Federico Ferrero, L’Unità 17/10/2013, 17 ottobre 2013
LA FAVOLA DI PIM PIM, IL TENNISTA CHE NON MUORE MAI
La scheda segnaletica del sito Atp recita: inattivo. Ultima partita, febbraio 2011. Ma è un falso: la saga di Joachim Johansson è un capitoletto vivissimo, da epica dei norreni. Una storia vichinga iniziata nel 1982, quando Pim Pim – il fratellino non riusciva che a pronunciare il suo come come “Joa-pim” – nasceva e Bjorn Borg tramontava: l’Orso muto aveva smarrito la pozione magica e stava per terremotare il tennis con la notizia del suo ritiro. Tuttavia la Svezia non avrebbe avuto tempo per piangere il suo re: Wilander, Edberg, e più in sordina Sundstroem, Jarryd, Carlsson e Svensson, avrebbero reso in men che non si dica la classifica dei primi dieci tennisti del mondo simile all’elenco dei designer Ikea. Altri tempi.
Oggi la Svezia è un Paese tennisticamente terzomondista: il nulla. La loro stella picchiatrice, Robin Soderling è malata, stanca o chi lo sa: di fatto, non tocca racchetta da due anni e mezzo. Il loro numero uno, Markus Eriksson, è il numero 406. C’era Joachim: lui sì, che poteva far sognare. Da giovanotto, col servizio sparato con la carabina, aveva fatto impallidire il campione in carica agli Us Open, Roddick: dei due, lo yankee era quello che tirava piano. Toccò a New York la prima semifinale Slam, anno 2004. La stagione appresso, l’ingresso nei top ten: in pedana di lancio per puntare a un grande titolo, Johansson sentì un dolore lancinante alla spalla destra. Tendinite del rotatore della cuffia, gli dissero, è l’infortunio del pitcher nel baseball. Per un tennista dal servizio devastante, una condanna. Tre interventi in tre anni, fino all’annuncio del primo febbraio 2008: Pim Pim non ce la fa, lascia a 25 anni senza aver iniziato. Nel mezzo, mentre si costruiva una vita lontana dalla rete, si era visto regalare una wild card nostalgica per l’Atp di Stoccolma. Aveva trovato Rafa Nadal, lui, numero 690 al mondo contro il 2. Succede solo nelle favole, quella lo fu: Johansson ritrovò il fuoco del campione per un’ora e mezza, vinse quel match e salutò tutti, è stato bello, potevo essere un grande, addio.
L’estate appena calata, Johansson l’ha trascorsa in Puglia. A Borgo Egnazia, in un resort da favola scelto per celebrare il matrimonio di Justin Timberlake, il re del pop. Una clientela di turisti ricchi, spesso inconsapevoli, si è fatta aggiustare il dritto sbilenco da uno svedese alto, gentile, marito di una golfista dell’European Tour, papà di Leo. Chissà quale ispirazione salentina lo avrà convinto a chiedere una wild card per Stoccolma, a 31 anni. Mugugnando, gliene hanno allungata una per le qualificazioni. Passate, senza cedere un set né un turno della sua battuta da fuciliere. Al primo turno, tra imbarazzi ed entusiasmi di un popolo senza tennisti, ha inchiodato (6-1 6-3) Alejandro Falla, numero 50 al mondo fino a qualche mese fa. Oggi, in un impossibile ritorno al passato, incrocerà il cannone con Milos Raonic, 11 Atp.
Un pensionato, un fuoriclasse mai nato, vuol prendersi la rivincita con la jella “e poi tornare alla vita di prima”, ché ormai la carriera da campione è persa, per sempre. Talmente folle che è quasi vero.