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 2013  ottobre 17 Giovedì calendario

SI SPEGNE LA TV MADE IN ITALY «LA CRISI? ORA FAREMO MOBILI»


«Si è divisa la Yugoslavia, è caduto il Muro di Berlino, il Papa si è dimesso. E anch’io posso smettere di fare televisori». Dall’alto dei 90 anni, Carlo Vichi la prende con filosofia. Il suo glorioso marchio, Mivar, suo anche nel nome (è l’acronimo di Milano Vichi apparecchi radio) non sarà più sinonimo di tv italiane, indistruttibili e garantite a vita, ma di tavoli e sedie speciali, ovviamente immaginate e disegnate da lui medesimo e realizzate ai suoi ordini. La notizia non è che chiude l’ultima fabbrica di elettronica tutta italiana, ma che l’imprenditore, vecchio, burbero, imprevedibile, ricomincia da capo.
«Perché i tavoli? Perché li so fare », borbotta appollaiato su un sedile dei suoi. Superfici quadrate, più alte del normale, cui sono saldate quattro sedie di legno scorrevoli con relativi poggiapiedi. Vichi li vede già riempire aeroporti, sale d’attesa,fast food, massicci e resistenti come le sue tv. In un angolo del capannone alle porte di Abbiategrasso un gruppo di operai armeggia tra frese e torni. Vichi sventola un pezzo d’acciaio:«Quattro euro il chilo», esclama. I sedili costano 40 euro l’uno, arrivano dalla Germania. I pezzi finiti costeranno un botto, ma lui è sicuro che avranno mercato: «Chi ama le cose belle e durature verrà qui».
Vichi il fascista, Vichi il padrone, Vichi il genio. A febbraio farà 91 anni e viene ancora in fabbrica tutti i giorni, comprese le feste comandate. Stacca soltanto tre settimane d’estate per tornare nella Maremma dov’è nato. «Chi non lavora non vive»,scandisce. Il suo ufficio è un tavolino in mezzo al fabbricato: due lampade, il telefono, la calcolatrice, un catalogo Skf, vocabolario ed enciclopedia, fogli di appunti tenuti fermi da un calibro di metallo e una pila di libri sulla fisica dell’universo. Il primo è «Dal big bang ai buchi neri» di Stephen Hawking. Al dorso di un raccoglitore sono appiccicati una frase di Mussolini e la recensione del Giornale a una biografia del duce.
Da una parte i saldatori dei mobili,dall’altra uomini e donne che assemblano gli ultimi tv Mivar. La produzione proseguirà fino a esaurire le scorte di componenti, poi basta. «Ne facciamo 30 al giorno, una volta arrivavamo a duemila l’ora. Avevo quasi 700 dipendenti, lavoravamo su tre turni.L’Asia ha ammazzato l’elettronica europea. Da dieci anni lavoro in perdita, spendo 10 e incasso 8». E come fa a tirare avanti? «Ho guadagnato bene nei tempi d’oro, adesso perdo bene». Passione per il lavoro e preoccupazione per i lavoratori. Che peraltro sono in cassa integrazione: i tre turni di un tempo sono ridotti, nei casi migliori, al part-time di mezza giornata. «Siamo al si salvi chi può e non ne ho abbastanza per tutti».
Telefona il segretario del Partito delle aziende. «E a che serve? », strilla Vichi nella cornetta. «Imparate dal Vaticano: niente partiti, votano in 120 ed eleggono uno a vita ». Il fondatore della Mivar non si lamenta delle tasse né delle banche: «Mai chiesto prestiti, i debiti non mi fanno dormire». Liquida la politica recitando Trilussa: «Signori Deputati! Credo che su per giù sarete tutti mezzi somari e mezzi farabutti».
A lui interessa l’impresa,lavorare, andare avanti. La voglia di non arrendersi è chiusa nell’enorme edificio costruito 15 anni fa accanto ai vecchi capannoni: 30 mila metri coperti, altrettanti di parcheggi, 60mila di verde. Progettato ed eretto da Vichi di tasca sua, era pronto a funzionare quando apparvero i primi tv Lcd a schermo piatto. Per Mivar, regina del tubo catodico, era l’inizio della fine. La nuova sede è pulita, perfetta, vuota. Vichi, perché non l’affitta? «Non ho bisogno di soldi». Non sarebbe soddisfatto nel vederla sfruttata? «Resterà un capolavoro di architettura industriale».Intanto la Milano Vichi apparecchi radio diventa Milano Vichi arredamenti razionali. Mivar non chiude, e Vichi non cede.