Goffredo De Marchis, la Repubblica 19/10/2013, 19 ottobre 2013
“LA MANOVRA VA MODIFICATA” STOP DAL PD, FASSINA SI DIMETTE LUNEDÌ IL CHIARIMENTO CON LETTA
SIGNIFICA che la stanno ancora correggendo. Che il testo varato a Palazzo Chigi mercoledì non è definitivo e verranno ascoltati i suggerimenti giunti da Largo del Nazareno. È la condizione che Fassina ha posto per rimanere nel governo. «Vedrò Letta lunedì», ha raccontato il viceministro ai suoi colleghi. Lui e il premier vogliono confrontarsi sul documento finale. Ma una telefonata c’è già stata ieri. Altre ce ne saranno durante il week end.
Il Pd ha posto alcuni paletti precisi. Condivisi da tutto il partito, perché questa è anche l’occasione per ribaltare l’immagine di un esecutivo condizionato da Silvio Berlusconi con i democratici a rimorchio. Pesa ancora la battaglia dell’Imu. L’impronta del Pd stavolta si deve vedere. «Dobbiamo intervenire sull’Irpef — ha spiegato Fassina a un ministro amico —. Concentrando il taglio del cuneo fiscale su alcune tipologie di lavoratori, quelle più in difficoltà. Per mettergli in tasca più di 14 euro». Il cuneo perciò va rimodulato rendendolo selettivo. Nella Service tax invece è sparita la franchigia di 200 euro per la prima casa. Il Pd pretende una correzione immediata. «C’è qualcuno che non ha pagato nel 2012 e che oggi rischia di pagare», avvertono a Largo del Nazareno.
Il problema della collegialità è reale ma secondario. Fassina è stato tenuto fuori dalla stesura della legge. «Ma non è questo il punto», ci tiene a sottolineare. Pier Luigi Bersani, deciso a farsi sentire nella sua materia, la politica economica e libero su questo
terreno dai veleni congressuali, ha telefonato a Fabrizio Saccomanni, con il quale i rapporti sono ottimi. «Il ministro ha la fortuna di avere una squadretta di nuova generazione, che conosce le cose e va d’accordo. Può valorizzarla. E non parlo solo di Fassina. Sono in gamba anche Baretta, Giorgetti e Casero». In questa fase, l’ex segretario sembra volersi ritagliare il ruolo di miglior alleato di Letta dentro il Pd. Vede i problemi, crede si possa fare qualcosa per far crescere la «domanda interna. Quello è il motivo di crisi». Ma dice che «si è fatto credibilmente un passo avanti per un minimo abbassamento della pressione fiscale». È un segnale, va difeso. «Poi, sono buoni tutti a dire che il cuneo doveva essere tagliato di 20 miliardi».
Ma la legge di stabilità rischia di deflagrare nel congresso democratico. Dice Matteo Renzi: «Certo, 14 euro sono pochini». Solo una frase sul taglio delle tasse sul lavoro, ma che entra nel dibattito complessivo. Dai Giovani turchi di Matteo Orfini al segretario Guglielmo Epifani, una larga fetta del Partito democratico aspetta il testo definitivo con molta diffidenza. Bersani però invita tutti i protagonisti «a tenere un atteggiamento, anche alle Camere, che non snaturi la finanziaria uscita da Palazzo Chigi». I pericoli esistono, le tensioni non mancano. «Il Pd invece — dice l’ex segretario — deve garantire un dialogo continuo con il governo. Attraverso un coordinamento tra il partito e i gruppi parlamentari». Ma non solo. La sede decisiva, mentre si organizzano le primarie dell’8 dicembre in coincidenza con l’esame della manovra, è «il coordinamento dei 4 candidati alla segreteria. Sulla legge di stabilità devono parlare con una voce sola. Ricordino: un conto è il congresso del Pd, un altro conto è l’Italia». Il messaggio è rivolto soprattutto a Renzi, che ha promesso di rendere pubblico il suo programma economico in una prossima tappa della campagna.
Il ragionamento di Bersani è condiviso da Letta e dai lettiani. «Questo dev’essere la linea di condotta del Pd», spiega Francesco Boccia. Il Parlamento potrà trovare soluzioni alternative, a partire dal cuneo fiscale. Rispettando il tetto del 3 per cento, evitando forzature. Lo stesso Boccia si prepara a rilanciare l’idea di un’imposta sull’economia digitale che faccia finalmente pagare a Google le tasse in Italia. Un po’ di ossigeno arriverà in primavera con la rivalutazione delle quote di Bankitalia e con gli accordi sui capitali all’estero, dice Bersani. Ma Letta, sotto lo sguardo severo di Bruxelles, ha bisogno di arrivarci con una maggioranza unita e certificata dalla legge di stabilità.