Vittorio Zucconi, la Repubblica 18/10/2013, 18 ottobre 2013
IL PARTITO DEL TE’
Con gli immancabili stivali di struzzo piantati sul collo dell’America, Ted “Wacko Bird” Cruz è lo strano cowboy italo- cubano-canadese che ha tenuto e terrà ancora il mondo appeso all’incubo di una nuova bancarotta globale. Questo “uccello pazzo” di 42 anni, come lo ha battezzato il nemico eppure compagno di partito repubblicano John McCain, vola alto sulle ali del confuso rancore che in Europa chiamiamo populismo e che vede nel governo, nello stato, nelle classi dirigenti, nella sinistra, nella “casta”, direbbe il lessico del luogo comune italiano, il male che sta distruggendo l’America. Ebbro del potere che il ricatto e l’ostruzionismo offrono alle minoranze parlamentari senza scrupoli, Cruz, figlio di un pentito e divenuto petroliere fallito in Texas, è il “piatto del giorno”, il sapore di moda per quella parte dell’America che vede in Obama la reincarnazione dello stalinismo, nella riforma della sanità la via alla distruzione del “sogno americano” e naturalmente , negli agenti del fisco il nuovo kgb.
Ma se il Tea Party, quello che già produsse Sarah Palin poi amaramente pentendosene, impugna la spada della rivolta contro il Leviatano pubblico e “la casta”, il paradosso — e l’ipocrisia — del suo alfiere del momento è che Ted Cruz è parte integrante di quell’establishment che aborre.
La sua storia è quella classicamente americana “dall’ago alla corazzata”, secondo il mito di Horatio Alger, il cantore del successo dal nulla. Cruz non è neppure nato negli Stati Uniti, ma in Canada, a Calgary, sollevando qualche dubbio sulla sua possibile eleggibilità a Presidente, che dovrebbe essere
natural born, nato in suolo Usa. Il padre Rafael, sceso dai monti della Sierra Cubana con Fidel e poi fuggito da Cuba come controrivoluzionario, era rotolato a Nord dal Texas alla ricerca di quel petrolio che nel suo pozzetto texano si era esaurito. Per il figlio, la condizione familiare garantiva ben poco, fino a quando lui stesso, Ted, decise di prendere la propria vita per il collo. Lavorando per pagarsi la retta di un liceo privato, dopo avere abbandonato quello pubblico, sbarcò nell’illustre Princeton e poi a Harvard per la laurea il legge, la stessa facoltà che qualche anno prima di lui aveva prodotto l’odiato Barack Obama. Sempre pagandosi tutto da solo.
Un giovane avvocato, con laurea a Princeton e dottorato in giurisprudenza a Harvard è già, inesorabilmente, uno “dentro” la tenda, un pezzo dell’America che conta: Cruz il falso cowboy ci sguazzò. Reaganiano fanatico, riuscì a stabilire relazioni intense con i nostalgici del vecchio presidente.
Partecipava a spettacolini intitolati “I crociati della Costituzione”, letta come un documento anti-stato e ferocemente federalista. Era attivo in tutte le organizzazione della destra repubblicana e riuscì a infilarsi nella Amministrazione di George W. Bush. Sulle code della popolarità tutta texana di “Dubya” Bush e delle raccomandazioni del suo clan gli si aprirono le porte del Senato, dove entrò come primo senatore latino nella storia dello Stato della Stella Solitaria.
Ma come il Tea Party, collettore confuso e virulente di rabbie populiste e di astuti interessi costituiti, anche Ted ha trovato nel pentolone di questa minoranza rumorosa la propria ideologia. Cioè il nulla rabbioso. Cruz è un uomo senza ideologia, altro tratto classico dei movimenti anti-tutto. Non ha mai proposto nulla, non ci sono iniziative legislative che portino il suo nome, o grandi disegni di riforme, che lo esporrebbero a critiche. C’è una formidabile capacità oratoria, un’apparente, studiatissima “follia” (ecco “l’uccello pazzo”) unita a una giovanile resistenza fisica, che gli permise di parlare ininterrottamente per 21 ore dal proprio banco in Senato per impedire il voto sul debito nazionale, leggendo libri per bambini sulla “Lumachina e l’Orsetto”. E c’è quella cultura del “no”, del contrismo che tanto successo raccoglie oggi nelle barcollanti democrazie rappresentative dell’Occidente, dove il prestigio delle istituzioni raramente supera il 10 per cento dell’opinione pubblica.
Quando gli rimproverano di non avere mai proposte, ma di essere soltanto un’ostruzionista fanatico, Cruz, allungando le gambe con gli stivaletti a punta e tacco di pelle di struzzo risponde: «Anche impedire che passi una cattiva legge è una buona legge». Sembra un programma fragile sul quale costruire una corsa elettorale verso la Casa Bianca, che è ormai palesemente il suo obbiettivo finale, ora che il partito Repubblicano sta perdendo pezzi e candidati nella risse interna fra “moderati” e “pasdaran” e che la lotta suicida condotta contro Obama e la riforma della Sanità ha fatto precipitare il rating del partito al 30%. Ma Rafael Edward, che sono i suoi nomi ufficiali presi dal padre, Rafael, che è ancora vivo e si batte con lui, guarda lontano. L’appoggio del nocciolo del partito Repubblicano gli garantisce successo nella primarie, dove gli estremisti votano e i moderati spesso si astengono. Il collasso dell’establishment, dei vecchi come McCain, già sconfitto, o dell’imbelle Jim Boehner, presidente della Camera umiliato dalla sua indecisione, spalanca strade alla sua ambizione. Giovane, di bell’aspetto, con moglie naturalmente bianchissima e wasp, Liz Nelson, e i due bambini d’ordinanza per un candidato presidente, Cruz è il perfetto “ rheinstone cowboy”, il finto pistolero con diamanti finti da Hollywood, che userà il populismo ringhioso del sud e del midwest fino a quando gli farà comodo. Muovendo poi, alla guida della propria troupe verso il luogo dove si vincono le elezioni presidenziali negli Usa, il Centro.
Ha perso il duello con Obama per poter stabilire le proprie credenziali di John Wayne antistato e antiliberali e di vera destra e lo sapeva. Rafael “Ted” Cruz sa bene da che parte è imburrato il pane e come, dopo avere sparato le sue Colt a salve, si trattano i potenti. Quando faceva l’avvocato costituzionalista e perorava cause davanti alla Corte Suprema, si sfilava gli stivaletti da ranchero e si metteva le scarpe con le stringhe. Gli avevano detto che il presidente della Corte, Rehnquist, non sopportava le stravaganze nell’abbigliamento degli avvocati. La rivolta della destra estrema americana sa quali scarpe indossare per entrare nelle stanze del potere.