Swartz: un genio informatico che già all’età di 14 anni era stato coinventore del codice Rss. Militante di molte cause, dalle battaglie anti-corruzione alla libertà di accesso ai segreti di Stato. Un ragazzo fragile, di certo schiacciato dal peso dei processi con cui il Dipartimento di Giustizia voleva sbatterlo in carcere per decenni. C’è un filo che lega Freedom of the Press a Wiki-Leaks, quest’ultima compare tra le organizzazioni “sorelle”.
Insieme però ci sono tante organizzazioni meno “provocatorie” nei loro intenti, e che godono l’appoggio dei media tradizionali. La differenza con i metodi di lavoro di Assange è la ricerca di un’alleanza con il mestiere antico del giornalismo, che WikiLeaks ha spesso bypassato. SecureDrop ha avuto un’accelerazione grazie al caso Edward Snowden, il cosiddetto Datagate. I suoi promotori si dicono allarmati per l’accanimento dell’amministrazione Obama contro le gole profonde che dagli uffici federali rivelano notizie riservate.
La “cassetta postale di sicurezza” è uno schermo che dovrebbe proteggere in qualche modo dallo Espionage Act, la legge usata dal Dipartimento di Giustizia per colpire chi fornisce segreti alla stampa. I media non sono tenuti a conoscere l’identità della fonte, a tutela di entrambe: anche se questo richiederà nuovi accorgimenti per verificare l’attendibilità e prevenire le manipolazioni. È da tempo che dei prototipi di SecureDrop venivano collaudati dai giornali americani, per esempio il settimanale The New Yorker.
La trasparenza assoluta naturalmente è una chimera. Obama ha declinato delle ragioni legittime per tutelare i segreti di Stato, per esempio quando si tratti di sventare attentati terroristici e salvare vite umane. Ma la democrazia più vitale del mondo resta tale finché ha al suo interno contropoteri che non si piegano. Sul sito della Freedom of the Press Foundation campeggia la sentenza del giudice Murray Gurfein che nel 1971 difese la pubblicazione dei Pentagon Papers, dove si denudarono le menzogne di Stato sulla guerra del Vietnam: “Una stampa aggressiva, ostinata, invasiva, deve essere sopportata dalle autorità al fine di preservare i valori supremi della libertà di espressione, e il diritto dei cittadini di sapere”.