Danilo Taino, Corriere della Sera 17/10/2013, 17 ottobre 2013
L’ASCESA DI ANGELA, MANAGER CON TRE FIGLI AI VERTICI DI APPLE
Nel mondo degli affari, la modernità è una questione di spirito. Anche di strategie, ovviamente. Ma la differenza, oggi, la fa lo spirito. Per quale ragione la Apple — smart phone, tablet e tecnologia — per coprire una posizione di vertice ingaggia Angela Ahrendts, la numero uno di Burberry, trench, gonne e fodere a quadri? C’è una ragione di business: dovrà occuparsi di una parte fondamentale dell’attività del gruppo di Cupertino, la rete globale degli store, e in questo ha un’esperienza vincente. Ma c’è anche una ragione di anima che è forse la motivazione prima della scelta: la signora Ahrendts, 53 anni, ha un’affinità spirituale profonda con l’azienda nella quale andrà a lavorare dalla primavera prossima.
Nel maggio 2010, tenne un discorso alla cerimonia di consegna delle lauree alla Ball State University, la sua alma mater, nello Stato americano dell’Indiana. Parlò di valori, di sogni, di fede. Per dare messaggi forti e di fiducia ai giovani che aveva di fronte. «C’erano lì 21 mila persone, se ognuna lo ha trasmesso (il discorso, ndr ) ad altre due le quali lo hanno passato ad altre due ancora, hai avuto la possibilità di realizzare un impatto — disse poco tempo dopo durante un’intervista al quotidiano Wall Street Journal —. E se alla fine il risultato è che qualcuno, da qualche parte finisce con il credere di potere fare qualcosa fuori dall’ordinario, bene, ce l’hai davvero fatta». Era con questa stessa visione che Steve Jobs, il fondatore di Apple, tenne il famoso discorso dello «siate affamati, siate incoscienti» alla Stanford University nel 2005.
Tim Cook, il numero uno di Apple dopo la morte di Jobs, ha conosciuto Angela Ahrendts lo scorso gennaio e — dice — da quel momento l’ha voluta nella società. Per mesi l’ha corteggiata, in luglio l’ha convinta e martedì scorso ha annunciato la conquista. Della top manager ha visto l’enorme successo durante i sette anni in cui ha guidato Burberry. Ma soprattutto ha capito che per cultura aziendale, approccio alla leadership e informalità sta sulla stessa lunghezza d’onda sulla quale sono sintonizzate Apple e molte aziende innovative americane. «Porta le persone a lavorare più duro di quanto abbiano mai fatto semplicemente facendo sapere loro quanto sono importanti, quanto il team conti su di loro», ha spiegato Andy Janowski, che lavora con lei dal 2006. Non abbassa mai gli occhi ma incoraggia il dissenso, cerca il confronto. «La gente vuole lavorare con lei perché è del tutto disadorna e ha una vita; è tutta talento e niente presunzione», ha detto, ancora al Journal , Linda Wachner, altra amministratore delegato.
In effetti, ha una vita. Un marito, tre figli, due cani che vivono (per ora) in una grande villa alla periferia di Londra. Non è finta, dicono ancora i suoi collaboratori: nell’entusiasmo, quando parla agita le mani, quasi fosse italiana. In realtà è nata a New Palestine, paesino di duemila abitanti dell’Indiana, provincia profonda americana. Ha lavorato da Donna Karan e da Liz Claiborne (società della moda che dall’anno scorso si chiama Fifth & Pacific) ma la sua carriera ha preso il volo alla Burberry, dove è arrivata nel 2006 per sostituire Rose Marie Bravo, la top manager che aveva trasformato il polveroso marchio britannico in un brand nuovo e cool. Da allora, il fatturato di Burberry è triplicato e il prezzo dell’azione in Borsa è quasi quadruplicato. Troppi chavs — ragazzacci trasandati, per nulla trendy — usavano il famoso quadrettato Burberry: Ahrendts lo ha via via nascosto e relegato alle fodere. Nel 2008 è scoppiata la crisi finanziaria e lei in pochi giorni ha annunciato un taglio dei costi da 80 milioni di dollari. Una serie di licenziatari usavano male il marchio: ha ricomprato le licenze.
Soprattutto, ha introdotto gli iPad nei negozi Burberry, ha filmato le sfilate con gli iPhone e le ha trasmesse in diretta via Internet. Ha creato un sito web, oggi probabilmente il più avanzato nel settore della moda, con e-commerce interattivo e un uso parallelo dei social network che hanno creato una grande comunità Burberry. Ha insomma coniugato lusso e tecnologia: che è poi l’obiettivo di Apple. Spirito business. Poteva, Tim Cook, non farle squillare l’iPhone?
Danilo Taino
@danilotaino