Francesco Merlo, la Repubblica 18/10/2013, 18 ottobre 2013
IL VIDEO DEL BOIA NAZISTA ULTIMO INSULTO ALLA MEMORIA
FORSE un grazie agli italiani che lo hanno ignorato e non gliel’hanno fatta pagare avrebbe dovuto pronunziarlo anche un soldato, soprattutto un soldato. Ma non è vero che Priebke era un soldato. Ha detto, per esempio, “guai ai vinti” ben sapendo che non lo può dire, perché ci sono vinti e vinti, e a lui è andata benissimo, prima in totale libertà in Argentina e poi, sino a cento anni, a passeggio per le strade di una delle più belle città del mondo che da vivo lo ha tollerato e, alla fine, attorno al suo feretro, ha lasciato pure che si radunasse una piccola tifoseria di sbaraccati mentali.
Dunque anche questa intervista- testamento rilasciata in una comoda biblioteca prova che la ferocia, che Priebke ha esercitato, a lui è stata risparmiata. Lo avessero preso i partigiani, sarebbe stato fucilato e sarebbe stato meglio per tutti.
MEGLIO per i preti, i fascisti, gli antifascisti, il sindaco di Albano laziale, il prefetto di Roma…, insomma tutti quelli che non hanno saputo come trattarlo da morto. Da vivo sicuramente l’abbiamo trattato bene (e quindi male?).
Adesso dunque che lo abbiamo visto e sentito ancora parlare sappiamo che anche la retorica del gran soldato è falsa. In questo video Priebke si è travestito infatti da vecchio professore in pensione, imponente come un atleta, non piegato dalla «tragedia intima» delle vittime della sua ferocia che il suo orribile avvocato ha poi mandato in sovraimpressione. Sembrava uno studioso di Priebke e non Priebke, un Erodoto che parla di se stesso in chiave autoptica: «È stato terribile, ma non si poteva non farlo », «i comunisti sapevano che i tedeschi avrebbero reagito», «era stato scritto sui manifesti del feldmaresciallo Kesselring », i comunisti insomma se la sono cercata, e intervistatore e intervistato avevano lo stesso codice, quello che chiama “terroristi” i partigiani: Banditen Zone.
E c’è pure l’astuzia di accusare i gap di avere ucciso soprattutto soldati italiani altoatesini e non tedeschi, come se fosse un aggravante per i partigiani di via Rasella, e un’attenuante per la rappresaglia. Il tentativo, come si vede, è quello di rovesciare le responsabilità gettando sugli attentatori, addirittura fratricidi, l’ignominia omicida. Insomma il possente soldato nazista truffava la storia come i peggiori furbetti italiani.
Alle sue spalle, tra i tanti libri, c’era, in bella evidenza, la Treccani che è il libro familiare a chi non ha familiarità con i libri, una scorciatoia, un trucco d’immagine per non fare pensare appunto ai 335 assassinati e al pentimento.
L’ammissione di colpa e la richiesta di perdono, la partecipazione «al dolore» non sono state pronunziate ma soltanto scritte, a fine intervista, ed è molto diverso dire delle parole davanti a una telecamera, sapendo di essere guardati anche da chi è stato vittima di quella tragedia, e farle invece scorrere a caratteri digitali. Il pentimento così risulta due volte finto.
Mancano il timore e il tremore della voce, manca l’emozione, manca l’anima. E quella parola «condoglianze», che pronunziata mette in imbarazzo chiunque, perché si articola con un bisbiglio accompagnato da gesti misurati e veloci che sono intermittenze del cuore, scritta è risultata più insignificante dei titoli di coda, più sbrigativa delle avvertenze sugli effetti collaterali dei medicinali.
Ma c’è di più. Il pentimento scritto, che sa di posticcia aggiunta dell’abile e fanatico avvocato, non è stato mandato in sovraimpressione in onore delle vittime del vecchio nazismo ma a conforto dei seguaci del nuovo nazismo. È vero che in Italia sono solo bande di sciamannati, ma i neonazisti sono uno dei pericoli dell’Europa, di nuovo impoverita e spaventata, come dimostrano l’Alba Dorata in Grecia (18 per cento) e lo Iobbik in Ungheria (16 per cento), e anche i nazionalisti xenofobi: lo Sd in Svezia (5,7), i Veri finlandesi (19,1), il Pvv olandese (terza forza politica con 22 seggi), la Nuova alleanza fiamminga in Belgio (primo partito nelle Fiandre), il Partito del popolo in Danimarca (13 per cento), il Partito del Progresso in Norvegia, che sta trattando un’alleanza di governo con i Conservatori, e ovviamente Marine Le Pen il cui successo in Francia è trionfale.
Solo un pentimento pronunziato da Priebke con gli accenti della verità avrebbe spezzato il legame tra il simbolo del nazismo di ieri e i seguaci del neonazismo e dell’ultranazionalismo di oggi. Quella sovrimpressione finale invece intorbida, tiene alta l’attenzione sul simbolo e sulla retorica miserabile del soldato d’acciaio, dello sguardo vincente del perdente, di chi si sente addosso la storia, quella sciocchezza dell’onore militare di Priebke dritto come un fuso. Vedrete che arriveranno nuove lettere, documenti, postille al testamento, testimonianze sempre più manipolate dall’avvocato suggeritore, altre medaglie- patacca all’onore militare di un assassino efferato.
L’onore militare non consiste nel dire «ne ho ammazzati cinque in più, ma non è questo il problema». La verità e che persino allora c’era una differenza tra un nazista e un militare, tra la SS Priebke e un vero soldato, come il fallito attentato a Hitler del colonnello von Stauffenberg illustra alla perfezione: l’operazione Valchiria, sia pure tardivamente, salvò l’onore perduto della Wehrmacht.
L’onore del soldato inglese, americano, francese, italiano...: l’onore militare è il rispetto del nemico. Priebke lo ha avuto solo per stesso.
E chi vede il video-testamento divulgato ieri ne trattiene soprattutto due impressioni: non solo Priebke non conosce il pentimento ma non si rifugia nemmeno nel dubbio e, centenario, rifarebbe tutto, adesso e qui, in nome della disciplina, del mantra dell’obbedienza agli ordini, della cieca fedeltà al Führer, quasi settanta anni dopo la fine della seconda guerra mondiale: un mostro lucidissimo. La seconda impressione di repulsione la offre quell’avvocato, che non difende più un cliente ma lavora per legittimare, tenendo alto il simbolo Priebke, i nazisti del duemila.