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 2013  ottobre 18 Venerdì calendario

AUGUSTO IL PRIMO IMPERATORE CHE TRASFORMÒ ROMA IN UNA CITTÀ DI MARMO


ROMA Duemila anni fa moriva l’imperatore che si celebrava come princeps di una nuova età dell’oro, e oggi Roma ricorda Augusto con una grande mostra alle Scuderie del Quirinale progettata da Eugenio La Rocca (e realizzata da un comitato scientifico composto da La Rocca stesso, Claudio Parisi Presicce, attuale Sovrintendente capitolino, Annalisa Lo Monaco, Cécile Giroire, Daniel Roger). Rispetto alla mostra tenutasi a Berlino del 1988 nel Gropius-Bau questa romana si basa sulla più aggiornata conoscenza degli studi e mette al centro il tema della produzione artistica senza la pretesa di sviscerare ogni aspetto del mondo augusteo, tramite uno sforzo organizzativo eccezionale che ha impegnato le maestranze delle Scuderie, sotto la direzione di Mario De Simoni coadiuvato da Matteo Lafranconi, in un allestimento che ha richiesto mesi di lavoro, degno veramente di ogni lode.
L’esposizione appare quale vera e propria epopea di cui offre subito una sintetica immagine la superba scultura dell’Augusto di Arles, opera gigantesca da confrontare con l’Augusto di Prima Porta, altro titano pure presente. Qui alle Scuderie il grande argomento è quello della visione della classicità e dei caratteri peculiari dell’arte nell’età augustea. Ottaviano Augusto, attraverso l’arte e la letteratura, tese a dimostrare come con il suo avvento fosse ritornata la mitica “età dell’oro”. Ovunque, all’epoca, appare il suo ritratto nei diversi momenti del lunghissimo comando. Oggi ne restano poco più di duecento raggruppabili, come ben si vede in mostra, in tre tipologie fondamentali: ora viene paragonato ad Apollo, ora è un nudo in armi, ora è togato e velato, custode della pace, rinnovatore della grande tradizione antica. La sua effigie è monumentale o visibile su gemme, cammei, monete. La sua presenza investe di sé ogni manifestazione artistica di cui la mostra offre vasta documentazione, anche se pittura e architettura appaiono solo da proiezioni di suggestive immagini che accompagnano il visitatore.
Come fu formulato in arte il principio del ritorno dell’età dell’oro, della consacrazione di una fase sociale di pace, prosperità, ordine e bellezza? Trasgressivo, ironico, spiritoso, prudente ma portato alla battuta aspra e volgare, Augusto padre della patria volle che la produzione artistica del suo tempo ambisse a presentarsi come sintesi universale incentrata, appunto, sull’idea del ritorno alle origini riscontrate negli atti di governo e nella politica generale, nell’amministrazione e nella gestione delle risorse, quale si vede nell’Ara Pacis, eretta in suo onore a partire dal 13 a. C. L’imperatore vuole creare uno spazio estetico necessario per definire un potere assoluto e ambiguo, pacificatore e insieme ipocritamente attento a utilizzare costantemente lo strumento del ricatto e del pettegolezzo per comprare qualunque cosa, dal potere militare, alla legittimità della discendenza da Giulio Cesare, alla subdola forza della diffamazione, mescolando vizi privati e pubbliche virtù tali da costringere il Senato a acclamarlo e proteggerlo. Dice lo storico Svetonio che Augusto in tarda età avrebbe affermato di aver preso Roma quando era una città di mattoni e di averla trasformata in una città di marmo. La verifica storica, attuabile anche nel percorso della nostra mostra, gli dà ragione. C’è, peraltro, una miriade di autentici capolavori che permettono di avere chiara la visione di un’arte che è tale perché così la vuole il potere costituito ma che parla con un linguaggio autonomo che di quel potere è largamente in grado di prescindere. I principi della Riconciliazione e della Rinascita sono chiaramente espressi nell’Ara Pacis ma risultano altrettanto chiaramente espressi in tutta l’arte augustea. Dal Louvre (che ha collaborato in modo determinante a questa mostra che vi verrà poi esposta dopo la sede romana) è giunto anche l’unico frammento dell’Ara Pacis portato via da Roma e di cui, nella ricostruzione attuale nell’edificio di Meier, si vede un calco. È un frammento stupendo, paragonato in mostra a un altro pezzo sublime che dice molto sulla scultura romana del tempo la Tellus proveniente da Cartagine e che è in chiaro rapporto con il riquadro detto la Saturnia Tellus dell’Ara Pacis.
Questi pezzi memorabili permettono di orientare tutta la visita, a condizione di comprendere il loro “classicismo” che non è imitazione a Roma del modello greco, ma è una rinnovata e vivente sintesi di arcaico e moderno, di idealizzazione e naturalismo secondo un principio di verità e intimità che Augusto, vero Giano bifronte distruttore e insieme salvatore dei valori repubblicani, porta nel dibattito culturale romano facendone un prototipo di riferimento per i secoli a venire. Quello che veramente colpisce è la raffinatezza e la delicatezza estrema di certa produzione artistica come nei formidabili argenti provenienti dal tesoro di Boscoreale o le incredibili ceramiche sigillate aretine prestate in parte dal Louvre, per non parlare di alcuni arredi della casa come una serie di vetri che documentano la eleganza e la preziosità di questa arte, imperiale ma sobria e discreta. Sorprende, nella visita alla mostra, l’afflato del sentimento che si vede in numerosissime opere che tutto sembrano meno che apoteosi servili del potere. Lo si percepisce bene, ad esempio, nei tre rilievi marmorei Grimani (due da Vienna e uno da Palestrina) forse parti di un ninfeo con le rappresentazioni di una pecora, una leonessa e una cinghialessa che nutrono i figli, immagini di tale sublime bellezza e di tale potenza espressiva da potersi paragonare alla poesia virgiliana o ovidiana. Tra queste opere ragguardevoli vanno almeno ricordate le bellissime lastre di terracotta Campana (dalla antica collezione di provenienza) anche queste in buona parte dal Louvre, o il fenomenale Tripode con un braciere, in bronzo, da Napoli.