Sandro Iannaccone, L’Espresso 18/10/2013, 18 ottobre 2013
TUTTI PAZZI PER IL CLOUD
Da qualche parte nel mondo, un esercito silenzioso compie indefesso il proprio lavoro. Non di militari si tratta, ma di milioni e milioni di server, piccoli parallelepipedi lucidi e oblunghi, ordinatamente impilati dentro una serie di scaffali altissimi. Le caserme che li ospitano sono in realtà enormi capannoni (le cosiddette server farm), strategicamente posizionati in località segrete o estremamente inospitali, tra i ghiacci del Golfo di Finlandia o nei deserti dello Utah. Ambienti iperasettici, il cui interno brilla soltanto della luce di migliaia di led multicolore, sorvegliati ventiquattr’ore su ventiquattro dall’occhio vigile della telecamera, e tenuti a temperatura costante da condizionatori e impianti di raffreddamento ad acqua. La consegna di questi soldatini è di ricevere petabyte di dati e informazioni, elaborarli e rimetterli in circolo sulla Rete. Sono i dati e le informazioni che produciamo e scarichiamo ogni giorno nel pc di casa o nello smartphone. Qualcuno ha dato a questo ecosistema di bulloni, chip e lamiere un nome decisamente impalpabile: nuvola informatica o, per essere più precisi, cloud computing.
In realtà l’accostamento tra impenetrabili server farm e cirri, cumuli e nembi non è poi così azzardato. I gadget elettronici di oggi stanno diventando sempre più simili a involucri vuoti. Eseguono meno calcoli e memorizzano meno dati, conservando le stesse funzionalità di prima. Miracolo di Internet, che ha aperto scenari del tutto nuovi. Non è più il computer di casa a doversi occupare di memorizzare dati o eseguire operazioni: grazie al cloud, lo svolgimento di queste attività viene relegato a dispositivi esterni connessi in Rete tra loro. Presi nel loro insieme, tali dispositivi costituiscono la "nuvola" impalpabile che sta sopra le nostre teste e dà il nome alla tecnologia. Il cloud computing rappresenta, in sostanza, un sistema in cui l’utente smette di utilizzare in proprio un prodotto fisico (il proprio hardware, la "ferraglia") o un programma informatico, e si serve dell’insieme delle tecnologie necessarie a far funzionare quel prodotto altrove, senza disporne fisicamente. Un esempio sono le mappe online. Quasi nessuno, ormai, scarica sul proprio computer le applicazioni necessarie a calcolare l’itinerario migliore per un viaggio. Ci si collega a un sito e si utilizza un software non personale, che "vive", per l’appunto, sulla nuvola. E per motori di ricerca, servizi di posta elettronica e musica in streaming, tanto per fare altri esempi, vale lo stesso discorso: il cloud è dappertutto. È curioso, tra l’altro, notare come la maggior parte degli internauti stia già utilizzando la nuvola informatica senza saperlo, per attività ormai diventate parte della routine quotidiana.
Tanti utenti vuol dire tanti soldi. Si stima che il volume d’affari totale delle aziende che si occupano di vendita e gestione di infrastrutture per il cloud computing raggiungerà i 110 miliardi di euro entro l’anno prossimo, la metà dei quali nei soli Stati Uniti. Nel 2008 ne valeva appena 46. La crescita di queste società è cinque volte più veloce rispetto alla crescita media del settore dell’Information Technology. Tanto che tutti i colossi dell’informatica - Microsoft, Google, Apple, Ibm, Amazon - si sono attrezzati e hanno lanciato i propri servizi cloud, investendo nel settore quote sempre più cospicue dei propri budget. E proponendo agli utenti offerte sempre più ricche e variegate. Il servizio più richiesto tra i privati è quello dell’archiviazione remota dei dati: senza spendere un euro, per esempio, ci si può riservare fino a sette gigabyte di spazio su SkyDrive, la piattaforma cloud di Microsoft. Espandibili a cento con 40 euro l’anno.
In ogni caso, nonostante il trend mondiale, i cibernauti di casa nostra restano più tradizionalisti e meno sensibili all’innovazione rispetto a quelli d’oltreoceano. Un’indagine di Altroconsumo ha rilevato che il 72 per cento degli italiani, per esempio, ancora non utilizza alcun sistema di archiviazione online per ordinare i propri file, ritenendo i sistemi cloud «non affidabili». È la vecchia storia del contante sotto il materasso: non ci si fida di affidare i dati a servizi esterni, ritenendo più sicuri i propri hard disk fisici. Sempre stando ai dati di Altroconsumo, il sistema che va per la maggiore è Dropbox, seguito da Drive - cloud targato Google, che oltre all’archiviazione dispone di una piattaforma per la gestione condivisa dei documenti (vedi box a sinistra) - iCloud (Apple) e il già citato SkyDrive.
MONEY MONEY
Cloud computing, in ogni caso, non vuol dire soltanto archiviazione remota. È un’architettura dalla portata molto più ampia. Dalla nuvola piovono servizi di posta elettronica, messaggistica istantanea, videogiochi. Sistemi operativi, addirittura. Strumenti estremamente appetibili soprattutto per le imprese, che si stanno mostrando sempre più ricettive e interessate. Spostare molte delle proprie attività sul cloud, infatti, promette di ridurre drasticamente i costi, utilizzare più efficacemente le risorse e ottimizzare i flussi di lavoro. In particolare, con il passaggio alla nuvola l’azienda non deve più gestire i propri sistemi informatici, perché a occuparsene è il fornitore esterno che offre la piattaforma e i servizi di cloud, e può contare su un’architettura tagliata su misura in base alle proprie esigenze, senza rischi di sprechi dovuti al sovradimensionamento delle risorse. In più, i sistemi cloud sono estremamente scalabili - aggettivo caro agli informatici - nel senso che è facile espandere o ridurre le funzionalità a seconda dei bisogni del momento. Il tutto pagando solo i servizi necessari: è per questo che gli esperti si attendono che le aziende che passeranno al cloud risparmino complessivamente il 31 per cento nei prossimi cinque anni.
Queste considerazioni, naturalmente, sono ancora più allettanti in tempi di crisi. Secondo un’indagine condotta quest’anno da Vanson Burn, agenzia statunitense specializzata in ricerche di mercato, il 55 per cento delle grandi aziende americane - quelle con un fatturato superiore ai 500 milioni di dollari - usa il cloud da tre o più anni. In Europa sono un quinto; in Italia, meno di un sesto. Ma le rilevazioni indicano, ancora una volta, una crescita piuttosto rapida: il 31 per cento dei manager italiani intervistati ha dichiarato di essere in procinto di investire un terzo del proprio budget per portare sulla nuvola i propri sistemi informatici.
CACCIA ALL’ASSETT
L’andamento sembra essere simile anche per le piccole e medie imprese, per cui «il cloud computing può essere un valido alleato per dare avvio a progetti complessi in tempi brevi e con investimenti accessibili per superare il tradizionale gap con aziende più grandi», come ricorda Carlo Purassanta, ad di Microsoft Italia. Un sondaggio commissionato dall’azienda a Ipsos Mori ha mostrato come oltre la metà delle piccole e medie imprese italiane sia convinta che il cloud diventerà sempre più importante per il proprio successo. E, in effetti, il 44 per cento di loro fa già uso di servizi di questo tipo, specialmente per posta elettronica, condivisione di documenti, archiviazione di dati e back-up e messaggistica istantanea. Tra l’altro, queste aziende hanno una percezione più rosea del futuro rispetto alle altre e si mostrano più innovative e propense a investire in tecnologia. Uno dei problemi evidenziati dal sondaggio è, tuttavia, la mancanza di know-how: «Nel 42 per cento dei casi», continua Purassanta, «le piccole e medie imprese non hanno un IT manager, e le inevitabili decisioni sono spesso affidate a quello che può essere definito un Involuntary IT manager». Insomma, a decidere è un manager di buona volontà e magari una sua personale passione per Internet. È proprio per sopperire a lacune di questo tipo che stanno emergendo figure professionali in grado di accompagnare le imprese nell’adozione del cloud. Una sorta di mentori della nuvola, per dirla in altre parole. E, allo stesso scopo, è stato avviato il progetto "Digitali per crescere", un ciclo di attività di formazione che sarà in tour nelle principali città italiane, in partnership con enti pubblici e privati.
COM’È BIG QUEL BLUE
I colossi dell’informatica, com’è ovvio, sono a caccia di clienti e soluzioni nuove da proporre. Da questa che ormai si presenta come la nuova guerra del net-marketing, Ibm si aspetta un fatturato annuo di 7 miliardi di dollari entro il 2015, e ha appena rafforzato la propria offerta con l’acquisto di SoftLayer Technologies Inc., la più grande società al mondo a capitale privato che fornisce infrastrutture di cloud computing. È l’ultima di una lunga serie di acquisti iniziati da Big Blue nel 2007: i dettagli finanziari dell’operazione non sono stati resi noti, ma è probabile che l’ad Ginni Rometty abbia dovuto staccare un assegno a nove zeri per l’acquisizione. In totale, sono oltre 20 mila le imprese che si sono affidate finora alla "terapia" cloud di SoftLayer, che potrebbe rappresentare, anche per le aziende nostrane, una via d’uscita dalla crisi, nella direzione dell’innovazione.
RIDURRE I CONSUMI
Tra l’altro, se la ragione economica non fosse sufficiente, i ricercatori del Berkeley Lab ne hanno da poco proposta un’altra. La ricaduta ambientale. Gli scienziati, consultati da Google, hanno scoperto che se tutti gli uffici statunitensi adottassero la strategia cloud convertendo le infrastrutture già esistenti, l’assorbimento di energia elettrica dei reparti informatici scenderebbe dell’87 per cento, cioè circa 23 milioni di kilowattora, più o meno il fabbisogno annuale di una città come Los Angeles. Sull’altro piatto della bilancia, tuttavia, ci sono i consumi dei dispositivi senza fili, come tablet, cellulari, sistemi hardware e antenne di collegamento, che dovrebbero restare sempre accesi. Secondo uno studio congiunto di laboratori Bell e Università di Melbourne, l’ascesa di questi sistemi farà aumentare le emissioni di carbonio di 24 megatonnellate entro il 2015. Una cifra che, però, non tiene conto del numero di automobili che il cloud computing toglierebbe dalle strade, facilitando il telelavoro e riducendo la necessità di spostamenti.
Accanto agli indubbi vantaggi offerti dalla nuvola, in ogni caso, restano da valutare attentamente le problematiche relative a sicurezza e privacy. Che, sempre secondo lo studio Microsoft-Ipsos, sono quelle che inibiscono maggiormente le piccole e medie imprese. Il timore principale è che dati aziendali, personali o sensibili possano essere usati dal fornitore dei servizi cloud per eseguire ricerche di mercato o profilazione degli utenti. O che, ancora peggio, vadano rubati per ragioni di spionaggio industriale. Una preoccupazione che gli sviluppatori stanno tenendo in gran considerazione, tanto che tutte le campagne promozionali fanno perno proprio sulla garanzia di sicurezza dei servizi offerti.