Alberto Toscano, ItaliaOggi 17/10/2013, 17 ottobre 2013
UNA REGIONE FRANCESE CHE MUORE
Una sirena d’allarme e una regione intera si ferma. Ieri mattina l’allarme antincendio è entrato in funzione in molte imprese e locali pubblici della Bretagna (una regione francese con 4,5 milioni di abitanti) in segno di protesta per l’ondata di licenziamenti che sta sconvolgendo questa parte della Francia. La gente si è riversata nelle strade e, per un’ora, l’atmosfera è stata quella dello sciopero generale. Una paralisi totale, con qualche corteo e tanti discorsi contro lo tsunami della crisi economica e contro i licenziamenti in atto soprattutto nel settore agroalimentare.
La Bretagna è una regione profondamente agricola, in cui ancora oggi un terzo dei posti di lavoro dipende dai campi, dalla pesca e dall’industria agroalimentare. La pesca è in difficoltà da decenni. Nel 1994 gli addetti di questo settore manifestarono nel capoluogo Rennes e lanciarono un razzo per il soccorso marino, che incendiò lo storico palazzo del parlamento regionale. Adesso è la volta degli allevamenti di polli e di maiali. Il pollo bretone non è certo il più nobile di Francia (ruolo che spetta a quello allevato nella zona di Bourg-en-Bresse, non lontano da Lione), ma è tradizionalmente poco costoso, per cui riempie gli scaffali dei supermercati nazionali ed europei.
Ormai i mercati internazionali sono invasi dai polli brasiliani. I tempi sono cambiati e la Bretagna fa le spese della mondializzazione. Il ruggito del pollo carioca ha permesso all’export brasiliano di superare quello francese nel settore agroalimentare. La Bretagna, che produce un terzo del pollame francese, è stata messa in ginocchio da questa concorrenza, che ha portato l’anno scorso il gruppo Doux (ex leader nazionale del settore) in una crisi drammatica, tradottasi in centinaia di licenziamenti. Poi è stata la volta degli altri marchi bretoni di questo settore, finché la crisi del maiale ha soppiantato per gravità quella degli animali a due zampe.
Nel caso del maiale il concorrente numero uno è in Europa e si chiama Germania. La produzione francese è messa in difficoltà da quella italiana e spagnola sul piano della qualità, e da quella tedesca sul piano dei prezzi. Utilizzando manodopera a basso costo dell’Est europeo, il settore agroalimentare tedesco è riuscito a spiazzare l’export francese di salumi e carne di maiale. Mezzo secolo fa il presidente De Gaulle e il cancelliere Adenauer si misero d’accordo sul fatto che il Mercato comune europeo avrebbe dovuto favorire la Francia nell’agricoltura e la Germania nell’industria.
Oggi l’export industriale tedesco non si limita a polverizzare quello dei concorrenti europei, ma persino nel settore agroalimentare le vendite internazionali di Berlino hanno superato quelle di Parigi. Ecco, nei giorni scorsi la società bretone Gad, specializzata nella lavorazione della carne porcina, annunciare un piano di quasi mille licenziamenti. Per l’intera Bretagna è stato il segnale d’allarme e ieri è andata in scena una protesta senza precedenti, a suon di sirene d’allarme.
In gioco c’è l’avvenire stesso di una delle regioni storiche più famose e più importanti di Francia. La cantieristica navale è da tempo in crisi. Parigi interviene regolarmente per trovare in giro per il mondo clienti ai cantieri di Saint-Nazaire. Il gruppo automobilistico Psa (Peugeot-Citroën) si appresta a tagliare 1.400 posti sui 5.500 della sua fabbrica di Rennes. Altri licenziamenti in Bretagna sono stati programmati dal gruppo Alcatel, una volta simbolo glorioso dell’industria francese delle telecomunicazioni.
Un altro colpo all’economia bretone viene dalle caserme, che chiudono o si ridimensionano una dopo l’altra. I tagli al bilancio della difesa si sono ripercossi su città dell’Atlantico in altri tempi celebri per le loro guarnigioni, come nel caso di Lorient. Resta (e prospera) il turismo, ma il clima permette ai bretoni di sfruttare questa attività quasi unicamente nel periodo estivo e alla fine i conti non possono tornare. Ai bretoni rimane soprattutto la loro fierezza e anche la loro lingua, tradizionalmente ostacolata in tutti i modi dalle autorità di Parigi. Una lingua celtica, che traduce la fierezza bretone nello slogan «Kentoc’h mervel eget bezañ saotret», ossia: meglio morire che tradire.
Per non tradire la loro regione, i bretoni hanno cominciato col protestare contro la politica del governo francese. Dicono d’essere pronti a ridursi le tasse, visto che Parigi non si occupa più del loro destino. Il prossimo 1° gennaio entrerà in vigore in Francia la tassa ecologica sui trasporti e di questa idea (che penalizza soprattutto una regione marginale come la loro) i bretoni non vogliono neanche sentir parlare.