Giuseppe De Lucia Lumeno, Milano Finanza 15/10/2013, 15 ottobre 2013
LUIGI BRAGANTINI, IL PADRE DELLO STATUTO POPOLARE
«Si avvicina il termine del 31 dicembre che obbliga ogni amministratore e direttore di banca – come di ogni altra impresa – a tradurre in cifre l’opera compiuta. Termine di meditazione e occasione di esame di coscienza, in quanto non c’è atto, per quanto insignificante, che non trovi nel bilancio la sua appostazione. Ora la morale non consente gli esami di coscienza al modo del fariseo Signore ti ringrazio perché io faccio tutto nel migliore dei modi, l’esame dovrà necessariamente riguardare quello che ci lascia insoddisfatti. Il tempo che si poteva impiegare meglio, le scelte che potevano essere più oculate, tutto va a finire, o prima o poi, o in quest’anno o negli anni venturi, in quel gran libro che è il bilancio. Liber scriptus proferetur, in quo totu continetur, se si è convinti che in quello tenuto, secondo il detto popolare da San Paolo vanno trascritte anche le nostre opere e le nostre omissioni professionali, l’accostamento a quello del bilancio non sembrerà più irriverente». Con questa sorta di dichiarazione programmatica, apparsa nel fascicolo di dicembre 1963 del Bollettino della neocostituita Associazione Tecnica delle Banche Popolari Italiane si presentava alla comunità degli operatori del Credito Popolare Luigi Bragantini, nominato direttore generale dell’Associazione. Il Prof. Bragantini era nato il 12 giugno 1910 a Legnago, in provincia di Verona, una terra in cui tanta copia di frutti aveva dato il seme sparso da Luigi Luzzatti. Infatti, in quegli anni nel Veneto operavano ben 18 banche popolari cooperative. Aveva compiuto gli studi superiori, fino alla laurea in Giurisprudenza, a Padova, legandosi di profonda amicizia con persone che avrebbero poi avuto un ruolo di primo piano nell’Italia repubblicana. Anche a Pisa, dove consegue la libera docenza sotto la guida di Lorenzo Mossa, fa parte di una cerchia di studiosi che nel tempo acquisiranno ruoli di primo piano nella politica, nella magistratura, nelle imprese. Rientrato a Verona, dopo un periodo di lavoro alle Generali, viene assunto dalla Banca Mutua Popolare di Verona, guidato allora da Giorgio Marani, di cui diviene stretto collaboratore e devoto amico. Si sposa con Eleonora, figlia del professor Mossa, e si trasferisce a Roma. Viene assunto dal gruppo Ina-Assitalia che lo nomina direttore della Compagnia di Roma, società di riassicurazione espressione di tutto il sistema assicurativo italiano, sia pubblico che privato. Con il suo acume giuridico, frutto di profondi studi, la sua umana sensibilità, affinata dalla impegnativa frequentazione delle istituzioni romane, egli comprese subito che, al di là della quotidiana operatività nel settore della consulenza, dell’assistenza e della attività di lobbying, peraltro allora appena in embrione, quello che più necessitava era far conoscere a quanti operavano nelle banche stesse, alla clientela e all’opinione pubblica le peculiarità giuridiche e operative che rendevano le Popolari diverse da tutte le altre banche. Situazione resa ancor più grave dal fatto che all’epoca la produzione dottrinaria sul tema della società cooperativa era limitata a un solo volume, opera di Piero Verrucoli, oltre alle poche pagine dedicate all’argomento dai manuali di diritto societario. Le banche popolari, poi, erano dalla Legge Bancaria, inserite nel calderone delle banche ordinarie. Come argutamente rilevato da uno studioso (Pipitone), Bragantini piuttosto che affrontare scopertamente la natura giuridica delle banche popolari scelse un approccio apparentemente meno impegnativo: uno studio analitico e comparativo degli statuti delle banche stesse allo scopo di pervenire alla stesura di un testo uniforme e di conseguire così una disciplina unitaria che avrebbe rafforzato la valenza delle disposizioni statutarie. Riuscì a redigere, grazie anche alla collaborazione degli esperti di alcune associate, uno schema di statuto uniforme che riscosse l’approvazione della Vigilanza e consentì un omogeneo aggiornamento degli statuti. Parallelamente, alla quotidiana attività di consulenza di tutela e di rappresentanza degli interessi delle popolari, non venne mai meno l’opera di formazione di una cultura bancaria e cooperativa. Ne rendono testimonianza l’ampia raccolta di Quaderni frutto dell’esperienza di esponenti bancari di grande valore, che spaziano dalle tematiche più squisitamente operative – di particolare rilievo quelli sul fido bancario e l’erogazione del credito – a quelle di carattere giuridico, dal segreto bancario alla fideiussione bancaria, alla disciplina giuridica delle fusioni fra banche popolari. La sua intelligenza e la sua cultura, tuttavia, emergevano soprattutto nel dibattere le problematiche che si presentavano. Ne è un esempio quanto egli ebbe a scrivere alla fine del 1969, un anno aspro per i conflitti sociali che lo avevano percorso. «Ma quel che è, è; l’accaduto, che sta nelle nostre mani nel momento dell’azione, è poi un fatto irrevocabile da superare e non da compiangere, se non per quel tanto che serva da ammaestramento. Ora la parola sta agli imprenditori. A loro si rivolge l’aspettativa di quanti sono realmente solleciti del bene comune, i quali abbisogneranno forse di agevolazioni. Ma che abbisognano soprattutto di un incentivo di natura morale, di essere riconosciuti per quello che sono: i creatori della ricchezza per tutti. Tenendo inoltre presente che nella moderna economia non si può produrre la ricchezza propria senza diffonderla intorno a sé». Nel 1977 così chiudeva il suo congedo: «Formulo il mio voto affinché la società italiana possa sempre meglio avvantaggiarsi dell’apporto delle banche popolari le quali hanno un solo scopo: fare andare bene l’economia della loro zona di lavoro».