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 2013  ottobre 18 Venerdì calendario

APPUNTI SU MARINE LE PEN


INISTRA ARCAICA, DESTRA SCREDITATA DIETRO IL SUCCESSO DI MARINE LE PEN – Jean Marie Colombani, Corriere della Sera 18/10/2013 -
Esiste un pericolo Fronte nazionale in Francia? Nel momento in cui l’ondata populista rappresenta, su tutto il territorio europeo, una minaccia, quella di sconvolgere l’equilibrio del Parlamento europeo durante le elezioni della prossima primavera, questa domanda non è sorprendente. Se in Austria, che non ha disoccupazione, l’estrema destra sfiora il 30 per cento, in Francia, che ha una disoccupazione di massa, ci sono tutte le ragioni di preoccuparsi per l’ascesa del Partito della famiglia Le Pen, padre e figlia. Inoltre, c’è oggi un male francese che si chiama catastrofismo. Che siate membro dell’opposizione, giornalista, dirigente d’azienda, insomma chiunque voi siate, in Francia vi distinguerete e attirerete l’attenzione solo a condizione di descrivere la realtà sotto il suo aspetto più cupo. Sembra che il Paese non abbia come punto di riferimento nella storia che il Giugno 1940 e la disfatta, e sia irresistibilmente attirato verso l’abisso. A costo di scavare la propria tomba. In politica, questo significherebbe spianare la strada al Fronte nazionale.
Così, a partire da un’elezione cantonale (i dipartimenti sono divisi in cantoni) e da un sondaggio, che situa la lista di Marine Le Pen in cima alle intenzioni di voto nelle elezioni europee, i mass media e numerosi politici hanno decretato, in coro, che il Fronte nazionale è il «primo partito di Francia». La realtà è diversa. L’elezione cantonale di Brignoles, nel dipartimento del Var, vinta dal Fn, è stata esageratamente mediatizzata e interpretata. Ma esiste in effetti il pericolo che l’estrema destra si rinforzi a seconda che altri, in particolare fra gli intellettuali, sostengano sempre più le sue idee.
Brignoles è una piccola città tipica dell’arcata mediterranea, da Perpignano a Nizza, dove l’estrema destra, grazie in particolare all’inizio, a una forte presenza di coloro che sono rimpatriati dall’Algeria, è ben installata. Da moltissimo tempo, in una città come Marsiglia, il cui sindaco è dell’Ump (il Partito della destra classica), all’interno di un dipartimento a maggioranza socialista, gli elettori si dividono in tre terzi: un terzo di destra, un terzo di sinistra e un terzo di estrema destra. Il cantone di Brignoles quindi era di estrema destra già nel 2011. Era stato ripreso dalla sinistra grazie all’annullamento dello scrutinio. Questo porta a due, sui 4.500 cantoni che esistono in Francia, il numero dei seggi detenuti nelle assemblee dipartimentali dall’estrema destra. E’ dunque urgente mantenere il senso della misura.
Quanto al sondaggio, occorre ricordare, come tutte le inchieste d’opinione, che esso non ha valore predittivo. Riflette una costante: i francesi sanno, come gli altri europei, che questo scrutinio non incide sull’esercizio del potere nazionale. E’ quindi tradizionalmente molto favorevole alle «piccole» formazioni, quelle che sono poco o per nulla rappresentate in Parlamento, cioè l’estrema destra, gli ecologisti e il centro. E’ quindi improprio e falso far credere che il Fronte nazionale sia il primo partito. Per ora, il primo resta il partito socialista, non solo perché ha la maggioranza in Parlamento, ma anche perché controlla la quasi totalità delle regioni, i due terzi dei dipartimenti e il 60 per cento delle grandi città. E l’Ump incarna fin da adesso l’alternanza. La prima scadenza che abbiamo davanti, le elezioni municipali per le quali il Fronte nazionale ha difficoltà a trovare candidati, dovrebbe riportare l’estrema destra al suo posto, quello di un Partito protestatario che certamente sconvolge le carte in tavola, ma al quale non si è sicuri, o ci si vieta, di affidare l’esercizio del potere.
Tuttavia, l’estrema destra cresce. E si rafforza nell’opinione pubblica. E’ colpa della crisi? La crisi è una buona scusa. E’ vero che il partito di Marine Le Pen propone, come si dice in Francia, di «raser gratis», cioè promette quel che sa di non poter mantenere: ritorno alla pensione a 60 anni, aumento dei salari, svalutazione massiccia, quindi uscita dall’euro e così via. Tutte promesse assurde che hanno l’effetto di attirare un voto popolare. Ma uno sguardo su trent’anni di insediamento dell’estrema destra nel paesaggio francese non lascia alcun dubbio: le spinte in avanti dell’estrema destra sono direttamente correlate alla questione dell’immigrazione, al suo aumento evidente. Là dove i tassi di immigrazione sono marginali, il Fn resta marginale (è così in tutta la parte occidentale del Paese). E quando si dice immigrazione, bisogna essere consapevoli che si tratta, per una parte dell’opinione pubblica tentata dal Fn, di rifiutare figli di immigrati i cui genitori, per esempio, erano originari del Nord Africa e che oggi sono giovani francesi che aspirano a trovare un lavoro.
In effetti, il Fn oggi approfitta soprattutto delle difficoltà della sinistra, del discredito della destra, e della ripresa da parte di quest’ultima dei temi portanti dell’estrema destra: fra questi, al primo posto c’è il rifiuto dell’immigrazione.
La sinistra? L’impopolarità del potere è tale, oggi come ogni volta che c’è un’elezione parziale a qualunque livello, che l’elettorato della sinistra si astiene. Svanisce. Scompare. Tale evaporazione è aggravata dalle divisioni della sinistra: un Partito socialista che ha mantenuto perlopiù riflessi arcaici, ecologisti che non vedono al di là della gestione del loro piccolo mondo, comunisti prigionieri di Jean-Luc Mélenchon, che si abbandona costantemente a eccessi demagogici devastatori.
In tale contesto, la destra dovrebbe prepararsi a governare. Riconoscere i propri errori passati (cosa che rifiuta di fare), visto che ha lasciato la Francia in un desolante stato economico, ma anche morale. Invece, fa di tutto per rendere isterico il dibattito e proclama il presidente della Repubblica illegittimo. Mentre la sua preoccupazione principale è chiedersi chi, fra Nicolas Sarkozy, François Fillon o Jean-François Copé, presidente dell’Ump, abbia le migliori possibilità di vincere le presidenziali del 2017. A parte Alain Juppé, che oggi appare come il grande saggio, tutti cercano di far trionfare ciascuno il proprio campione. E la battaglia è al culmine. Ma poiché, al tempo stesso, la destra ha rinunciato alla maggior parte delle barriere ideologiche che la distinguono dall’estrema destra, essa facilita il trasferimento a quest’ultima dei propri voti. E quando François Fillon dice che, di fronte alla scelta di votare per i socialisti o per l’ estrema destra, egli sceglie il partito «meno settario», dimentica l’essenziale: la parola «pericoloso». Se il Fn non è più pericoloso, allora gli elettori di destra hanno il permesso di votare per l’estrema destra.
Un presidente che non riesce a tener in riga i suoi, un governo che manca di professionismo, e ancora nessun risultato da mettere in avanti, una destra che si discredita da sola: sono questi i veri atout del Fronte nazionale. Con, in più, i mass media che fanno a gara nel catastrofismo e ogni giorno trovano una qualità supplementare in Marine Le Pen. Omettendo di leggere i suoi discorsi, in cui potrebbero facilmente constatare che lei non aspira ad allearsi con l’Ump e la destra classica, ma a sostituirsi ad essa. Prima o poi, sarà bene che destra e sinistra rinsaviscano...
(traduzione di Daniela Maggioni)

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FRANCIA, FRONTE NAZIONALE VINCE IN VOTO LOCALE - DA REPUBBLICA.IT 13/10/2013 -
L’avanzata della destra estrema in Francia è confermata dalle urne: la candidata della destra Ump Catherine Delzers, al ballottaggio delle elezioni locali di Brignoles (nel sud del Paese), ha riconosciuto la vittoria dell’avversario Laurent Lopez (Fronte Nazionale, il partito di Marine Le Pen).
Laurent Lopez ha raccolto 5.031 voti, il 53,9% contro i 4.301 di Catherine Delzers (Ump, 46,1%). Eliminata al primo turno, la sinistra ha fatto appello al "Fronte repubblicano" per contrastare il Fn, ma senza successo. Lopez (Fn) era arrivato in testa domenica scorsa con il 40,4% dei voti, e oggi ne ha trovato un altro 14%, la Delzers (20.8% al primo turno), è arrivata al 46% anche grazie alla partecipazione, nettamente in aumento (45,26% oggi contro il 33,40% di domenica scorsa).
La gauche appare allo sbando sul piano della popolarità, con il presidente François Hollande che colleziona sondaggi in picchiata. Il primo commento è stato del ministro dell’Educazione nazionale, Vincent Peillon, per il quale la vittoria del Fn è "una cattiva notizia per la democrazia e per la repubblica". Nella destra Ump, il segretario Jean-François Copé ha affermato che la vittoria del Fronte è il risultato "della disastrosa gestione della città", finora governata dai comunisti, e della altrettanto negativa "gestione del paese da parte della sinistra".
Tutt’altra atmosfera nel Fronte nazionale, dove Marine Le Pen ha accenti trionfalistici: "È una bella vittoria - ha detto - tanto più vista la forte mobilitazione" fra i due turni. Per la leader del Fronte "è una svolta, è la conferma della morte del Fronte repubblicano", ha aggiunto con riferimento all’appello socialista a votare Ump al secondo turno.
Il Fronte nazionale è in ascesa nei sondaggi (in settimana, per la prima volta, un sondaggio lo dà primo partito alle europee di maggio), il primo appuntamento è quello di primavera per le comunali dove la Le Pen punta a piazzare un gran numero di consiglieri nei municipi. Questa caccia ai candidati da presentare sul terreno, però, non sta andando benissimo. Il Fronte nazionale, di fatto, ha il vento in poppa nel sud-est - dove ha vinto stasera - e nel nord, in particolare la regione di Lille, al confine con il Belgio. Nelle altre regioni, fa fatica addirittura a mettere insieme i candidati per costituire le liste. E a Brignoles, simbolo da oggi di un nuovo passo avanti del partito della famiglia Le Pen, ha comunque votato meno della metà degli elettori.

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LO SCHIAFFO DEL FRONT NATIONAL - MARCO MAOUSSANET, IL SOLE 24 ORE 15/10/2013
«Brignoles non è la Francia», ha sentenziato con irritante sicumera il premier Jean-Marc Ayrault. Più prudente, e giustamente più preoccupato, il presidente François Hollande. Il quale ha commentato così: «La sola risposta che possiamo, dobbiamo dare è quella dei risultati. Sull’occupazione, sulla crescita, sulla sicurezza». Dopo 16 mesi di guida socialista del Paese, ha aggiunto, «i francesi hanno il diritto di chiedere, e di pretendere, che gli sforzi chiesti a loro in questo periodo si traducano in fatti».
Certo, Brignoles non è la Francia. I 5mila consensi che domenica hanno consentito al candidato del Front national Laurent Lopez di vincere largamente (con il 53,9%) le cantonali della cittadina nell’entroterra di Tolone, e diventare quindi consigliere provinciale, non hanno il valore di un test nazionale. Ma in quel voto ci sono alcuni segnali importanti, di rottura rispetto al passato, che non vanno sottovalutati.
Il primo riguarda il rapporto tra partecipazione al voto e risultato dell’estrema destra. A Brignoles il tasso di partecipazione è salito dal 33,4% del primo turno al 47,5% del secondo. In passato, l’aumento del numero di votanti era tradizionalmente penalizzante per il Front national. Mentre questa volta Lopez è balzato da 2.700 a oltre 5mila consensi. Questo significa che molti elettori incerti, e comunque non militanti dell’estrema destra, hanno dato il loro voto al Front national. Sicuramente cittadini che in passato hanno votato destra e anche sinistra. A dimostrazione di quanto sia stato efficace il lavoro di "normalizzazione" fatto in questi anni da Marine Le Pen. Il Front national non è più un partito che spaventa. E non è più un partito al quale si dà un voto a perdere, di pura contestazione. Quello all’estrema destra inizia a diventare un voto di adesione. A delle idee, a un programma. Con la prospettiva di far diventare il Front un attore vero della scena politica.
Il secondo segnale è la sconfitta del cosiddetto "patto repubblicano". Dalla creazione del Front national - nel 1972, da parte del padre di Marine, Jean-Marie - destra e sinistra si sono accordate per far con fluire i "loro" voti sul candidato dell’una o dell’altra parte, in modo da assicurare la sconfitta dell’estrema destra. Un accordo anti-democratico che ha impedito al Front national - con la sola eccezione della breve fase di proporzionale voluta a suo tempo da Mitterrand - di avere una rappresentanza corrispondente ai risultati delle urne. Questa volta il patto non ha funzionato, scatenando peraltro squallide polemiche tra i due poli.
Il terzo elemento consiste nel crescente radicamento territoriale di un partito che fino a ieri era incentrato sulla figura del suo fondatore. Una sorta di one-man-party che oggi sembra invece in grado di offrire agli elettori una classe dirigente locale giovane, preparata e presentabile.
Tre elementi che si inseriscono in uno scenario caratterizzato dal deprimente spettacolo di una destra in preda a una guerra di clan tra i vari aspiranti alla leadership e dall’insofferenza nei confronti di un governo socialista ormai chiaramente identificato come il governo delle tasse.
Brignoles, insomma, non è la Francia. Ma c’è quanto basta per immaginare un successo dell’estrema destra alle comunali di marzo e alle europee di maggio.

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«SONO PRONTA A GOVERNARE» - ANAIS GINORI, LA REPUBBLICA 10/10/2013 -
"Sono pronta a governare, a prendermi responsabilità nazionali". Marine, semplicemente. Tutti la chiamano per nome e già questo è un segnale, neppure piccolo, del fatto che il passato e la sua eredità sono ormai alle spalle, o almeno così si vuole far credere. La mutazione genetica e politica dei Le Pen pare compiuta se è vero, come dice l’ultimo sondaggio Ifop per il Nouvel Observateur, che il Front National potrebbe essere il primo partito francesealle prossime elezioni Europee.

Marine Le Pen risponde al telefono con il solito piglio. Il padre Jean-Marie sarà candidato, ma lei ormai vive di luce propria. La sua abilità di sdoganatrice su quello che un tempo era il "partito del Diavolo" è stata a lungo sottovalutata. "Non mi stupisco del nuovo sondaggio. Ho già detto che tra qualche anno saremo al governo, e io punto a fare la Presidente di questo paese che altrimenti rischia di finire in miseria".

Fino a dove vuole arrivare, MadameLe Pen?
"Sono pronta per l’Eliseo. Voglio governare la Francia. Non sopporto chi dice che non abbiamo le competenze necessarie, che siamo solo un partito di protesta. Abbiamo molti esperti, tra economisti e giuristi, che prima lavoravano per l’Ump e il Ps e che ora invece stanno con noi".

La sua ascesa è anche lo specchio della debolezza degli altri partiti tradizionali?
"I francesi sono stufi di questa casta Umps (l’acronimo di Ump e Ps, slogan di Le Pen, ndr). Abbiamo una classe politica ridicolizzata. I cittadini sono stufi di essere rappresentati da governanti incapaci, aggrappati ai loro privilegi e pure accusati di corruzione".

Nel suo programma ci sono molti nemici: gli immigrati, l’Europa, la globalizzazione. E le soluzioni?
"Quando saremo rappresentati in massa al parlamento europeo, proporremo un programmain quattro punti: la fine dello spazio di Schengen, l’addio all’euro, il patriottismo economico e la superiorità del diritto nazionale sulle direttive europee".

Non le sembrano semplici slogan?
"Tutt’altro. Se entro un anno non otterremo soddisfazione su questi punti allora promuoveremo in Francia un referendum per chiedere l’uscita dall’Unione europea. Sono convinta che i cittadini saranno d’accordo con me: la maggioranza dei miei compatrioti non vuole morire in questo magma informe chiamato Europa".

Sul voto europeo lei è favorita perché si basa su un sistema proporzionale. Ma con il maggioritario a doppio turno?
"Per le prossime elezioni municipali (a marzo, ndr) abbiamo schierato centinaia di candidati giovani, preparati. Siamo noi lavera forza di rinnovamento della politica francese. Secondo tutti i sondaggi, passeremo il primo turno in moltissime città. Siamo già il primo partito del paese. L’Umps può vincere contro di noi al secondo turno solo alleandosi nel cosiddetto "fronte repubblicano"".

Perché non vuole riconoscere che il Front National è di estrema destra?
"Non accetto questa definizione. È un modo di chiuderci in un angolo. Siamo un partito patriottico, gollista".

Proprio sicura di ispirarsi al Generale De Gaulle?
"Certo perché come lui ha fatto in un’altra epoca anche noi difendiamo una Francia sovrana e che sappia difendere nel mondo la sua grandeur".

Si è accorta che i tempi sono cambiati?
"Infatti oggi la nostra sovranità si difende combattendo le derive del neoliberismo, gli abusi dell’economia di mercato, l’ingerenza di Bruxelles".

Non mancano gli anatemi contro rom e islamici.
"Il multiculturalismo ha fallito. Chi vuole vivere in Francia lo deve fare alle nostre condizioni, rispettandola République".

Il Presidente Hollande dice che l’Europa deve trarre un insegnamento dalla tragedia di Lampedusa. Qual è il suo?
"Sono andata a Lampedusa un anno e mezzo fa, mentre molti politici francesi facevano finta di niente. Purtroppo già allora avevo previsto queste tragedie. Anzi, avevo avvertito che i politici europei sarebbero stati moralmente responsabili delle prossime vittime. Quindi, non ho nulla da imparare".

Come evitare che succeda ancora?
"L’Europa deve scoraggiare i viaggi della disperazione. Dobbiamo dire a questi poveretti che non abbiamo più niente da offrire".

Neanche un briciolo di solidarietà per queste vittime?
"La solidarietà non si esercita quando si hanno già milioni di disoccupati, un sistema di protezione sociale che sta andando in rovina. Piuttosto dovrebbero essere solidali le monarchie dei petrodollari, vicine geograficamente a queste popolazioni povere. Noi pensiamo solo ai francesi".

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MARINE LE PEN, IL RITRATTO -
GIORGIA CASTAGNOLI, PANORAMA 10/10/2013 -
Front National - 24%, Ump (il nostro centrodestra) 22%, Partito Socialista 19%. E’ il risultato a dir poco sorprendente degli ultimi sondaggi condotti per il quotidiano Le Nuovelle Observateur in Francia in vista delle prossime elezioni europee. Sondaggio che racconta come, per la prima volta nella storia, il partito di estrema destra (ed antieuropeista) guidato da Marine Le Pen (figlia di Jean-Marie Le Pen, che fondò il partito nel 1972) avrebbe la maggioranza relativa nel paese.
Ma chi è Marine Le Pen?
Teoricamente il suo mestiere è quello di avvocato. In realtà Marine Le Pen, classe 1968, ha preso in mano le redini dell’estrema destra francese, rifondata molto tempo fa da suo padre Jean-Marie, che malgrado i suoi ottant’anni passati, le sta accanto per rassicurare la "vecchia guardia" dei militanti del Front National.
Bionda, occhi chiari e voce rauca, Marine sta lottando duramente per avere i voti necessari, stabiliti dal sistema del parrainage, per presentare la sua candidatura alle elezioni presidenziali e il suo obiettivo alle elezioni del 2012 era quello di ritrovarsi, come suo padre nel 2002, al ballottaggio nel secondo turno.
I suoi tentativi di rinverdire l’immagine del partito offrendone un’immagine più aperta e moderata non riescono tuttavia a nascondere la vera realtà delle idee xenofobe che continua a difendere il suo partito e le derive di alcuni dei suoi militanti.
Il suo slogan la voix du peuple, l’esprit de la France mette l’accento sul popolo, di cui ricerca il favore, facendo campagna elettorale nelle fabbriche in crisi e presso le classi popolari francesi, e la "France", che vorrebbe far uscire dall’euro e difendere grazie a una serie di misure economiche di natura protezionista. A suo avviso l’immigrazione è il più grande problema della Francia e i suoi attacchi si concentrano in modo particolare contro "l’islamizzazione rampante" del Paese.
Entrata nella "famiglia politica" dell’estrema destra quando aveva solo 15 anni, seguendo suo padre nelle campagne municipali, si appoggia oggi a un’equipe di collaboratori agguerriti, tra cui il suo compagno Luis Aloit che è il numero 2 del Front National che le assicurano una larga copertura mediatica e la fanno volare nei sondaggi d’opinione.

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IL CICLONE LE PEN SPAVENTA L’EUROPA -
ALBERTO MATTIOLI, LA STAMPA 10/10/2013
L’ondata blu Marine è sempre più alta. E ormai rischia di travolgere il sistema politico francese. Ieri, per la prima volta, un sondaggio ha attribuito al Front National di madame Le Pen il primo posto nelle intenzioni di voto dei francesi per le Europee dell’anno prossimo. Il Fn sarebbe al 24%, l’Ump postsarkozysta al 22 e il Ps di François Hollande a un misero 19.
È il secondo campanello d’allarme in tre giorni. Domenica, al primo turno delle cantonali a Brignoles, dalle parti di Nizza, il candidato del Front ha stracciato tutti arrivando a un impressionante 40,4%, il doppio dell’Ump e il triplo di quello della gauche. Certo, è un test parzialissimo. Ma in marzo ci sono le amministrative e, secondo i sondaggi riservati del ministero degli Interni, che naturalmente si sono subito risaputi, i socialisti potrebbero perdere una sessantina di città di più di 10 mila abitanti. Peggio: l’emorragia di voti profitterebbe più alla destra estrema del Fn che a quella moderata dell’Ump.
Ovvio che madame Le Pen esulti. «Sì, mi sento pronta per l’Eliseo – proclama -. Non sopporto chi dice che non abbiamo le competenze adeguate. Oggi siamo il primo partito perché i francesi sono lucidi». E soprattutto perché la sua politica di «dediabolisation» paga.
Le Pen figlia ha messo la museruola agli estremisti coccolati da Le Pen padre e ha annunciato che d’ora in avanti querelerà chiunque definisca «di estrema destra» il suo partito. Poi non l’ha ancora fatto, anche perché dovrebbe portare davanti al giudice tutti i media del mondo. Però ormai dichiarare di votare Fn non è più tabù. Perfino Alain Delon fa sapere che «lo approvo, lo sostengo e lo capisco perfettamente». Delon si è appena esibito in tivù dichiarando che i gay sono «contro natura», quindi di destra lo è da sempre. Ma nel 2007 appoggiò pubblicamente Sarkozy.
I socialisti sono al potere, ma anche nell’imbarazzo. Hollande, che sta battendo tutti i record di impopolarità per un Presidente della Quinta Repubblica, continua a ripetere che la crisi è finita, ma per ora i francesi non se ne sono accorti. Ieri ha invitato tutti «a rialzare la testa contro gli estremismi», ha difeso l’Europa e l’euro e attribuito l’ondata di ultradestra «all’assenza di prospettiva e di dinamica collettiva», cui si aggiunge «la paura del declino».
Fin qui la diagnosi. Sulla prognosi, però, i socialisti sono divisi. Il criticatissimo segretario del partito, Harlem Désir, continua a diabolizzare il Fn dediabolizzato, confidando che in caso di ballottaggio fra un candidato del Fn e uno dell’arco costituzionale scatti il riflesso del «fronte repubblicano» che così bene funzionò per far rieleggere Chirac contro Le Pen senior nel 2002.
Intanto Hollande spedisce l’unico ministro popolare del governo, quello degli Interni Manuel Valls, ben visto anche a destra perché fautore della linea dura su rom e delinquenza, in tournée nelle città a rischio di vittoria della Le Pen. L’impressione generale, però, è che non basti.

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LE PEN Marine Neuilly sur Seine (Francia) 5 agosto 1968. Politico. Avvocato, è la terza figlia di Jean-Marie Le Pen e della sua prima moglie. A 18 anni entra nel Fronte Nazionale. Nel 2003 ne diventa vicepresidente, nel 2004 ottiene un seggio a Strasburgo e nel 2010 è di fatto indicata dal padre come sua erede • «Alta, bionda con il sorriso sempre sulle labbra. così avvenente che all’interno del suo partito, fieramente machista, sono subito volati i complimenti. Pesanti. Lei ovviamente se l’è presa, e quando i ruvidi apprezzamenti di alcuni camerati sono stati pubblicati dai giornali, i malcapitati hanno passato un brutto quarto d’ora [...] terzogenita di Jean-Marie, [...] fondatore e presidente del partito di estrema destra Fronte nazionale. [...] avvocato e consigliere regionale del Nord-Pas-de-Calais. Nel Fronte ufficialmente si occupa delle questioni giuridiche; di fatto gestisce con pochi altri collaboratori la cellula idee-immagine. Dal giugno 2001 ha spiegato con cura a suo padre cosa si può dire e come lo si deve dire. E con maggiore cura soprattutto quel che non si deve dire, almeno davanti a telecamere e giornalisti. Il risultato lo si conosce: il 21 aprile 2002 Jean-Marie Le Pen è arrivato al secondo turno delle elezioni presidenziali. Per Marine, quell’esito è stato una manna. Orde di giornalisti e fotografi si sono riversati sulla collina di Saint-Cloud, a pochi chilometri da Parigi, dove si trova la sede del Fn. Tutti a chiedere da dove arrivassero quei voti e perché anche i giovani avessero votato Le Pen. A rispondere c’erano: Le Pen in persona, il numero due del partito Bruno Gollnisch, il numero tre Carl Lang. E anche lei, la giovane Marine, l’unica a presentarsi con le lacrime agli occhi. Gli altri sono passati, lei è rimasta. Ha bucato lo schermo e scavalcato in poche ore tutti i vecchi baroni che da trent’anni stanno alle calcagna di suo padre, aspirando alla successione. Ai giornalisti che sono sempre molto aggressivi con il Fronte, Marine ha risposto in modo educato, senza arrabbiarsi, mettendo le parole giuste al posto giusto e chiedendo di poter dire tutto ciò che doveva dire. Con una capacità di sintesi e un’efficacia che l’estrema destra non ha mai avuto. Il suo fare diretto, considerato anche da alcuni suoi fans ”un po’ volgarotto”, ha fatto il resto. Da allora tutti se la contendono, anche perché, appena appare in tv, gli ascolti superano il milione di persone. Le sorprese non sono finite: Marine, che sua madre Pierrette definisce ”il clone del padre”, non teme di perdere elettori tradizionalisti definendosi ”cattolica ma non praticante’, ”contraria all’aborto, ma a favore della legge”, ”contro l’immigrazione, ma non contro gli immigrati”. Spesso racconta di avere lei stessa, da avvocato, difeso con successo un irregolare algerino. Tanta gloria ha subito fatto pensare che dopo Le Pen ci sarà ancora Le Pen. Lo stesso Jean-Marie preannuncia a sua figlia un grande futuro: ”Ha la stoffa per diventare, quando sarà il momento, presidente del Fronte nazionale. Forse anche di più”. Nel linguaggio lepenista, ”quando sarà il momento” significa: ”Quando non ci sarò più io”. E ”forse anche di più” vuol dire: ”Candidata alla presidenza della Repubblica”. Naturalmente, sempre dopo il padre» (Giacomo Leso, l’Espresso 5/12/2002).

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LORO HANNO MARINA - LANFRANCO PACE, IL FOGLIO 15/10/2013 -
Roma. Brignoles, comune nel dipartimento del Var, regione Provenza-Alpi-Costa Azzurra, gemellato con Brunico. Noto alla cultura bassa in quanto traguardo della seconda tappa del Tour de France 2013. A quella alta perché Victor Hugo vi situa l’inizio della vita pastorale di Myriel, il vescovo benefattore dei “Miserabili”. Domenica, da Brignoles è partito un colpo che è rimbalzato fino a Parigi e ha lasciato tramortite la destra repubblicana e la gauche, il primo battito d’ali della farfalla, l’inizio di quell’effetto domino che potrebbe portare al caos. Dei quasi 17 mila abitanti censiti nel 2009, poco più della metà ha partecipato al secondo turno della Cantonale parziale per eleggere i consiglieri del dipartimento, la cui prerogativa principale è essere grandi elettori dei senatori che nella scala dell’inutilità sono al gradino appena superiore. Siamo dunque nel campo dell’ininfluenza politica, dell’epifenomeno. Se non che, ha vinto il candidato del Front National, Laurent Lopez, ex dirigente commerciale, ex pugile, una cosa che non accadeva da tempo. Tanto più in un feudo della sinistra con un sindaco addirittura comunista, uno dei pochi non ancora estinti. “Le Fn passe, la gauche trepasse”, il Fn vince, la sinistra muore, titola in prima pagina Libération. Il nuovo Front National ridisegnato e ricentrato dalla sua presidente, Marine Le Pen, sembra dunque in grado di spezzare equilibri, sgretolare blocchi sociali consolidati nel tempo. Le previsioni degli istituti di sondaggio sono unanimi: alle prossime europee potrebbe ottenere tra il 22 e il 24 per cento dei voti, diventando il primo partito del paese. Di colpo un sistema politico e istituzionale oliato da cinquanta anni di egemonia della cultura dell’alternanza e del maggioritario potrebbe scivolare nell’incubo molto contemporaneo del tripartitismo. Il Front potrebbe anche conquistare molti comuni, anche importanti, alle elezioni della prossima primavera. Proprio come nel 1983 quando, al risveglio dalla vague rose di Mitterrand, ci si rese conto che Jean-Marie Le Pen non era solo un marginale, un nostalgico dell’Algeria francese.
Né un ex paracadutista losco su cui si facevano battutacce per via di un occhio perso non si sa dove né come. Si capì fin da subito che il suo movimento sarebbe durato, ma mai che trent’anni dopo sarebbe arrivato a insidiare la supremazia dei partiti storici. La sinistra dice che questo accade perché l’altra destra, anziché combatterlo, lo insegue. La candidata sconfitta da Lopez a Brignoles è dell’Ump, che fu di Chirac e Sarkozy, e nessun partito, per quanto diviso tra cacicchi, lascia che i suoi vadano al macello. La destra invece dice che è colpa della sinistra che fa naufragio, localmente e nel paese. Di fatto l’accordo politico di reciproca desistenza con cui destra repubblicana e sinistra hanno per anni sbarrato la strada al Fn, non tiene più. Il patto repubblicano in nome dei valori è carta straccia. In verità l’ascesa del Fn non è colpa di nessuno: è merito di Marine Le Pen, figlia del padre. Ha svecchiato il partito, gli ha tolto il tanfo da destra cripto-fascista, xenofoba, razzista e ossessivamente antisemita, ne ha rieducato l’intelletto collettivo e il corpo militante. Oggi non è più fumo negli occhi delle élite benpensanti, raccoglie consensi tra imprenditori, manager, allievi delle grandi scuole, delle università più prestigiose. Grazie alla crisi, si radica sempre più nei ceti popolari, nelle periferie degradate, nessuno si vergogna più di dire pubblicamente che vota per lei. Fra un Hollande che vuole la regola d’oro in Costituzione, e i capi della destra di cui non si sa bene cosa vogliano, lei dice che bisogna recuperare sovranità nazionale, uscire da questa Europa, sottrarsi al dominio irresponsabile delle tecno-burocrazie, frenare l’islamizzazione galoppante della Francia, diminuire drasticamente le tasse e con esse il ruolo, l’influenza dello stato. E’ un populismo il suo, senza decrescita felice, senza feticismo delle tecnologie, senza millenarismi: si presenta come una sfida forse azzardata ma alla portata di una generazione. Un po’ come un tempo i sogni della giovane Thatcher. E oggi di una parte della destra repubblicana americana.

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«LE PEN INSEGNA NON SI PUÒ PIÙ ESSERE MODERATI» – PAOLO EMILIO RUSSO 11/10/2013 -
Marine Le Pen trascina il «suo» Front National sopra l’Ump, la destra «tradizionale» francese. E rischia, così, di cambiare la faccia dell’Europa, terremotarne l’equilibrio politico, imponendo una decisa svolta a destra. Per molti osservatori la Marine Le Pen italiana potrebbe essere lei, Giorgia Meloni. Distaccatasi per tempo dal Pdl, fondatrice di Fratelli d’Italia, preferisce scherzarci su: «Magari! Mannò...». Salvo poi snocciolare, una ad una, similitudini e differenze tra la destra francese e quella italiana che vorrebbe. Scoprendo che le prime sono molto più delle seconde.
Il Front National è stimato a quota 25%, un quarto degli elettori francesi. Cosa la colpisce?
«La cifra, evidentemente. La si raggiunge soltanto convincendo elettori che, fino ad oggi, si erano rivolti altrove. Il Fn ha il consenso di uomini e donne che fino a qualche tempo fa non l’avrebbero mai votato. Ha convinto».
Marine Le Pen ha svecchiato la sua formazione e la destra in genere: poco spazio per nostalgici e nazionalisti, ma posizioni forti, decise…
«La lezione è che bisogna avere più coraggio, che si può e si deve sfidare il pensiero unico dominante, senza paura. Servono determinazione e chiarezza».
Sta dicendo che voi, prima col Pdl, oggi con Fdi, non siete stati sufficientemente chiari?
«Io penso che, come diceva qualcuno, in questo tempo “non possiamo permetterci il lusso di essere moderati”. La gente è arrabbiata, altroché. Dobbiamo sì sintetizzare tutte le identità, ma dire no alla melassa e al conformismo. Perché non è con la melassa delle “larghe intese” che si risolvono i problemi della gente. E bisogna dire la verità».
In che senso, scusi: dite bugie?
«No, ma i partiti politici in genere, tranne il mio, preferiscono tacere alcune verità, perché spesso la verità fa male e certo non aiuta a prendere voti».
Madame Le Pen ha raccontato un po’ di verità, le sue. Tipo che l’Europa ucciderà la Francia, che l’euro è il male assoluto...
«Ci sono cose nel suo programma che non sottoscriverei mai».
Vogliono portare la Francia fuori dall’Europa, lei che ne dice?
«Secondo me non esiste, l’Italia non può. La risposta ai limiti dell’Europa non può essere meno Europa, ma più Europa. A noi serve un’Europa forte della buona politica e dei popoli che contrasti l’Europa della finanza, delle banche, dei poteri forti invisbili».
Tolta di mezzo la contrapposizione all’Europa, la destra italiana ha un argomento in meno....
«Guardi che l’Europa è un tema che va affrontato, anche se non in quel modo».
E come, invece?
«Bisogna rivendicare il primato del diritto nazionale su quello europeo. Perché non ne possiamo più di essere guardati dall’alto in basso dall’Europa, quando ogni anno diamo 4 miliardi in più di quelli che ci tornano. In Europa non abbiamo tutti gli stessi diritti e non si capisce perché, per esempio, i tedeschi fanno gli europeisti, poi hanno la clausola di salvaguardia: se il 10% dei parlamentari è contrario ad una norma europea, le bloccano...».
In Italia, invece, riceviamo il fax da Bruxelles e, al massimo, ratifichiamo. Si può fare qualcosa?
«Fdi aveva chiesto, nel dibattito per la riforma della Costituzione, che vi si inserisse una clausola simile a quella tedesca».
E uno. Altri punti di vicinanza con la destra francese?
«Sull’immigrazione, per esempio, l’Europa sta sbagliando tutto. Al di là della passerella fatta a Lampedusa da José Manuel Barroso, le istituzioni europee si stanno comportando come se quello dell’immigrazione fosse davvero solo un nostro problema. Intanto in Spagna sparano al confine, in Francia chiudono le frontiere, in Austria pure...».
Ma la destra italiana discute da almeno un ventennio di immigrazione: la Bossi-Fini, per esempio...
«Sono temi che non si affrontano col folclore. In Italia si oscilla pericolosamente tra buonismo e razzismo biologico...».
Che fanno entrambi danno.
«Come la demagogia pericolosa che vedo in questi giorni. Di fronte alla tragedia di Lampedusa, al dramma di disperati che si consegnano ad assassini perché pensano di trovare una vita migliore in Italia, non si può rispondere dicendo “allora cambiamo la Bossi-Fini” e apriamo le frontiere ».
E come si risponde, scusi?
«Con la verità. Dicendo che l’Italia oggi non è in grado di garantire a chi arriva la “vita migliore” che si aspettano. Che i clandestini finiranno nella rete della criminalità organizzata o a fare i lavavetri... Bisogna avere coraggio di dirlo e di investire sulla cooperazione e sugli accordi con i paesi di origine».
E tenere la Bossi-Fini.
«Smettiamola con le ipocrisie e parliamo di dati. Quando c’era il centrodestra al governo ci sono stati meno sbarchi e meno vite perdute».
Il Front National è «patriottico», Fdi pure.
«Il tema del patriottismo, specie quello economico, è di stringente attualità anche da noi. Telecom, Alitalia, Finmeccanica... Abbiamo avuto una politica che, in nome del mercato, ha portato l’Italia a rinunciare ai suoi asset strategici. Ci rendiamo conto che Telecom è finita agli spagnoli che stanno peggio di noi e che magari hanno preso i soldi per l’operazione dal fondo Salvastati che noi abbiamo alimentato? E il premier Enrico Letta non è riuscito a dire altro che “è il mercato” che decide».
Un’altra “verità” che vuole dire?
«Sì, che non è possibile che ci sia chi in Italia, oggi, ha una pensione da 10 mila euro al mese per la quale non ha versato i contributi. Questo alimenta lo scontro tra generazioni, tra gli iper garantiti e i non garantiti. Bisogna abbattere la caste, siano esse fisiche o culturali».
Fdi può diventare il «nostro» Front National?
«La nostra sfida è costruire un nostro modello, non scimmiottarne un altro. Con Officina Italia stiamo prendendo il meglio di culture politiche diverse, cercando di sintentizzarle. Lavoriamo partendo dai contenuti, consci che serve coraggio. Potrebbe nascerne una esperienza unica. E chissà...».

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L’ANTI EUROPA – BERNARDO VALLI, LA REPUBBLICA 11/10/2013 -
PARIGI In maggio, il parlamento europeo appena eletto potrebbe essere composto in buona parte da deputati anti-europeisti. Non da euro-scettici, politicamente anemici, indifferenti, poco convinti del loro fresco mandato, come ce ne sono già tanti: ma da aperti, dichiarati avversari della moneta unica o addirittura decisi, qualora se ne presentasse l’occasione, a provocare attraverso dei referendum l’abbandono dell’Unione da parte dei loro rispettivi paesi. Questo scenario, un po’ paradossale, ma non poi tanto, è suggerito dalle indagini d’opinione che rilevano in vari paesi dell’eurozona la robusta e sorprendente crescita dei consensi raccolti dai partiti eurofobi.
Il caso più vistoso è quello del francese Front National, versione populista rinnovata da Marine Le Pen, figlia ed erede politica del vecchio Jean-Marie, al quale vengono attribuite più intenzioni di voto che ai grandi partiti democratici alle prossime elezioni europee di primavera. Già nel 2002, in seguito all’assenteismo della gente di sinistra, Le Pen padre superò ed eliminò al primo turno delle presidenziali il socialista Lionel Jospin. Ma al ballottaggio il tardo gollista Jacques Chirac, campione del centro destra, raccolse poi i suffraggi della Francia democratica e rimandò al suo posto il leader del Front National.
Undici anni dopo la situazione è cambiata perché il Front National di Marine Le Pen raccoglierebbe, sia pure nel meno impegnativo scrutinio europeo, più voti dell’Ump (Unione per un movimento popolare) e del Partito socialista, i due grandi partiti, di centrodestra e di sinistra. L’Fn figura oggi virtualmente come il primo partito di Francia. Un primato effimero, ma inquietante.
Il risultato del sondaggio fa sognare l’energica Marine, che si vede nel Palazzo dell’Eliseo al posto di François Hollande, quando il meno popolare (almeno per ora) dei presidenti della Quinta Repubblica terminerà il quinquennio. La sua fantasia galoppa. La democrazia d’opinione le dà alla testa. In altri può sollecitare un incubo: l’autoaffondamento dell’Europa. Per ora un fantasma.
La democrazia d’opinione sommerge puntualmente, sempre più di frequente, la democrazia rappresentativa. La quale risulta spesso appannata dalla lenta marcia cui è costretta. Nella civiltà dominata dalle immagini e dalla velocità i riti parlamentari dai quali dipende il funzionamento della vita democratica appaiono frustranti per la loro lunghezza. Con la moltiplicazione dei blog il populismo trionfa. Si impone in una società d’opinione segnata dalla volontà di affermarsi, con i suoi umori del momento, su quella politica, basata sulle convinzioni. Capita che l’opinione sia in disaccordo col voto. E’ frequente che il movimento d’opinione abbia la meglio, ossia influenzi o addirittura determini l’espressione del suffragio universale. La convinzione di essere sulla cresta dell’onda, che rende euforica Marine Le Pen, non è dunque poi tanto campata per aria. Il vento dell’opinione soffia in suo favore. E per ora annuncia la minaccia che pesa sulla democrazia europea.
Lei ha inforcato il populismo come un destriero. L’Europa equivale al bersaglio in un antico torneo. Sono in molti a spezzarvi sopra le lance. L’ideologia tradizionale dell’estrema destra, neofascista o neonazista, appartiene ormai al passato o sopravvive a stento. I movimenti con la vecchia impronta sono ridotti a gruppuscoli. Il modello più industriale (come l’ha chiamato Pietro Ignazi) ha conosciuto invece un’espansione significativa. Favorita dal tempo e anzitutto dalla crisi economica e finanziaria.
Il fenomeno populista, nelle sua forma attuale, ha grande successo. L’Europa è presa di mira. E’ associata all’apertura delle frontiere e dunque all’immigrazione e all’Islam. La ristrutturazione industriale, la paura di molti di fronte alla crescita dei paesi emergenti e l’invecchiamento della popolazione contribuiscono ad alimentare la paura. La xenofobia diventa una trincea. L’Europa sta dominando, sia pure a fatica, la crisi finanziaria, e l’euro è per ora sopravvissuto, ma il populismo ha puntato tutto sulla denuncia dell’austerità prolungata che risana i conti ma dissangua la società. E’ stato più facile descrivere l’euro come un cappio, come una galera monetaria, che ricordare il suo ruolo di diga alla selvaggia concorrenza delle monete abbandonate a un’inflazione, equivalente al suicidio di redditi e risparmi.
Il timore del declino europeo di fronte alla paventata minaccia della mondializzazione ha fatto dimenticare che l’Europa resta l’area economica più importante del mondo. Resta però anche una società senza lavoro per i giovani e con la vita lavorativa dimezzata per gli anziani.
Dominique Reynié, esperto dell’opinione pubblica, annuncia per le elezioni di maggio uno sconvolgimento dell’Unione europea, minata dal populismo. Il quale si è irrobustito sottolineando la disoccupazione e il calo del potere d’acquisto, sul piano economico, materiale; e l’identità nazionale in crisi e le tradizioni travolte dal mondialismo, o dalle frontiere europee impermeabili alle immigrazioni selvagge e all’islamismo, sul piano intellettuale. In Inghilterra l’Ukip, il partito per l’indipendenza del Regno Unito, ha proposto ai conservatori, avversari ma altrettanto eurofobi, di votare per i loro candidati alle elezioni di maggio, con il proposito di arrivare poi a un referendum sull’uscita del paese dall’Unione europea. Difficile prevedere a quale risultato possa condurre questa decisione, resta che il fronte antieuropeo e populista si allarga.
I grandi partiti sono tentati da alleanze con quelli estremisti. Un tempo erano proibite nel nome di principi democratici adesso rinnegati, o resi obsoleti dalle revisioni ideologiche. L’Ump, il grande partito di centrodestra francese, è impigliato in polemiche sull’opportunità di raggiungere accordi elettorali con il Front National. Sul piano locale è spesso una pratica corrente non sempre confessabile. Sul piano nazionale l’antisemitismo o i ricorrenti riferimenti al collaborazionismo durante l’occupazione nazista, durante la Seconda guerra mondiale, nel frattempo spariti dal linguaggio ufficiale di Marine Le Pen, non appaiono più impedimenti insuperabili. Comunque se ne discute. In Germania, durante l’ultimo scrutinio, Angela Merkel, è riuscita a contenere il partito Alternativa per la Germania, che non ce l’ha fatta ad ottenere il 5 per cento dei suffragi per entrare nel Bundestag. Quel partito, animato da economisti noti, non è riuscito a imporsi perché il suo discorso anti-europeo non era abbastanza populista. Era troppo garbato. Gli antidoti al populismo hanno talvolta, a prima vista, un sapore populista. Il caso dell’attuale premier flic de France, del primo poliziotto di Francia, il ministro degli interni Manuel Carlos Valls, 51 anni, socialista di lunga data e uomo politico più popolare di Francia, è un caso singolare. Egli è gradito in egual misura dagli elettori di sinistra e di destra. E’ una vistosa eccezione, poiché l’azione di François Hollande, il presidente socialista, suscita l’approvazione di soltanto due francesi su dieci. Nessun altro capo dello Stato, nella Quinta Repubblica, ha raccolto meno consensi di lui. Sul piano della popolarità Manuel Valls non ha invece concorrenti: più di settanta cittadini su cento lo trovano efficace e in definitiva un ottimo ministro degli interni. Certe sue operazioni sono state approvate dal 92 per cento dei francesi. Manuel Valls, nato da un pittore catalano e da una madre svizzera italiana, diventato francese a diciotto anni, è un socialista con una grande passione: la sicurezza. E’ diventato un grande specialista della questione, senz’altro una delle principali agitate dai populisti, in particolare per quel che riguarda l’immigrazione. Nel partito questa inclinazione non gli ha portato molta fortuna. Alle primarie per la candidatura alle elezioni presidenziali ha raccolto soltanto il 6 per cento. Allora è apparso troppo di destra. Più un liberalsocialista che un socialdemocratico. La popolarità l’ha raggiunta quando Hollande l’ha nominato ministro degli interni e lui si è dimostrato molto più intransigente ed efficiente di un suo noto predecessore, Nicolas Sarkozy, che si è servi di quel dicastero come trampolino di lancio per diventare presidente della Repubblica.
Le sue dichiarazioni sui rom hanno suscitato vive reazioni tra i socialisti. Ha espresso dubbi sulla loro recuperabilità sociale, rendendo implicito il ritorno di molti nella patria d’origine (Bulgaria e Romania). C’è chi l’ha accusato di venir meno al «patto repubblicano », vale a dire ai principi di sinistra. E non sono mancate le polemiche col ministro della giustizia, Christiane Taubira, per le riforme carcerarie giudicate troppo lassiste. Valls si considera un combattente di prima linea contro il Front National. A volte ne adotta quelli che, a molti socialisti, sembrano gli stessi sistemi. Il populismo non è facile da combattere. Nella crisi entra in tutte le pieghe della società. E del cervello.

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«ECCO PERCHE’ DA NOI NON C’È UNA LE PEN» - Vittorio Macioce, il Giornale 24/4/2012 -

E poi una mattina ti svegli e sco­pri che Marine Le Pen è al venti per cento. Con tutti che chiacchie­rano e parlano e dicono e postano e twittano. Chi mestamente preoc­cupato, chi a sostenere «nulla sa­rà come prima», chi vagamente gongolando, chi «ve l’avevo det­to », come se davvero in questa sta­gione indefinita non ci resta da di­re a noi italiani che, attenzione, la «Francia siamo noi». Capitano mattine così. Poi magari ti senti an­che con una vecchia conoscenza per scambiare qualche parere e mettere su un’intervista, magari uno come Pietrangelo Buttafuo­co, che di certe cose se ne intende.
Marine Le Pen cambia la storia della Francia e dell’Europa?
«Eh, quanta fretta. Di fronte a qualsiasi fenomeno scatta l’istin­to, il riflesso condizionato, a piaz­zare l’etichetta. L’ho detto anche al mio caro amico Saviano, di cui mi sembra stai citando il tweet».
Vero. Il tono era piuttosto pre­occupato.
«La Francia non è l’Italia. Lì le storie di vandeani e giacobini rie­scono a convivere. Le ferite si ri­marginano, anche quelle più pro­fonde delle nostre. I prodotti che trovi sul mercato delle idee hanno un passato forte, radici profonde e alle spalle c’è tutta la Francia, con una solidità che resiste a tutte le scosse».
Chi è la figlia di Le Pen?
«È la Francia più profonda, quel­la che ha attraversato tutte le svol­te e le rivoluzioni. È la Francia di Giovanna D’Arco. È Andrea Ché­nier. È, nella variante belga, il ciuf­fo ribelle e conservatore di Tintin. C’è da sempre, sta lì, torna, s’ina­bissa e ricompare».
Eppure la famiglia Le Pen evo­ca la destra nazionalista, la xe­nofobia, via gli stranieri, non vogliamo gli immigrati. Non c’è solo la tradizione, ci sono anche le porte chiuse.
«Strumentale».
Strumentale?
«Sì ed è un peccato. Voglio anzi sottolinearlo con chiarezza. Quando la destra per opportuni­smo, per racimolare qualche voto in più, rimesta nella paura, punta l’indice verso l’immigrato, rinne­ga se stessa, cancella le sue intui­zioni politiche. Si svende, insom­ma ».
E ottiene il 20 per cento dei vo­ti.
«No, non ottiene voti. Li perde. Lo sai quale è lo slogan che sta pre­miando Marine Le Pen?».
Spara.
«L’euro ha fallito».
Il 20 per cento quindi è poco.
«Pochissimo».
Tutto quello che manca è il prez­zo da pagare alla cattiva fama.
«Sta accadendo quello che mol­ti già sospettavano. Come si fa ad amare una moneta senza indiriz­zo, senza casa».
Chi sarà il Le Pen italiano?
«Secondo te?»
Per ora ci sono i voti. Sono par­cheggiati in quel cinquanta per cento di indecisi, stanchi, disillusi, e tutti quelli che «non se la bevono».
«Parte di questo capitale torne­rà in gioco. Chi lo prende?» L’impressione è che in prima fi­la ci sia Grillo, qualcosa può prendere Storace, una parte re­sta nell’orbita leghista. Il resto è da vedere. Qualcuno pensa che sia tutt’ora berlusconiano.
«Possibile. Ma questo vale a boc­ce ferme. La verità è che in questo gioco la partita, almeno in Italia, non sia ancora iniziata davvero. Il voto di chi comincia a chiedere l’uscita dall’euro, di chi non si ar­rende a un Europa di tecnici e di banche, è ancora in gran parte in cerca d’autore.Non c’è un lepeni­sta in Italia. Nessuno che possa raccogliere un successo concre­to. Ma ci saranno sorprese».
Cioè?
«Sai chi potrebbe prendere
quei voti?».
L’idea era chiederlo a te. Que­sta bene o male sarebbe un’in­tervista.
«Travaglio».
Stai scherzando?
«No, no. Lo dico sul serio. Non è una provocazione. È un’uomo di destra, alle sue spalle c’è la destra montanelliana e anche quella se­rietà sabauda, quello stile un po’ scomodo ma che viene da una lun­ga tradizione. Non è la destra dei tecnici e neppure quella delle ban­che ».
È una destra che non verrà mai votata da libertari e garantisti.
«È la destra della legge e dell’or­dine ».
Meglio la destra liberale, liberi­sta e libertaria.
«Che tanto destra non è. Trava­glio sarebbe interessante. Come in Sicilia si prepara la sorpresa del­le sorprese».
Quasi quasi viene voglia di non saperlo.
«Antonio Ingroia che, per quan­to si dichiari partigiano è un altro legge e ordine, più di un Ronald Re­agan e già pronto per la politica».
Ronald Reagan quando faceva lo sceriffo, cattivo, nei we­stern. Non il presidente.
«Gli sceriffi stanno sempre con i buoni».
L’Europa comunque è al cam­bio di stagione. Che faranno gli italiani?
«Lo dico sottovoce, sperando che nessuno ci senta, ma il popolo italiano spesso mostra gli istinti peggiori. Sa essere carogna. È ven­dicativo. Non si vergogna del tradi­mento. C’è sempre un sacerdote che accompagna questa o quella metamorfosi. Non abbiamo una storia condivisa come in Francia. Il Risorgimento è stato raccontato male, la guerra civile dopo il venten­nio è stata raccontata male. Qui il passato è sempre di parte. Quando cambia una stagione non si sa mai dove si va a finire.L’unica cosa cer­ta è che in politica quando si crea un vuoto presto viene riempito».

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STEFANO MONTEFIORI, CORRIERE DELLA SERA 24/4/2012 -
PARIGI — Il ristorante preferito della donna che ha conquistato i voti di sei milioni di francesi è portoghese. «Chez Tonton» — davanti al «cubo» sede ufficiale del Front National a Nanterre — è il quartier generale ufficioso di Marine Le Pen, la locanda «operaia e popolare» dove la candidata ha dichiarato avrebbe festeggiato una pur sempre improbabile vittoria finale alle presidenziali, la sera del 6 maggio. Che differenza, con il lussuoso Fouquet’s sugli Champs Elysées teatro della famigerata cena di Nicolas Sarkozy con gli amici del Cac 40 (l’indice della Borsa parigina) esattamente cinque anni prima. E che sorpresa, per una paladina della Francia francese, preferire i calamari portoghesi di Tonton invece di quel che pigramente ci si aspetterebbe (una baguette al camembert o almeno la tradizionale tête de veau, la testina di vitello cara a Jacques Chirac, lui sì nel personaggio). Ma sono anni che «Marine», come viene chiamata ormai bonariamente anche in tv, si allena a spiazzare, a uscire dagli stereotipi. Le sue scelte e gusti, veri o falsi che siano, rivelano chi è la donna che sta cambiando la politica francese. Soprattutto, ci dicono come vuole apparire.
Marine Le Pen avrà forse letto i fumetti del grande Gotlib su SuperDupont, il supereroe in lotta contro l’Anti-Francia tutto baffetti, basco in testa e galletto al posto del falco sul braccio, insuperabile compendio di tutti i luoghi comuni dello sciovinismo gallico, e sembra fare di tutto pur di non ricalcare quella parodia. Quindi, tra i suoi idoli «Marine» cita l’Hemingway di Il Vecchio e il Mare, i versi preferiti sono Vita anteriore di Charles Baudelaire, al Figaro che indaga sui suoi gusti culturali confessa — sotto la categoria «caduta di gusto», chissà perché — una grande passione per Stephen King. L’attore preferito non è il francese Alain Delon ma l’americano Dustin Hoffman (quello di Cane di Paglia ma anche di Piccolo Grande Uomo), e lo scrittore che più l’ha influenzata è l’onnipresente Victor Hugo, di solito campione della sinistra.
Il personaggio Marine Le Pen è difficile da affrontare, come è complicato capire perché il 17,9% dei francesi l’abbiano votata. È sincera quando — anche ricorrendo a ogni possibile segno esteriore — si mostra diversa dall’impresentabile (e mai rinnegato) papà? Di sicuro lei ha trasformato il Front National, anche se è meno certo che l’abbia fatto in meglio.
Jean-Marie era talmente intriso di stereotipi antisemiti che ancora al congresso di Tours, un anno fa, riuscì a ridere del naso adunco di un giornalista «evidentemente ebreo». «Marine ha sostituito l’antisemitismo istintivo del padre con l’avversione per l’islam e i musulmani — dice lo studioso Madani Cheurfa di Sciences Po a Parigi —. Da cui per esempio la battaglia contro la carne halal». I musulmani rappresentano la saldatura dei due temi forti della sua politica: la questione sociale, cioè la difesa delle classi popolari deluse dalla sinistra e dall’Europa, e la lotta contro l’immigrazione. «I musulmani sono per il Fn quelli che vengono in Francia e rubano il (poco) lavoro che c’è, godendo dell’assistenza sociale pagata da generazioni di francesi — spiega Madani Cheurfa —. Marine Le Pen è contro l’euro e contro l’immigrazione musulmana. Se tanta gente non arriva a fine mese, a suo dire la colpa è loro». Uno su cinque degli aventi diritto al voto, domenica, ha votato per Marine Le Pen. Il Front National ha preso 4,8 milioni di voti nel 2002, 3,8 nel 2007, oltre sei milioni due giorni fa. Difficile con queste cifre limitarsi a parlare di «voto di protesta», come se tanti francesi fossero solo buontemponi o, al peggio, hooligan della politica.
Quello per Marine Le Pen è, più probabilmente, un vero voto di adesione. Forse non tanto ai valori del Vecchio e il Mare o di Victor Hugo, ma anche e soprattutto a quelli di Jean Raspail, 86enne scrittore che nel 1973 pubblicò Il campo dei santi (edito anche in Italia da Il Cavallo Alato), una specie di manifesto della cultura anti-immigrazione e anti-globalizzazione dell’estrema destra, tornato quarant’anni dopo a essere un bestseller in Francia.
Fa impressione assistere alle rare apparizioni televisive di Raspail, sorta di pacato anti-Stéphan Hessel della cultura francese. «Voi potete pensare che un mondo senza frontiere, dove i nuovi arrivati prendono il posto di chi abita quei luoghi da secoli, sia giusto e interessante — dice con grande tranquillità Raspail —. È il vostro parere, lo posso anche capire e lo rispetto. Ma, sapete, a me non piace. Forse nella storia è venuto il momento degli arabi o dei cinesi, o di quello che voi chiamate multiculturalismo, ma io non ne sono felice. Preferirei la Francia di un tempo». «Marine» può pure mangiare ogni tanto al ristorante portoghese, tenere sull’iPod Adele (la sua cantante preferita) o le amate serie tv di Dottor House, ma non è certo per questa sua nuova esibita modernità che poi si impone alle elezioni. Marine Le Pen ha successo perché Jean Raspail, lei, e sei milioni di cittadini, hanno la stessa, chiara, idea di Francia.
Stefano Montefiori

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LE PEN: «NON SONO IL DIAVOLO DI FRANCIA» - Stenio Solinas, il Giornale 11/4/2012 -

«Vogliono farci credere che l’Europa sia una fatalità, che dobbiamo per forza accettare il “fascismo dorato” dei mercati. Ciò che è accaduto in Italia è un colpo di Stato compiuto dalle ban­che per mettere al governo un im­piegato di Goldman Sachs... Mi creda, la vera frattura non è fra de­­stra e sinistra, ma fra chi vuole poli­tiche nazionali e chi vuole il mon­dialismo, l’internazionalismo eu­ropeo, lo chiami come le pare. Io mi batto per una nuova poli­­tica monetaria, che ten­ga l’euro come mo­neta comune, ma non come unica moneta, che ri­stabilisca il fran­co e le altre valu­te nazionali. Oc­corre una concer­tazione fra Stati per arrivare a questo, è chia­ro, uno smantellamento co­munitario, ma in caso contrario ci sarà l’implosione.Dove vogliamo arrivare? A sgozzare i greci, e poi gli spagnoli, i portoghesi e gli irlan­desi, gli italiani? È un effetto domi­no perverso, e la Francia non ne sa­rà risparmiata, perché siamo tutti sulla stessa scala, gradino più al­to, gradino più basso... Io voglio il vigore delle nazioni, non il rigore, voglio un patriottismo economi­co perché siamo popoli liberi: l’au­sterità imposta dall’alto ha qual­cosa di inumano. Vogliono farci credere che l’euro sia l’unica solu­zione, ma alle sue spalle ci sono ap­pena dieci anni di vita, una picco­la­parentesi nella storia pluriseco­lare del nostro continente. Certo, occorre ragionarci bene e a fondo, ma sa che cosa più mi inquieta e mi indigna? L’assenza di dibatti­to, il non volerne parlare, il dare tutto come già finito e definito, un pensiero unico che ha il sapore della dittatura del pensiero».
Marine Le Pen è una bella don­na bionda, è nata nell’anno stori­co della Contestazione, il 1968, è sposata e divorziata, porta un co­g­nome pesante che la anco­ra a un passato che non ha mai conosciuto e rischia di non farle avere mai un futu­ro. Nella primave­ra dello scorso anno, la sua can­didatura alle pre­sidenziali era valu­tata intorno al 25 per cento, in autunno era già scesa al 17 e adesso viag­gia sul 15 per cento. Eppure, se­condo un sondaggio dell’Istituto Csa reso noto l’altro ieri da Le Mon­de , nelle intenzioni di voto dei gio­vani fra i 18 e i 24 anni schizza al 26 per cento e al primo posto: Hollan­de le è dietro di un punto, Sarkozy di quasi dieci e così J.L. Melen­chon, l’ex trotskista chiamato a rinverdire i fasti della sinistra non socialista. Quando glielo si fa nota­re, Marine Le Pen sorride:«È diffi­cile “ misurarmi”perché è difficile capire se la “diabolizzazione” del nome Le Pen pesi ancora o se la “dediabolizzazione” abbia ormai preso il sopravvento. In più ho un elettorato invisibile, che non si manifesta, che non è abituato a manifestare. Dei giovani però so­no certa, perché si rendono conto che sono anti-sistema, perché sanno che il sistema va reinventa­to, perché rifiutano la legge della giungla liberista applicata sulla lo­ro pelle, l’idea che l’economia sia l’unico valore... È una giovinezza scioccata dal cinismo e dalla cor­ruzione e sa benissimo che non si può andare avanti così».
La sede del Front National sem­bra un ospedale. Non ci sono gad­get né manifesti e l’unica nota di colore è la bandiera francese die­t­ro le spalle del candidato alle pre­sidenziali. Il giornale dei giovani del Movimento si chiama Les Ma­­telots, i marinai, e nei raduni i ra­gazzi indossano t-shirt con su scritto Les gars de la Marine... è un altro retaggio paterno, del Jean-Marie bretone, amante del mare e amico di grandi e famosi velisti co­me Tabarly e de Kersauson, uno dei pochi retaggi che possono es­se­re esibiti senza accendere pole­miche e accuse di fascismo e di raz­zismo.
«Nel nostro Paese è come se ci fosse per strada una bomba pronta a esplodere. L’eccidio di Tolosa non si spiega se non si par­te dal fatto che in dieci anni, fra presidenza della Repubblica e mi­nistero dell’Interno, Sarkozy non ha fatto nulla contro il fondamen­talismo islamico. Dieci anni sono l’arco di tempo per cui i miei figli dalle elementari sono passati al li­ceo... Dopo la strage si sono effet­tuati degli arresti, ma quando ho chiesto quando e come quella gen­te fosse entrata in Francia, di che cosa vivesse, quali appoggi aves­se, non ho avuto risposta. Sarkozy non è uno che risolve i problemi, è uno che ricerca la politica dell’im­magine, come è accaduto per la guerra, perché guerra era, in Li­bia... Abbiamo destabilizzato un’area del mondo, non c’è la de­mocrazia in Libia, c’è un nuovo flusso di immigrati dal Mali dopo che anche lì c’è stato un colpo di Stato, povera gente in fuga per pa­ura e per fame, e intanto facciamo affari con il Qatar, che certo non è un campione dei diritti umani... Io sono l’eccezione francese di queste elezioni perché racconto le cose come stanno, non voglio la regolarizzazione dei clandestini, voglio restringere i margini d’in­gresso, sono per la “priorità nazio­nale” fra chi si propone per lo stes­so posto di lavoro. Abbiamo cin­que milioni di disoccupati, ma nessuno che in campagna eletto­rale parli della crisi economica: si fa finta che non esista».
È di questi giorni l’uscita nei ta­scabili, in una nuova edizione am­­pliata, della biografia che nemme­no un anno fa due giornaliste, Ca­roline Fourest e Fiammetta Ven­ner, avevano dedicato a Marine Le Pen. La nuova versione porta, sotto lo stesso titolo, Marine Le Pen, l’aggettivo démasquée, sma­scherata: più di 400 pagine che passano al setaccio il vecchio e il nuovo, il padre, la madre, gli in­trecci sentimentali e quelli econo­mici, il partito come clan, Front Fa­milial più che Front National, le zone d’ombra, i residui fascisti e quelli xenofobi all’interno di un elettorato che intanto è cambiato e rappresenta una parte non indif­ferente del Paese. L’impressione è di un buon lavoro d’inchiesta che però aggiunge poco non tanto su Marine Le Pen in sé, ma sul per­ché del suo successo. Forse la ri­sposta più che in lei sta negli errori altrui, nel fallimento di Sarkozy co­me figura nuova, nella disillusio­ne verso la politica politicante che dura ormai dagli anni Ottanta, nel­la paura sociale, economica, nella perdita di prestigio, nel rendersi conto che i margini di manovra na­zio­nali vanno sempre più riducen­dosi... «Sarkozy e Hollande sono la stessa cosa e, qualora uscissero loro al primo turno, non darò al mio elettorato indicazioni di voto per il ballottaggio. Ma sono fidu­ciosa, penso che le urne daranno una bella sorpresa. E comunque, quel voto giovanile di cui abbia­mo parlato fa di me la candidata dell’avvenire, di un avvenire di­verso ». Euro permettendo.