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 2013  ottobre 18 Venerdì calendario

MALATI DI RUMORE ALLA RICERCA DEL SILENZIO PERDUTO

MALATI DI RUMORE ALLA RICERCA DEL SILENZIO PERDUTO –

Mentre parlo al telefono con Mirko Laurenti, cittadino di Marino, comune alle porte di Roma e a pochi metri dalle piste dell’aeroporto di Ciampino, a un certo punto si sente soltanto un boato. «Eccone un altro», sospira. Da tredici anni, lui combatte contro l’inquinamento acustico che ha reso “tossica” l’esistenza di quasi tremila abitanti, compresi in un’area tra il suo comune e quello di Ciampino, fino a lambire il settimo municipio di Roma. Un calvario di decibel, anche di notte. Dal 2000, quando il traffico dell’aeroporto è di colpo esploso per lo sbarco dei low-cost, sulla loro testa si è consumata un’ingiustizia, confermata da medici di famiglia e indagini della Regione.
I circa 150 movimenti giornalieri provocano problemi cardiovascolari negli adulti, oltre a disturbi cognitivi e alterazione all’udito dei bambini in età scolare, seduti ai loro banchi sotto le rotte degli aerei.
«È un’emergenza», torna a farsi sentire, dopo il black-out, Laurenti, membro del comitato contro l’impatto ambientale di Ciampino dalla sua nascita, nel 2001.
La guerra di Ciampino è soltanto un puntino tra mille, sulla mappa di quella che è diventata una crisi sanitaria italiana, europea, planetaria, e riguarda ogni essere vivente, fino ai granchi, e i Paesi in via di sviluppo ancora più di noi. Stravolge cervello e corpo, altera lo stile di vita, innalza la pressione. Abbiamo cambiato il suono del pianeta. Come dice Michael Webster, neurobiologo della Cornell University, «è uno tsunami dalle conseguenze inimmaginabili, stiamo diventando sempre più rumorosi, ma nessuno se ne accorge».
L’aggressione sonora è un’esperienza comune a tutti, esistono leggi adatte, eppure il mal da rumore non fa ancora abbastanza clamore. Interrotti nel sonno da lampi sonori di traffico, vetri che precipitano nelle campane, schiacciati sotto una massa critica tale da farci smarrire il sussurro del pensiero, raramente rivendichiamo i nostri diritti alla quiete. Forse perché il rumore è invisibile, oppure perché s’associa al divertimento. Per una ragione antica: l’orecchio è l’unica porta sensoriale che non riposa mai. Anche quando dormiamo, la sirena dell’ambulanza penetra in profondo, intensifica i battiti, accresce lo stress. Il fatto che col tempo abbiamo imparato a non prestare attenzione, a ignorare i rumori, è uno svantaggio, perché ci spinge a trascurare gli effetti sulla salute. L’orecchio è un amplificatore straordinario, evoluto dall’apparato uditivo di creature piccole che, per sopravvivere ai predatori, dovevano sentire tutto. Ora l’eccezionale sensibilità delle nostre orecchie è un handicap.

Discariche sonore. Ed è un paradosso che in molti Paesi, Italia inclusa, siano applicate con rigore le leggi riguardanti il mondo del lavoro, lasciando però in ostaggio dei decibel il resto: tempo libero, sonno, vacanze, riflessioni, passeggiate, cene. Come scrive il saggista americano George Prochnik, autore dell’illuminante saggio In Pursuit of Silence, «lasciando che gli spazi pubblici diventino discariche sonore, condannando le classi non privilegiate a vivere in quartieri rumorosi, in giornate frastornanti, il silenzio sta diventando privilegio dei ricchi».
Non mancano sentinelle e allarmi su larga scala. Per l’Organizzazione mondiale della sanità, ridurre la nostra dieta sonora è una priorità. Marie-Eve Héroux è responsabile per la qualità dell’aria e del rumore al Centro europeo dell’ambiente, a Bonn. Traccia un quadro sintetico. «Più del 60% della popolazione urbana europea è esposta a un livello malsano di rumore ambientale per tutto il giorno, superiore ai 55 decibel, e il 40% durante la notte, oltre i 50 decibel (in entrambi i casi circa il venti per cento oltre il sopportabile, ndr). Gli effetti sono spaventosi. Secondo il rapporto più recente della World Health Organization, soltanto il baccano del traffico sottrae annualmente un milione di anni di vita in salute in Europa occidentale. Invece che di piena salute, sono anni di malattia, disabilità o morte precoce».
Uno studio commissionato dal Ministero dell’Ambiente olandese al rigoroso Istituto di ricerca TNO mette in risalto che l’inquinamento acustico generato dal traffico causa danni al 44% della popolazione Ue e costa 326 miliardi di euro alla sanità comunitaria. Conseguenze più frequenti, disturbi del sonno, effetti cardiovascolari, problemi all’udito, con l’aumento di quel fastidio sempre più invadente, il fischio alle orecchie. Il tinnitus.
Da vent’anni si cerca di rimediare. Lo spartiacque, nel 2002, quando il Parlamento europeo ha approvato una direttiva ambientale, base di ogni misura di prevenzione. Data la complessità del problema, l’informazione è il primo obiettivo; la parola chiave è “zonizzazione”, una mappatura delle sorgenti sonore di un’area, incluse le misure per il contenimento.
In Italia, dare un valore alla gravità del problema è impresa ardua. Se si fa caso alle proteste quotidiane, non sembra si sia fatto molto. Non c’è regione o città che non presenti picchi di sofferenza. A Milano, la costruzione della linea del metrò 5 ha rovinato l’estate di numerosi residenti di zona Sempione, barricati in casa. Storia simile per la metropolitana leggera di Cagliari, con gli abitanti del quartiere di Genneruxi sottoposti allo stridio dei convogli su rotaie consumate, quarto peggior rumore al mondo, secondo il più autorevole collezionista di mostri acustici, il professor Trevor Cox, della Salford University inglese.
Un’inevitabile conseguenza del progresso, diranno in molti. Meno imperativo, molto italiano, è l’inquinamento acustico provocato dalla cosiddetta movida. Non si limita a sconvolgere alcune zone sacrificali (secondo Legambiente, a Trastevere, anche alle tre di notte, il livello dei decibel è vicino agli 80). Ormai la musica diffusa, o passiva, domina. È la tirannia soft della “muzak”, o “piped music”. Sintetizza Daniel Barenboim: «Curioso che in Italia giustamente non si possa più fumare in nessun bar, ma in compenso sia impossibile trovare un bar silenzioso e senza musica di sottofondo».
La nostra presa di coscienza è lenta. Secondo Giorgio Zampetti, responsabile scientifico di Legambiente, associazione che, con il “Treno Verde”, monitorizza i livelli di rumorosità cittadini, «l’inquinamento acustico è ancora considerato in secondo piano rispetto a quello ambientale. Ci sono norme precise, non sono applicate. Manca la conoscenza, la zonizzazione del rumore; anche per aree sensibili, come scuole e ospedali. Il “Treno Verde” ha dimostrato che ci sono superamenti dei limiti di legge in tutte le città. Per compiere interventi di risanamento, serve la classificazione acustica dei comuni. E molti non hanno ancora risposto».
A leggere le tabelle del loro studio “Mal’Aria di Città 2013”, le differenze sono notevoli. Si passa dal 97% dei comuni radiografati nelle Marche allo 0% della Basilicata.
A mancare, sottolinea ancora il documento, sono i controlli. Il monitoraggio, nell’82% dei casi, non è deciso a monte, ma è il risultato delle segnalazioni dei cittadini. Il che si traduce in attesa e sofferenza. Il tempo può essere infinito, come testimonia Pierluigi Adami, portavoce del comitato contro il rumore dell’aeroporto di Ciampino. «Tredici anni. Con le piste a 100 metri dalle case. Prima di aprire lo scalo ai voli low-cost, non fu presa l’impronta acustica. Quando finalmente è stata realizzata, nel 2010, si è dimostrato che almeno 2.500 persone vivono in un’area incompatibile con la residenzialità. A fine giugno di quest’anno, Aeroporti di Roma doveva presentare un piano di rientro dei decibel nei limiti di legge. Ancora niente».
Come capita spesso, a rimandare, si paga di più. Per il ritardo nel seguire le norme comunitarie, a fine maggio, l’Unione Europea ci ha messo in mora. Se non si produrranno giustificazioni sufficienti, la multa sarà salata. Una fonte del Ministero per l’Ambiente dice che a fine agosto sono state prodotte le risposte alle richieste di chiarimenti; si è in attesa di vedere se saranno giudicate sufficienti.

Disturbi non scontati. Anas, autostrade, ferrovie e aeroporti hanno approvato piani di risanamento, sono le aree urbane, piccole e grandi, a non avere i soldi per intervenire. Qualcosa d’importante è stato fatto. Basta viaggiare in autostrada, per accorgersi della scomparsa di tanti panorami: effetto dei tremila chilometri di barriera sonora apposti in questi anni.
«L’udito è fondamentale per la qualità della vita», afferma Antonio Arpini, audiologo della facoltà di Medicina milanese. «Secondo l’O.M.S., nel 2001 le persone con problemi uditivi erano mezzo miliardo. Entro il 2030 dovrebbero raddoppiare». Tre le cause: lavoro, traffico, divertimento. L’eccessiva esposizione provoca danni uditivi ed extra-uditivi, e i secondi compaiono prima degli altri. L’orecchio non è programmato per dormire, e continua a sollecitare alcune aree del cervello, con effetti pesanti sul sistema endocrino, psicologico; sul sistema cardiovascolare e persino su quello visivo. «I disturbi uditivi possono insorgere nel tempo, o essere il risultato di traumi, come assistere a un concerto dei Megadeth, che pretendono di suonare a 130 decibel, ben oltre la soglia del dolore».
L’audiologo pensa a un’alternativa. «La ricerca sul silenzio mi ha portato, molti anni fa, nel deserto giordano, vicino a Petra, tra i beduini Nabatei, che nascono e vivono lì. La loro storia uditiva ci ha permesso di sfatare due verità antiche; e cioè che le donne sentano meglio degli uomini e che l’invecchiamento porti alla sordità. Studiando gli adulti nabatei, dai 30 ai 100 anni di età, abbiamo visto che maschi e femmine non presentano differenze, e gli ultracentenari erano appena meno in grado di sentire dei bambini. Però loro avevano vissuto in un ambiente a 24 decibel. A Milano la media è 78».

Ritrovare la pace. La verifica di quest’ultimo valore è di una banalità amara e disarmante. Basta uscire di casa, dopo essere stati già assaliti da sirene, allarmi, cani isterici dei vicini, lavori stradali nel weekend, aerei a bassa quota perché minaccia il temporale, e salire sulla linea tre della metropolitana milanese, diretti a Duomo, e, dentro al convoglio, sopportare quelli che, prima delle proteste del 2010, erano 111 decibel, e ora saranno poco meno; non sufficienti a scoraggiare i suonatori di violino tzigano, ma tali da costringere numerosi passeggeri a isolarsi con cuffie. Percorrere poi le poche centinaia di metri fino a piazza San Babila, ostaggi delle voci di Kesha, Swim Deep, Get Lucky dei Daft Punk, Rihanna, che escono dai negozi monomarca, per mescolarsi ai virtuosi del sassofono e dei bonghi, aggrediti dal basso dalle voci sparate nei cellulari e dall’alto da un elicottero che ronza sempre più spesso nel cielo sopra Milano.
È il centro, è sabato. Va bene. La sensazione però è che, come con privacy e social network, stia avvenendo lo stesso con il nostro silenzio. Noi lo regaliamo. Altri ne approfittano.
Poche settimane fa, sul domenicale del New York Times, George Prochnik ha pubblicato l’articolo dal titolo: «Sto pensando. Per favore. Fate silenzio». Descrive la frustrazione di Arthur Schopenhauer che, traslocato nel centro commerciale di Francoforte, irritato dal suono “infernale” della frusta dei cocchieri, dai fischi dei vicini e dalle porte sbattute, attorno al 1850 dichiarò guerra al rumore, nemico di ogni pensatore.
Senza essere filosofi, oggi ci si accontenterebbe di sentirsi pensare, ogni tanto. Così, quando, all’improvviso, riaffiora il silenzio, è quasi un’epifania. Basta un film muto, come The Artist. La sospensione sonora s’infiltra dove può. Con le sempre più frequenti tracce fantasma in fondo ai cd. Nei gesti di chi fa Tai Chi al parco, o negli sguardi dei ragazzi impegnati in una “Silent Disco”.
Che sia fondamentale disporre di oasi silenziose se ne sono accorti aeroporti, ferrovie, municipalità; associazioni come l’Accademia del Silenzio, fondata non a caso «nella rumorosa notte di capodanno del 2009, in mezzo ai botti» da Nicoletta Polla-Mattiot, che me ne parla, e da un docente dell’università milanese della Bicocca, Duccio Demetrio.
«È nata con uno scopo didattico, creare una scuola del silenzio, a Milano e in altri luoghi italiani. Si rivolgono a noi operatori sociali, genitori, personale medico e sanitario, per riscoprire il valore etico, sociale, educativo, del silenzio. Abbiamo anche un fine militante: il rapporto con le amministrazioni locali, per creare oasi di quiete metropolitane. Nello scorso aprile siamo riusciti a organizzare, anche a Milano, la prima “Giornata contro il rumore”.
Forse il silenzio sta diventando il nuovo sesso. Ho questa sensazione dopo aver dedicato tempo al sito dell’associazione, che raccoglie un emozionante censimento dei luoghi di quiete. Le testimonianze degli utenti, descrizioni di valli, fari, piazze, boschi, fiumi, sembrano ritratti di corpi amati. «Tra un paio di anni», spiega Nicoletta Polla-Mattiot, «andremo a verificare direttamente se ci sono le condizioni necessarie. In caso positivo, metteremo sulla mappa la nostra piuma blu, simbolo di un’oasi emotiva».
Per molti adolescenti, un tempo prima del rumore non è nemmeno esistito. Forse oggi non potrebbero sopravvivere figure “silenziose” come Bergman, Beckett, Harold Pinter o Italo Calvino e l’amico Borges. Da un romanzo sorprendente (e dal titolo opportuno) appena uscito, La storia del silenzio dello spagnolo Pedro Zarraluki (Neri Pozza): «Calvino entrava, si sedeva e non apriva bocca. Siccome si ostinava a restare in silenzio e il maestro era cieco come una talpa, qualcuno gli rimproverò che Borges non avrebbe potuto capire se l’amico era ancora lì o se n’era andato. L’argentino prese le sue difese con la baldanza che lo caratterizzava. “Non preoccuparti”, obiettò. “Lo riconosco dal silenzio”».
Nel suo articolo per il New York Times, Prochnik avanza un’ipotesi: e se il silenzio fosse una precondizione per la democrazia? Gli uomini che si riunirono per scrivere la Costituzione degli Stati Uniti avevano fatto coprire con della terra le strade che circondavano Independence Hall, dove si sarebbero messi al lavoro. Certo è un requisito planetario. Come sintetizza l’esperto di bio-acustica, l’americano Bernie Krause: «Man mano che il rumore dell’uomo sta diventando assordante, un grande silenzio si sta espandendo sul mondo naturale».