Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  ottobre 17 Giovedì calendario

IL CAPO DI PRIEBKE SEPOLTO IN ITALIA MA NESSUNO HA FATTO LE BARRICATE


Castel Gandolfo è una località dei Castelli romani conosciuta in tutto il mondo per essere da secoli la residenza estiva dei Papi. Nel cimitero comunale, in un angolo sulla sinistra, c’è un loculo curato sul quale vengono periodicamente deposti fiori freschi. È la tomba di Karl Hass, il maggiore Hass. La sua storia è strettamente intrecciata a quella del suo sottoposto, il capitano Erich Priebke. Insieme hanno eseguito la strage dei 335 innocenti alle Fosse Ardeatine, entrambi hanno sparato «eseguendo gli ordini di Kappler» e «per dare l’esempio ai soldati». Sono stati a lungo fuggitivi e si sono anche incontrati in Italia durante la latitanza. I loro destini si sono incrociati di nuovo al processo di Priebke in cui Hass è stato prima suo accusatore, poi testimone difensore e infine come lui condannato all’ergastolo. Come il capitano ha scontato la pena ai domiciliari, in una casa di cura a Castel Gandolfo, dove si è spento nel 2004, a 92 anni. Solo che a differenza di Priebke ha una tomba.
La vicenda della sua morte è stata gestita in maniera diversa, più razionale emeno emotiva,sia daparte delle istituzioni civili che religiose. Non ci sono stati scontri tra manifestanti, crisi internazionali, non è stata offesa la memoria delle vittime né celebrato un boia nazista. Non è stato calpestato il fondamento democratico della Repubblica, ma mostrata pietà nei confronti del corpo di un nemico, senza per questo dimenticare i suoi crimini.
Anche allora protagonista della vicenda fu, suo malgrado, Agostino Vallini, ora cardinale vicario di Roma e all’epoca vescovo di Albano, che, pur senza concedere la chiesa, permise ad un prete amico di Hass di celebrare il funerale nel cimitero di Castel Gandolfo. La cerimonia fu fatta alla presenza di pochi familiari e con il controllo di poliziotti in borghese, senza incidenti o strascichi polemici. Nel caso di Priebke tutto ciò non è avvenuto perché sia la Chiesa che il Comune di Roma e la prefettura hanno avuto come preoccupazione principale quella di non apparire «collaborazionisti » di un cadavere, alimentando un problema che invece dovevano risolvere. Forse la storia di Hass è finita diversamente anche perché nel tempo ha tenuto un profilo più basso di Priebke e non ha lasciato testamenti infuocati. Ciò non toglie che storicamente la sua sia una figura più rilevante di quella di Priebke.
La storia del maggiore «Odio» - questa è la traduzione del termine tedesco «hass» - è un filo nero che carsicamente collega le Fosse Ardeatine alla strategia della tensione. A differenza di Priebke che sparisce dall’Italia rifugiandosi in Argentina, Hass continua a vivere nel nostro Paese, collaborando con le nostre istituzioni.
Nel dopoguerra l’ex spia nazista viene arruolata dai servizi segreti americani e italiani, che gli forniscono una nuova identità: Rodolfo Giustini. Si nasconde in un convento, fa scappare all’estero diversi ricercati nazisti, fugge a sei arresti, resta fuori dal processo Kappler e collabora coi servizi fino al ’53, anno della sua morte. Sì, perché Hass-Giustini riesce a farsi dichiarare morto, per dieci anni gira la penisola per recuperare i cadaveri dei soldati tedeschi per conto della Germania. Coltiva legami con l’estrema destra e i servizi durante la strategia della tensione. Poi Hass diventa attore e ottiene una parte ne La caduta degli dei del comunistissimo Luchino Visconti vestendo i panni di una SS, un ruolo che evidentemente gli viene bene. Col suo vero nome gestisce un cimitero di soldati tedeschi in provincia di Catania e riceve due pensioni, una tedesca e una dall’Inps, fino alla morte, quella vera. Negli anni ’80 i giudici lo cercano perché pare sappia molto sull’oro della Banca d’Italia trafugato dai nazisti, ma non lo trovano anche se vive tranquillamente in via Gramsci ad Albiate, in provincia di Milano, col suo vero nome sul citofono. I poliziotti bussano alla sua porta solo nel ’96, quando Priebke lo tira in ballo, ma non c’è, è scappato in Svizzera tre ore prima della visita. Tratta con le autorità la sua consegna e si presenta spontaneamente ai pm nella veste di accusatore dell’ex amico Erich, ma la sera prima della deposizione ci ripensa e cerca di scappare gettandosi dal balcone di un hotel. Cade e si procura cinque fratture, ma sopravvive ancora una volta. È l’ultimo tentativo di fuga prima della condanna a vita, da scontare in una casa di riposo.
Ma Hass non è l’unico criminale nazista sepolto in Italia. C’è anche Michael «Misha» Seifert, il boia di Bolzano, la città in cui ha torturato e ucciso almeno diciotto civili. Seifert viene condannato all’ergastolo nel 2000, ma l’estradizione dal Canada arriva solo nel 2008, quando viene trasferito nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere. Muore due anni dopo in un ospedale a Caserta e viene seppellito nel cimitero civile di Santa Maria Capua Vetere.
In tutto sono cinque le SS condannate all’ergastolo in Italia: Herbert Kappler, Walter Reder, Erich Priebke, Karl Hass e Michael Seifert. Due, Kappler e Reder, sono deceduti e seppelliti all’estero e due, Hass e Seifert, sono morti e sepolti nel nostro Paese. Solo il cadavere di Priebke continua a girare per l’Italia. Forse è il momento di seppellirlo e di sotterrare con quel corpo tante inutili polemiche.