Giuseppe Pollicelli, Libero 18/10/2013, 18 ottobre 2013
UNA BATTUTA DI BERLUSCONI È LA QUINTA PIÙ BELLA DI SEMPRE
Parafasando una delle migliori battute del Novecento, «Non dite a mia madre che faccio il pubblicitario, mi crede pianista in un bordello» (è del francese Jacques Séguéla, che nel 1979 intitolò così la sua autobiografia), Silvio Berlusconi potrebbe formulare la seguente richiesta: «Non raccontate ai miei nipoti che sono stato un politico, loro mi credono un grande barzellettiere». Richiesta che il Cavaliere ha da ieri tutti i titoli, anche quelli ufficiali, per vedere soddisfatta. Il Dizionario Oxford delle citazioni umoristiche ha infatti collocato una sua facezia al quinto posto tra le battute più belle di ogni tempo. È un raro caso di notizia capace di fare tutti contenti: il diretto interessato, che da uomo vanitoso (ma anche di spirito) qual è si compiacerà alquanto di un così autorevole riconoscimento; i suoi sostenitori, che vedono Silvio eccellere in un altro campo dopo i successi nell’imprenditoria, nei media, in politica, nel calcio e via elencando; infine i suoi detrattori, che avranno buon gioco nel sostenere che loro lo avevano sempre detto che il Cav è fondamentalmente un comico. Resta da svelare la frase che ha catapultato Berlusconi nel gotha dei battutisti. Eccola: «Prenderò domande dai maschi ma dalle ragazze voglio numeri di telefono». Che dire? Di sicuro si tratta di una battuta ben rappresentativa del suo autore, e altrettanto certamente è una tipica arguzia da indefesso tombeur de femmes. Non sappiamo, in tutta onestà, se possa essere considerata una delle migliori cinque di sempre ma va detto che, senza dubbio alcuno, non sfigura al cospetto di quella a cui il Dizionario Oxford ha riservato il gradino più alto del podio, ovvero l’incipit di “Orgoglio e pregiudizio” di Jane Austen: «È verità universalmente riconosciuta che uno scapolo in possesso di un solido patrimonio debba essere in cerca di moglie ». In Silvio, peraltro, nonostante i tanti guai che sta passando in questo periodo, la passione per l’ironia non sembra essersi affatto affievolita. Già, perché lui è l’equivalente meneghino del romanissimo Finocchiaro del “Compagni di scuola” di Verdone: «Ahó, io so’ fatto così, ’a battuta mepiace, nun ce posso fa’gnente». Lo ha confermato, da ultimo, Iva Zanicchi, la quale solo due giorni fa ha rivelato che all’incontro con gli europarlamentari del Pdl il Cavaliere non ha mancato di elargire l’immancabile barzelletta a sfondo (blandamente, nella circostanza) sessuale. Una spiccatissima attitudine per lazzi e spiritosaggini, nonché per epocali performance ammazza-protocollo, Silvio l’ha d’altronde sempre dimostrata, e sarebbe davvero impossibile riassumere anche parzialmente i suoi più clamorosi exploit, dalle corna in una foto ufficiale del vertice UE alla barzelletta su Hitler raccontata a Londra, dalle continue (e un po’ moleste) freddure che lo vedono protagonista al gesto del mitra durante una conferenza con Putin, dall’irridente spolverata alla sedia di Marco Travaglio alla storiella licenziosa sul sapore particolarissimo di una mela. La sua statura di burlone è così consolidata che, come accade ai grandi, gli attribuiscono anche battute che probabilmente non ha mai detto, tipo quella sulla Merkel «culona inchiavabile». «Chi l’avrebbe previsto che un semplice attore sarebbe diventato addirittura il presidente degli Stati Uniti?», si diceva di Ronald Reagan. Di Silvio si potrebbe dire: «Chi se lo immaginava che un semplice politico si sarebbe rivelato, nientemeno, uno dei nostri maggiori umoristi?».