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 2013  ottobre 18 Venerdì calendario

LOS ROQUES, TROVATI I RESTI DI MISSONI “I CORPI NELL’AEREO CON LE CINTURE ALLACCIATE”


«SONO laggiù, dentro l’aereo. Li ho visti con i miei occhi. Qualcuno è ancora al suo posto, con la cintura allacciata nella piccola cabina invasa da pezzi metallici, borse, stracci che fluttuano assieme a quello che il mare ha portato all’interno. L’impatto ha strappato i sedili dal pavimento e ha scaraventato i quattro passeggeri contro le pareti della cabina».
E così sono rimasti, cristallizzati, per dieci mesi. A 72 metri di profondità a nord di Cayo Carenero, nella parte ovest dell’arcipelago di Los Roques. Adagiati sul fondo sabbioso, perché qui non c’è barriera corallina. Chiusi nella carcassa del bimotore YV-2615 inabissatosi il 4 gennaio scorso. A bordo quel giorno c’erano Vittorio Missoni, sua moglie Maurizia Castiglioni, Guido Foresti e Elda Scalvenzi. Due coppie di amici.
Sono davvero loro, quei cadaveri in fondo al mare? Chi ancora ieri è stato laggiù, uno dei sommozzatori ingaggiati dal governo venezuelano, non se la sente di parlare con la certezza dell’indicativo. «Potrebbero essere loro, oppure no. I corpi sono ancora abbastanza intatti, considerando da quanto tempo sono lì. Posso solo dire che mi sembra di aver visto due donne e due uomini». Corpi che, insieme a quelli del pilota German Marchant, sbalzato fuori dalla cabina e non ancora individuato, e del copilota, non sono ancora stati recuperati e portati in superficie. I cinque gradi di temperatura a quella profondità e il sale dell’acqua li hanno in qualche modo conservati, ma anche resi fragili. Per adesso sono stati prelevati solo campioni biologici che saranno sottoposti all’esame del Dna per verificarne l’esatta identità. Motivo per cui la Farnesina continua a mantenersi cauta e la famiglia non conferma il ritrovamento.
Però l’aereo è quello, non ci sono dubbi. Da lontano sembra parcheggiato. «È in posizione orizzontale, ma la coda si è staccata», racconta il sommozzatore che ha accettato di parlare con la garanzia dell’anonimato perché il governo venezuelano ha imposto il silenzio. È stanco dopo tre immersioni di un’ora e mezza con bombole dal contenuto speciale, elio e ossigeno, per lavorare in sicurezza a quelle profondità, ma ricorda ogni dettaglio: «Le ali sono piegate e il muso è schiacciato. Il portellone della cabina di pilotaggio è saltato via». Non è un dettaglio: significa che l’aereo non ha avuto il tempo di planare, è caduto in picchiata. Per gli investigatori è un indizio che avvalora la tesi del guasto meccanico.
«Se si è staccata una pala di uno dei due motori — ragiona Pierluigi Serloni, italiano che vive in Venezuela, proprietario della compagnia aerea Blue Star che copre la stessa tratta Los Roques-Caracas dove è avvenuto l’incidente — il motore in 5 secondi perde bilanciamento e arriva anche a staccarsi dall’ala. Sono pale che pesano 15 chili e fanno 30 giri al secondo, immaginatevi che danni può provocare se si stacca in aria». Il velivolo sparì dai radar 4 minuti dopo il decollo dal Los Roques, il pilota non ebbe nemmeno il tempo di lanciare l’allarme.
La cabina, invece, è rimasta intatta. A parte per il portellone posteriore, scardinato. Da lì sono usciti i due borsoni ritrovati a Curacao e a Bonaire, uno dei quali apparteneva a Vittorio Missoni. Le correnti sottomarine a largo di Cayo Caranero sono quasi inesistenti, per cui il relitto non si è spostato se non di qualche centimetro. Ad avvistarlo, durante le operazioni coordinate dalla marina militare venezuelana, è stata il 27 giugno Scout, un catamarano d’alluminio della compagnia Sea, la stessa che nel 2000 aveva partecipato al recupero del sottomarino nucleare russo Kursk. E che qualche giorno prima, il 20 giugno, aveva individuato l’altro aereo scomparso nel 2008 sulla rotta di Los Roques: trasportava 15 persone, la maggior parte italiani. Adesso è a 960 metri di profondità.