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 2013  ottobre 17 Giovedì calendario

LA LITTLE ITALY DI NOI SCORSESE


[Pubblichiamo ampi stralci dalla premessa al volume «Trovare l’America» scritta dal regista italoamericano Martin Scorsese, che ricorda la sua infanzia a Little Italy]


I miei nonni, arrivati in America dalla Sicilia all’inizio del Novecento, erano italiani. I miei genitori, nati qui, erano italoamericani. Io ero, e ancora sono, americano italiano. E anche se so che non dimenticheranno mai le loro origini, le mie figlie sono americane. (...) A volte, mi verrebbe da dire «New York» e invece dico «America». Sono due concetti che si sovrappongono nei miei pensieri. L’espressione «American experiment» tutto sommato descrive New York tra la metà dell’Ottocento e oggi: una nazione e una città create da immigrati, continuamente rinvigorite e trasformate da altri immigrati arrivati a ondate successive da luoghi differenti.
Il cambiamento non è stato pacifico e indolore, e come avrebbe potuto essere altrimenti? Oltre al pregiudizio razziale, ci si scontrava anche con l’isolamento. Quando quelle prime ondate di immigrati arrivarono dall’Italia, ricostruirono il mondo che conoscevano. Crearono un luogo che venne chiamato Little Italy, che possedeva tutta la bellezza e il calore, tutto il dolore e le tensioni interne, del paese che avevano abbandonato.
Mentre crescevo, Little Italy costituiva un mondo a sé stante, collocato in un angolino del Lower East Side di Manhattan – e sono certo che lo stesso può essere detto delle Little Italy in tutto il paese, da Boston a San Diego. Confinava con un altro mondo a sé, Chinatown. Le feste, i rituali, il cibo, le merci, i valori – tutto arrivava dal Sud Italia. Prima che io nascessi, le persone arrivate dallo stesso paese vivevano in un unico edificio e i matrimoni tra uomini e donne di edifici diversi erano una faccenda delicata. La famiglia di mia madre arrivava da Ciminna, la famiglia di mio padre da Polizzi Generosa e si sposarono solo dopo che gli anziani si riunirono e diedero il loro assenso.
Per me e per i miei amici, il confine a nord era delimitato da Houston Street. Oltre, si trovava il nuovo mondo. Alcuni italoamericani che avevano valicato quel confine erano già diventati famosi e avevano lasciato il segno nella cultura. Ciò nonostante, incuteva ancora timore quando decisi di lasciarmi quel mondo alle spalle. Fu una scelta molto dolorosa, ma sapevo di doverla fare – non avevo altre possibilità, non c’erano altre decisioni possibili. «La razza umana – scrisse Nathaniel Hawthorne – come ogni altra pianta, non prospera rigogliosa, se ripiantata nello stesso terreno troppo a lungo sfruttato». Quando ero giovane non avevo ancora letto Hawthorne, ma sentivo ciò che lui aveva espresso in quelle parole. Sapevo di voler fare dei film. Sapevo di voler mostrare il mondo da cui venivo in quei film. Ma avevo la necessità di osservarlo dal mio punto di vista, mettendo un po’ di distanza tra noi.
Per me, Little Italy sarà sempre casa, quanto Polizzi e Ciminna erano casa per i miei nonni. Non il luogo in sé, ma la sua memoria. Per Hawthorne, Salem era casa – non la Salem in cui aveva lavorato alle dogane, ma la Salem in cui si erano stabiliti, avevano vissuto ed erano morti i suoi avi. «Il fascino permane ed è tanto che la terra nativa pare una terra d’incanto, un paradiso terrestre». E io sentivo la mia casa infestata dai fantasmi di un’altra casa, lontana, in Sicilia e sono certo che molti americani italiani hanno provato la stessa sensazione.
Copyright 2013 Martin Scorsese