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 2013  ottobre 18 Venerdì calendario

LA RECITA DI UN CODARDO CHE MERITA SOLO

L’OBLIO –

E adesso anche il video-testamento. Diciamolo: tutto ciò che è accaduto dopo la morte di Erich Priebke e intorno a quella salma è l’ultimo obbrobrio compiuto dal boia delle Fosse Ardeatine e dai suoi compari, a cominciare da Paolo Giachini. Un «avvocato», Giachini, che nella registrazione del centenario ergastolano e nostalgicamente intitolata Vae victis, Guai ai vinti, presenta il capitano delle SS secondo i più triti canoni del negazionismo come un soldato tedesco di stanza a Roma «con compiti di antiterrorismo e lotta alla guerriglia». L’intero copione è stato preparato con puntiglioso rigore e con la collaborazione del moribondo.
Ogni passaggio della macabra pagliacciata ricorda troppo la «banalità del male» che i grandi processi della Storia ci hanno insegnato. Per questo ho orrore per Priebke e per i suoi compari. Perché hanno fatto vincere ancora una volta l’odio, risvegliandolo. Quel carro funebre preso a calci dalla disperazione della Memoria, quelle braccia alzate nel saluto romano, il pianto dei sopravvissuti chiamati ancora una volta a ricordare, le domande dei nostri figli, dei nostri nipoti. Il sale di nuovo versato sulle ferite di chi, come noi, ha avuto pezzi di famiglia passati per i camini; di chi, come molti, ha avuto un parente o un amico torturato e ucciso perché antifascista; di chi ha ascoltato la sera i racconti su quel prete buono fucilato insieme ai suoi parrocchiani.
Le immagini e le parole del video-testamento sono le immagini e le parole di un vigliacco che accusa della strage delle Fosse Ardeatine i gappisti dell’attentato a via Rasella e i superiori che hanno impartito gli ordini. Non una volta che si sia preso le proprie responsabilità. Dice Giachini che Priebke si sarebbe pentito. Ad ascoltarlo non sembra proprio. E comunque non ci interessa. Il «pentimento» sarebbe servito a lui e alla sua coscienza, non alle persone che non torneranno a noi. Che scompaia nell’oblio.
Guardo il video e sento l’urlo muto di Primo Levi: «Meditate che questo è stato: vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore stando in casa andando per via, coricandovi, alzandovi. Ripetetele ai vostri figli. O vi si sfaccia la casa, la malattia vi impedisca, i vostri nati torcano il viso da voi».