Giovanna Cavalli, Corriere della Sera 17/10/2013, 17 ottobre 2013
RAI, GUBITOSI CON FAZIO E IL PDL: ARROGANTE, LASCI
Finisce — si fa per dire perché la guerra sui «compensi da nababbi» di viale Mazzini (cit. Renato Brunetta) mica si esaurisce qui — con il capogruppo del Pdl alla Camera che chiede le dimissioni del direttore generale della Rai definendolo «insolente e arrogante».
Ed era cominciata appunto ieri mattina quando Luigi Gubitosi aveva difeso pubblicamente Fabio Fazio, il conduttore da 5 milioni e 400 mila euro. «Professionalità come la sua sono un grande valore per la Rai e per i telespettatori», ha detto il dg uscendo dal suo ufficio. «Fazio peraltro non è un costo per l’azienda, ma una fonte di profitto, e garantisce un’informazione trasparente, seria e di altissima qualità». Forse spronato dal richiamo dei due consiglieri Tobagi e Colombo «sconcertati della passività dell’azienda di fronte all’ingiustificato atteggiamento di Brunetta» e dagli «attacchi gratuiti» al servizio pubblico. Nonché turbati dal fatto che «la divulgazione di dati sensibili come quelli sui compensi» possa aver mandato all’aria il contratto da altri 5 milioni di euro (ma 25 tutto compreso) con Maurizio Crozza.
Comunque sia, sentirlo elogiare il pluralismo e l’equilibrio di Che tempo che Fa ha scandalizzato Brunetta che prima ha replicato di slancio in Commissione di Vigilanza: «Trovo questa dichiarazione offensiva per la nostra intelligenza». E poi ha proseguito con una nota infuocata: «Non è tollerabile che un dirigente pubblico tessa lodi sperticate di una trasmissione caramellosa in cui, lo dicono i dati dell’Osservatorio di Pavia, nel ciclo 2012-2013 il rapporto tra il tempo di parola concesso al Pd è stato di 12 a 1 rispetto a quello del Pdl. Rifiutando di accettare queste evidenza, Gubitosi si installa su un tronetto di arroganza insultando il Parlamento. Se crede con le sue insolenze di metterci in riga e ai suoi comandi si sbaglia di grosso. Pensi piuttosto a fare lavorare bene gli oltre 10 mila dipendenti Rai, invece che favorire con molto garbo i suoi prediletti. A questo punto, l’unico passo decoroso che gli resta sono le dimissioni».
Più pacato ma con lui si è schierato il consigliere Antonio Verro, dandogli ragione sul caso Fazio: «Sono drastico, è più quello che la Rai ha dato a Fazio che il contrario, sono gli artisti che hanno bisogno della tv pubblica e non il viceversa». Quanto a Crozza «va bene a piccole dosi, sia come minuti che come soldi». Mentre Maurizio Gasparri se l’è presa vigorosamente con Fazio perché non vuole dire quanto prende: «Quello che ha fatto è una schifezza, deve dire quanto guadagna, si dovrebbe fare schifo da solo guardandosi allo specchio. Si dovrebbe stravergognare, con quei soldi ci paghi quaranta deputati. Cinque milioni sono troppi in questo periodo. Lui e Crozza vadano in tv con un cartello con su scritto lo stipendio, come il numero della Banda Bassotti».
E sul capitolo compensi stellari è intervenuto il presidente della Vigilanza, Roberto Fico: «Esisterà anche, nel contratto, una clausola di riservatezza, ma noi vogliamo che tutti gli stipendi Rai siano trasparenti e pubblici. Comunque l’importo del cachet per le persone normali è una cifra da capogiro e anche su questo si potrebbe dare un esempio forte al Paese». Fico ha poi smentito di voler partecipare ad una sorta di Occupy Sanremo , sull’onda del proclama di Beppe Grillo («Verremo a cantare al Festival»).
Per il presidente dell’Agcom, Angelo Marcello Cardani, sentito in Vigilanza, la Rai «dovrebbe valorizzare «i programmi di servizio pubblico attraverso la pubblicazione delle informazioni sui costi e le modalità di copertura». Quanto invece ai compensi dei conduttori, ospiti e opinionisti, ha ricordato (dando un dispiacere a Brunetta, che contava di averlo come alleato forte sul suo cavallo di battaglia) che «il contratto di servizio in vigore non è stato applicato perché «la Commissione Rai-ministero dell’Economia, che avrebbe dovuto definire le modalità di applicazione della norma, dopo i pareri contrari del Garante della privacy e dell’Antitrust, ha eliminato il riferimento alla pubblicazione nei titoli di coda».
Giovanna Cavalli