Francesco Specchia, Libero 17/10/2013, 17 ottobre 2013
NON SI PUÒ RENDERE ILLEGALE LA LIBERTÀ DI RICERCA STORICA
[Giuseppe Parlato]
Negare il reato di negazionismo. Nel giorno forse più sbagliato dell’anno (giusto il settantesimo del rallestramento del ghetto di Roma) svuotare il ddl omonimo in commissione e calendarizzarne l’impatto emotivo in aula può essere valutato sotto diversi punti di vista...
«Essenzialmente due punti di vista... », ci dice, sospirando, Giuseppe Parlato, ordinario di Storia Contemporanea all’Unint di Roma, presidente della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice, studioso pregiato del neofascismo.
Professor Parlato, il primo approccio al problema sarà morale. È giusto negare l’eccidio? I negazionisti chiamano beffardamente voi altri storici, sterminazionisti «quelli che credono che lo sterminio sia avvenuto».
«Ecco, questo è il primo approccio, morale, etico e sì, con sfumature politiche. La legge dovrebbe tutelare l’idea continua, la presenza stessa dell’Olocausto silente che attraversa la storia. Un memento per un atto orribile. E questo è giusto...».
Però c’è il secondo approccio.
«...Che è l’approccio dello storico, il quale intravede un grave pericolo nell’esercizio della propria attività. Il rischio altissimo che, per esempio, alla semplice rivalutazione numerica, se uno sposta in una ricerca anche di una sola unità il numero degli ebrei morti ammazzati durante la Shoah, può incorrere nell’azione di un giudice troppo zelante, che l’accusi di negazionismo e possa arrivare a condannarlo, d’emblée, a sette anni e passa di carcere. La qual cosa non sarebbe augurabile a nessuno».
Lei, quindi, ne fa una questione d’abuso interpretativo. Però, scusi, ma in Austria, Francia, Belgio, Germania il reato non esiste da nni ed è già abbondante sanzionato?
«Guardi, le indico un caso specifico. Io mi sono occupato di foibe e di esodo istriano; ma quando anni fa il Pdl se ne uscì con l’idea di rendere reato il negazionismo delle foibe io mi sono assolutamente opposto, spiazzando la destra. E non era per pietas o perchè non valutassi la portata mostruosa di quei massacri; ma perchè mi rimaneva sempre il dubbio d’un uso politico distorto di quell’articolo di legge».
In effetti non si considera mai che i negazionismi sono vari. Diana Johnstone e Milorad Dodik trasformarono le vittime della guerra jogoslava; Hill e Yukiko minimizzarono su Hiroshima; fino a Krusciev le purghe staliniane non esistevano...
«Ed è solo grazie alla ricerca storica che si è arrivati alla verità. La stessa cosa vale per il negazionismo dell’Olocausto, che rimane una cosa terribile ma intervenire giudiziariamente significa, con molta probabilità, limitare fortemente la libertà di ricerca , e questo mi crea un problema».
Da noi in Italia la letteratura negazionista non è, in fondo così vasta. Ufficialmente non abbiamo un Irving o un Robert Faurisson che negava la presenza stessa delle camere a gas. Forse possono creare danni gli scritti di Piero Sella o le teorie di Claudio Moffa prof a Teramo?
«Ma il problema non è Sella e gli epigoni, sono fenomeni marginali che hanno un loro giro ristretto».
E, scusi, nella pratica, allora qual è il problema?
«Lei ha citato David Irving, considerato un mostro. Nei suoi libri (peraltro vendutissimi, ndr) come Hitler and Holocaust Denial il suo discorso sul negazionismo era molto articolato; non era il fanatismo di Faurisson. Le dirò un’eresia: insistendo su questo solco è accaduto che siano usciti alcuni libri che accusano di negazionismo anche Nolte e De Felice, autori probabilmente mai letti».
Lei dice che si corre anche il rischio di confondere «revisionismo» con «negazionismo»?
«Sì, l’ho toccato con mano. Si leggeva, nelle opere suddette roba tipo che «essendo De Felice scivolato nel cono d’ombra della rivalutazione del fascismo, poteva arrivare a negare l’Olocausto»; attribuendo a De Felice l’estensione dell’accusa di negazionismo e frasi, parole e pensieri da lui mai proferiti. Tutto questo, peraltro, ha acceso un feroce dibattito nell’ambito di un importante premio letterario di cui non è il caso che faccia il nome».
Si potrebbe ribatterle che il negazionismo inteso come tecnica di manipolazione -penso, chessò, agli antiebraici Protocolli dei Savi di Sion- diventa pericoloso nella gestione dell’opinione pubblica...
«Certo. E le ripeto: le posizioni sono due: morale politica, e storico/ scientifica, sceglierne una è macerante. Mi rendo perfettamente conto che la falsificazione continua dei documenti, come I protocolli e la letteratura cospiratoria sia il cibo di cui per anni si sono nutriti i fanatismi; ma a livello scientifico non si discute un’affermazione con una denuncia penale, ma con un’altra ricerca».
Senza considerare che l’utente dello strumento negazionista è cambiato con gli anni, o no?
«Ecco, semmai il problema, storigraficamente è da almeno una decina d’anni, rovesciato. Il vero negazionismo non appartiene -se non in piccola parte- al mondo nazifascista o della destra più estremista».
Ah no?
« No. Il negazionismo recente viene semmai dalla sinistra. Viene dagli attacchi ripetuti ad Israele dentro e fuori il Parlamento da quelli che prendono le parti dell’Iran e della rivoluzione islamica. Non è un caso che il convegno internazionale dei negazionisti si sia svolto in pompa magna nell’Iran di Ahmadinejad».
Più d’un convegno. Lo ricordiamo tutti, fu una buffonata sull’Olocausto, Il mondo senza sionismo...
«Esatto. Io penso che fare questo, usare l’Olocausto per negare l’esistenza di Israele sia la cosa più abominevole e ripugnante; ma, con altrettanta forza sono convinto che i negazionisti debbano essere colpiti dalla spada dei fatti inconfutabili, non dalle leggi che sono fatte dagli uomini...».