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 2013  ottobre 19 Sabato calendario

L’AMORE AI TEMPI DELL’ALZHEIMER STORIE DI COPPIE SPECIALI

[Inchiesta 3] –

«A volte sul divano mi dice: “Ma noi non possiamo metterci insieme?” E io: “Emilio, siamo sposati da 43 anni”. Lui: “Davvero?”. Gli faccio vedere le foto. E piange». Valeria Isella, neurologa al San Gerardo di Monza: «Signor Emilio, le piace sua moglie Elisa?». Lui sorride: «Non posso dire altro». Ex dipendente Philips, 71 anni, Emilio si sente «in bilico». Primi problemi di memoria nel 2007. Un milione di italiani con demenza, lui è uno. «Ho un vortice nella testa». Vuole uscire di casa, quando è fuori rientrare. «Non faccio più niente per me - sussurra Elisa uscendo dallo studio - neanche il pap test». È lei che gli dà i dieci farmaci (tre per l’agitazione): «Mentre preparo le pillole è perplesso. Gli dico: guarda che non ti avveleno mica». E «se lei va in cantina due minuti - racconta il figlio - lui va in ansia». Ogni tanto «si dimentica di avermi vicino. Guarda la porta disperato: “Dov’è andata l’Elisa?”. Gli dico: “Emilio, chi sono io?”. E lui: “Oh, sei l’Elisa”».

LA BUSTINA DI TÈ - Anche per Emilio ed Elisa verrà il giorno che descrive Cécile Huguenin in «Alzheimer mon amour» (edizioni Clichy). Lei sentendosi «ridicola come Jane con Tarzan» punta il dito al petto del marito: «Tu, Daniel, e io?». «Sì, io sono Daniel, tu non lo so più». Scrive Cécile: «La mia voglia di perpetuare la mia esistenza in lui è troppo invasiva. Sparirò se non mi riconosce più?». Daniel Huguenin, poeta, ha cominciato col dare in pasto all’Alzheimer le sue parole. E prima ancora il ricordo di una bustina di tè: «Da 30 anni, ogni mattina, lui mi preparava quello nella scatola rossa con sopra Ganesh, il dio indiano dalla testa d’elefante. Fra le miscele per i diversi momenti della giornata, non sbagliava mai. Quel giorno è arrivato stravolto, le braccia cariche di scatole di tè: “Qual è? Non me lo ricordo più”».

Gerard flirta con Germaine in un centro diurno in Francia (foto di Cathy Greenblat per il suo libro «Love, loss and laughter»)Gerard flirta con Germaine in un centro diurno in Francia (foto di Cathy Greenblat per il suo libro «Love, loss and laughter»)
CORRIDOIO VUOTO - L’amore ai tempi della demenza lascia a volte il tempo per «riorganizzare i rapporti» dice Giuseppe Bruno, Clinica della memoria alla Sapienza di Roma, coautore di un nuovo studio su matrimonio e malattia di Alzheimer. Anche se lascia tutti «spiazzati» come Emilio, «stupiti» come Elisa, «in bilico». I malati e i partner che se ne prendono cura. Oliver Sacks racconta di un famoso paziente: «Si guardò intorno alla ricerca del cappello. Allungò la mano e afferrò la testa di sua moglie, cercò di sollevarla. Aveva scambiato la moglie per un cappello! La donna reagì come se fosse abituata a cose del genere». Ci si abitua a molte cose. A tutte? Scrive Cécile all’inizio del suo libro: «All’idea della morte ci si abitua. Ma come farò d’ora in poi con lui che c’è senza esserci? È possibile elaborare il lutto di una persona ancora in vita? Esistono percorsi di sopravvivenza per chi si ritrova davanti a un corridoio vuoto?».

ROMANTICISMO - C’è chi non riempie il vuoto. Dietro il suicidio del regista Carlo Lizzani c’è anche la malattia di Edith. Qualche anno fa un vigile pensionato di Prato sparò alla moglie: «Non potevo più vederla così». I percorsi esistono, dice Rita che ha perso da poco il suo Marco. Lavorava al ministero degli Esteri, una vita insieme in giro per il mondo: «Stargli vicino nella malattia mi ha dato un senso di pienezza. Piccoli grandi tesori della fine: Marco che mi prendeva la mano e riusciva a dire solo grazie, il suo sorriso». Non è infrequente, dice il dottor Bruno, che gli aspetti romantici vengano magnificati dalla malattia, più spesso nelle coppie che hanno fatto della reciprocità un motore della loro storia. È il caso di due sposi di Roma: «Lei con disturbi di linguaggio e di memoria, lui che con delicatezza riesce a starle accanto con le attenzioni che un uomo ha per la sua donna, non per una malata». In loro «c’è preoccupazione per il futuro, ma nessun senso di perdita nella qualità dello stare insieme». Almeno per ora. Bruno parla di coppie che «continuano a coltivare con soddisfazione la sfera sessuale». E di coppie in cui il partner si è trasformato in una figura esclusivamente materna, genitoriale, dove «ogni contatto diventa tabù».

LA BAMBOLA E L’AFFETTATRICE - Stella è troppo occupata a prendersi cura del marito per pensare al futuro. Lui in brianzolo la chiama sciura. In cucina, accanto all’affettatrice, la «signora» ha messo il bambolotto recuperato in cantina: Virginio lo tratta come un bambino, gli parla, si rilassa. Anche stamattina Stella gli ha fatto la barba schivando qualche colpo. Lui odia lavarsi. Stella si è rotta due vertebre cercando di fargli la doccia aiutata dalla figlia. «Finché reggo», niente badanti. «Davanti allo specchio gli ho dato un bacio. Una cosa rara. Gli ho detto: “Guarda come te se bel “. E lui: “Sun mai sta brutt”». Di solito Virginio «mai stato brutto» parte per la tangente («Non si capisce niente di quel che dice»). Ma si emoziona per un tango. Stella fa partire il Gelosino, il vecchio registratore a bobine. Acquarello blu, Amour mon amour, Stringimi forte ai polsi, La nostra età, Se mi perderai. «Canzoni di quando eravamo giovani». Lui operaio dalle mani d’oro. Parole d’ordine oggi: mangiamo, dumàn avèm, domani andiamo. Con la malattia è diventato più affettuoso, Stella si ritrae: «Mi fai il solletico». Lui: «Cià che ta spusi». Dai che ti sposo.

ORIALI PASSA LA PALLA - Virginio ritrova il filo delle parole cantando, al centro diurno Alzheimer di via Gallarana a Monza, uno dei due centri della cooperativa Nuovo Solco. Oltre 20 ospiti. Ecco Tarcisio e Maria mano nella mano (li ha fidanzati l’Alzheimer), Gianpi e la Teresa che si corteggiano (lui: mi piaci perché sei ricca, lei: come sei materiale), Cosimo che aspetta la moglie guardando l’orologio, Luigi che quando gli fanno i massaggi grida «Oriali cazzo passa la palla». Questo posto l’ha messo in piedi a forza di mutui Giovanna Quinto con la sorella, «il primo centro nel 2000, pochi mesi dopo la morte di nostra madre, prima pietra e una promessa: a nessuno deve capitare l’odissea che abbiamo vissuto noi». Fondamentale la formazione degli operatori. «La malattia non cancella le persone - dice Giovanna -. La loro storia va mantenuta, come la dignità e la qualità della vita. Non come certi posti dove gli infermieri si danno la voce (“Guarda che il numero 9 deve andare in bagno!”) o di notte insaccano i malati nei sacchi lenzuolo. Persone ridotte a numeri e salumi, mai».

TELEFONO MUTO - I centri diurni ben fatti dovrebbero essere tassello cruciale nell’assistenza alle persone con demenza. Ce ne saranno poco più di un centinaio in Italia, non esiste un vero censimento: qualità varia, liste d’attesa, spesso a tempo limitato (sei mesi) mentre ne servirebbero 15mila con soggiorni più lunghi e prezzi più bassi. Sono un sollievo per le famiglie. E allontanano il ricovero: per questo non sono considerati? Ottorina da lunedì andrà al centro diurno dell’Ire a Mestre. Giuseppe per sei mesi proverà a «tirare il fiato» riprendendo l’hobby del restauratore. Ottorina, 66 anni, ha sempre badato alla casa, cresciuto i figli. Non è più in grado di apparecchiare la tavola. Nell’ultimo anno ha fatto in tempo a insegnare al marito a cucinare. Giuseppe dice che da quando si è saputo della malattia il telefono è muto. Amici che non li invitano più, perché lei non sa rispondere. L’Alzheimer come prova d’amore. Caterina Chiodini ricorda il giorno in cui dissero al nonno Antonio, decoratore di libri a Gallarate, che la moglie era morta. Lui rispose: «Così, senza nemmeno dirmi niente?». Le ultime parole con una certa attinenza alla realtà, nei cinque anni successivi non parlò più. «Ecco perché - dice la nipote - alla A di Alzheimer associo la A di amore: per amore nonno Tonino aveva deciso di esplorare spazi e tempi “diversi”, una vita che non lo tenesse separato dalla sua Caterina».

SAX, TORTELLINI E GENTILUOMINI - All’Aquila il Maestro M ha continuato a suonare il sax nel salotto della ex moglie, malgrado i terremoti che gli hanno scosso la casa e la testa: maestro di tromba a Santa Cecilia, due matrimoni finiti, due figli dal primo, il secondo con una donna di 30 anni più giovane. È lei che lo accompagna alle visite. Nel 2006 la diagnosi: Alzheimer. I figli a Roma non ne vogliono sapere. La seconda moglie, che ha un nuovo compagno, decide di prendersene cura. Abitavano in appartamenti vicini, prima che il sisma del 2009 li mandasse a vivere tutti e tre in un piccolo Map (moduli abitativi provvisori). La dottoressa Marina Tulli ha incontrato il Maestro due anni fa. Lui confessò di avere difficoltà a leggere le note. Ma teneva ancora piccoli concerti nel salotto di casa per i suoi ospiti, non sapendo chi fossero. Erano le persone che cucinavano per lui, lo aiutavano con i farmaci e a lavarsi; la sua ex, il suo nuovo amore. Amore tra ex. E tenerezze tra sconosciuti. Carlo e Dora all’ultimo piano di Villa Armonia, nucleo Alzheimer pubblico, grande terrazzo su Bolzano. Giacca e cappello, lui aspetta sempre un autobus, mentre lei cammina cammina. Taciturna l’una, parole arruffate l’altro. Non si parlano quasi mai. Dora aveva un negozio di pasta, «ho fatto tanti tortellini», non si è sposata, viveva con un cane che non portava più fuori. Carlo ha fatto lo stuccatore, in Francia ha una famiglia che ha tagliato i ponti. La seconda moglie è morta, viene a trovarlo la figlia acquisita. Si perdeva spesso, Carlo, cercando un autobus e la fiaschetta di grappa. È approdato qui pochi mesi fa. Come Dora. Lei percorre il corridoio e ripete: «Ho fame». Carlo, in piedi aspettando «l’autobus che non arriva mai», un giorno le ha prestato attenzione. Ha cominciato a chiedere il cibo per lei: «Insomma, è una signora». Mai un contatto. Però adesso mangiano allo stesso tavolo. Lui fa l’uomo, lei è contenta. Al pomeriggio lui la accompagna in camera. Dora si sdraia nel letto di Carlo, lui su una sedia la guarda dormire. Alzheimer, mon amour. Se entra qualcuno, lui si porta il dito alla bocca. Tortellini e gentiluomini. Lei nel letto, lui con il cappello. Ogni tanto li trovano così anche di notte.

(3-continua)