Alessandro Penati, la Repubblica 19/10/2013, 19 ottobre 2013
NORMA AD AZIENDAM TELEFONICA FERITA
IL SENATO ha votato una mozione dalle larghe intese (Matteoli e Mucchetti) per chiedere l’obbligatorietà dell’Opa totalitaria per le società quotate, non solo se uno o più azionisti in accordo tra di loro superano la soglia del 30%, come già previsto, ma anche se è accertata una situazione di controllo di fatto, a prescindere dalla quota azionaria.
Diciassette anni fa, al tempo dei lavori preparatori per il Tuf, sostenni pubblicamente, e non ero il solo, l’esigenza di introdurre nell’ordinamento italiano il concetto di controllo di fatto, «anche desumibile dai comportamenti successivi», per sancire l’obbligo dell’Opa. L’intento era rafforzare quello che pensavo fosse lo spirito del nascente Tuf: promuovere lo sviluppo della Borsa, creando un mercato concorrenziale per il controllo delle società quotate che, rompendo vecchie oligarchie e posizioni consolidate, facilitasse un ricambio degli assetti proprietari, favorendo chi avesse le migliori capacità di gestione e i capitali per farlo. Questo concetto avrebbe reso difficilmente aggirabile l’obbligo dell’Opa, beneficiando tutti gli investitori delle contese per il controllo, e creando così un incentivo all’investimento in capitale di rischio.
Da allora, invece, in Italia ha prevalso l’obiettivo della difesa della “stabilità” della struttura proprietaria delle società, anche per favorire il mantenimento della proprietà italiana (privata, pubblica o para pubblica) con il minimo delle risorse, a difesa di presunti “interessi nazionali”. Così si è congelata la struttura proprietaria delle aziende quotate; e anche la dimensione del mercato azionario. L’Opa obbligatoria, da strumento per promuovere la contendibilità del controllo e lo sviluppo della Borsa, è diventato sinonimo di instabilità: qualcosa da evitare. Infatti, da anni, le Opa nostrane hanno acquisito il ruolo perverso di ridurre la rilevanza del mercato azionario, permettendo a chi già controlla una società di ritirare i titoli dal mercato azionario.
La mozione Matteoli-Mucchetti non intende affatto recuperare lo spirito che motivò la proposta originale del concetto di controllo effettivo ai fini
dell’Opa. Anzi, entrambi i proponenti si sono più volte, in passato, dimostrati fautori della “stabilità”. La mozione è quindi dichiaratamente ad aziendam, contro Telefonica: il controllo di fatto nella holding a monte di Telecom è già passato di mano almeno tre volte negli ultimi 10 anni senza che qualcuno avvertisse il bisogno di cambiare la legge per richiedere l’Opa obbligatoria. Sembra dunque solo l’ennesimo intervento dirigista, che cambia una legge in corsa per ostacolare un’azienda straniera (non lamentiamoci poi della scarsità degli investimenti esteri).
Il vero obiettivo della proposta ha ben poco a che fare con il controllo, ma molto con le operazioni con parti correlate: ovvero mettere in luce e limitare il conflitto di interessi di Telefonica in Brasile. Una preoccupazione che condivido pienamente, ma che la mozione affronta con gli strumenti sbagliati: infatti già esiste un corposo regolamento per le operazioni correlate. Evidentemente, i nostri senatori non lo ritengono adeguato, o sono convinti debba essere applicato con diversa sensibilità da caso a caso: non ricordo infatti la stessa attenzione e zelo del Senato in vicende di parti correlate come Fonsai-Unipol, Finmeccanica-Ansaldo-Cassa DDPP, Rcs-Fiat-Stampa, Intesa-Zaleski, solo per citare alcuni dei più recenti. L’idea di controllo effettivo inoltre era ispirato al Takeover Panel britannico che dice: «I princìpi vanno applicati in accordo con l’idea che li ha ispirati, al fine di raggiungere gli obiettivi impliciti»; e le regole, «bisogna interpretarle non solo alla lettera, ma anche tenendo conto dello spirito con cui sono state formulate». Non essendoci regole per stabilire che cosa sia “effettivo”, chi è preposto al controllo (Consob, Giustizia Amministrativa e Civile) dovrebbe decidere caso per caso, interpretando soggettivamente lo spirito della legge. Un approccio che frana di fronte al nostro ordinamento, basato sul garantismo e l’applicazione certa della norma. E che la Direttiva Europea, imperniata sulla regola rigida del 30%, ha sepolto definitivamente.