Sergio Romano, Corriere della Sera 19/10/2013, 19 ottobre 2013
LA COMPAGNIA DI BANDIERA E LE SUE BATTAGLIE PERDUTE
Ci risiamo con l’Alitalia.
Cinque anni fa Silvio Berlusconi — e fu il suo peggior intervento — chiamò a raccolta un gruppo di imprenditori italiani («i patrioti») per salvarla fornendo loro una serie di vantaggi fra cui il controllo della tratta Milano Roma per permetterne la sopravvivenza per un po’ e basta. Alitalia infatti ha dimostrato di non avere in sé la capacità di resistere alla concorrenza e prospera solo in periodo di monopolio della suddetta tratta come ha sempre avuto in tutti gli anni precedenti; per resistere avrebbero tutti dovuto trasferirsi a Milano e avere Malpensa e non Fiumicino come aeroporto di riferimento permettendo così lo sviluppo internazionale di se stessa e di Malpensa con tutte le sue positive implicazioni commerciali. Così non fu perché il personale difeso da agguerriti e miopi come al solito sindacati preferirono il più comodo e gradevole tram tram romano. Adesso i nodi sono al pettine, sono intervenute le Poste(!!!) con 75 milioni che dureranno un anno o due, e poi?
La sopravvivenza è lecita quando la situazione commerciale è buona e manca soltanto temporaneamente del denaro, altrimenti meglio chiudere. Se già Berlusconi fece lo sbaglio di non cedere ad Air France come si può pensare che una guida del Paese tutta o quasi a sinistra possa risolvere questa situazione deficitaria? Lei che ne dice?
Fabrizio Logli
Caro Logli,
Altre linee aeree (Swissair, Sabena) hanno dovuto arrendersi e rinunciare alla loro identità. Ma il declino di Alitalia comincia effettivamente nel momento in cui la «compagnia di bandiera» perde la battaglia per la creazione di uno snodo aereo internazionale a Malpensa. Credo che alle ragioni da lei suggerite occorra aggiungerne altre due, strettamente collegate. Al momento della inaugurazione di Malpensa, il Comune di Milano e la Regione Lombardia erano ancora molto lontani dalla soluzione del problema dei collegamenti; e fu quindi impossibile, in quelle circostanze, privare i milanesi di un aeroporto (Linate) a portata di mano. Oggi Malpensa è invecchiato anzitempo e Linate permette alle maggiori compagnie mondiali d’indirizzare verso i loro aeroporti tutti i passeggeri italiani che vogliono uscire dalla ristretta cerchia delle destinazioni coperte da Alitalia. Non è tutto. Altre città, nelle regioni più prospere del Paese, hanno deciso di costruire un aeroporto all’ombra del loro campanile piuttosto che lavorare insieme per un grande snodo italiano.
Forse l’aspetto più sconsolante di questa vicenda, caro Logli, è lo spreco di una grande risorsa. Non abbiamo i vantaggi naturali di Londra, Parigi e Francoforte, ma la natura e la storia hanno regalato alle compagnie aeree italiane un cielo potenzialmente ricchissimo, la porta da cui occorre passare per accedere a un enorme patrimonio artistico e archeologico, a splendidi luoghi di villeggiatura, a una incomparabile varietà di mari, laghi e montagne.
In epoca di globalizzazione nessun Paese dovrebbe avere il diritto di rivendicare il monopolio del proprio cielo. Ma niente ci vietava di farne uso per stringere rapporti di collaborazione, su un piano di eguaglianza, con grandi compagnie straniere. Occorreva tuttavia mettere sul tavolo dei negoziati, insieme al cielo italiano, progetti ambiziosi, unità di propositi e politiche coerenti. È questo che maggiormente mi rattrista. La perdita di un’azienda può essere un incidente di percorso. La perdita del cielo è una tragedia nazionale.