Marco Pivato, TuttoScienze, La Stampa 16/10/2013, 16 ottobre 2013
“NEI CANTI DEI PASSEROTTI CERCO GLI ALGORITMI DELLE PAROLE”
Secondo il filosofo greco Gorgia la parola è potere, perché ha la capacità di fare accadere le cose e cambiare i destini. La scienza - oggi - gli sta dando ragione. Anche un bambino di pochi mesi, che nasce già dotato della capacità di parlare, benché non ancora strutturata come quella di un adulto, ne sperimenta immediatamente le sconfinate possibilità.
Impara molto presto, per esempio, che, quando nomina un oggetto, questo si muove: se vuole un giocattolo, sa come ottenere dalla madre, proprio grazie alla parola, di porgerglielo. È così che da piccoli impariamo che la parola è potere o, per dirla con le parole del fisico svizzero Richard Hahnloser, «è una tecnologia», una tecnologia biologica in dote all’homo sapiens da madre natura.
Come e perché l’evoluzione ce ne abbia fatto dono e quali sono i sofisticati meccanismi che hanno diversificato il nostro linguaggio rispetto a quello meno complesso di animali come delfini, insetti, primati e uccelli è ancora un mistero. Tuttavia proprio una lente sul cervello di queste specie sta per svelarci i retroscena meccanici e psichici della «tecnologia-parola» per conoscere meglio, per esempio, le radici di importanti disturbi come la dislessia, ma anche per «zoommare» all’indietro nel tempo e capire come mai proprio l’uomo sia l’animale privilegiato, quello in grado di articolare e di trasformare il pensiero in accenti, toni e timbri: la dote che ne ha fatto, per eccellenza, la specie comunicante.
Hahnloser, ricercatore dell’Istituto di Neuroinformatica dell’Università di Zurigo, ospite giovedì scorso alla kermesse di «BergamoScienza», ci porta per mano a scorgere le ancestrali origini del linguaggio. Lo fa partendo da «cavie» molto particolari, selezionate attentamente tra quelle in grado di imparare a comunicare in modo simile all’uomo, ovvero passeri, bengalini e colibrì. «C’è una somiglianza straordinaria - spiega Hahnloser - tra le tecniche di vocalizzazione nostre e di queste specie: alcuni uccellini, infatti, apprendono a cantare per imitazione dal genitore, proprio come i bebè imparano a parlare dagli umani adulti». Sebbene modulati secondo le anatomie dei differenti organi di ciascuna specie, i suoni che si utilizzano nelle fasi neonatali hanno assonanze molto simili: «I vagiti con cui esordiscono uomini e volatili sono sillabe semplici, riconducibili a fonemi somiglianti, come “da-da” oppure “ma-ma”, prima di diversificarsi via via in altri più complessi».
A dimostrare che le prime fasi nello sviluppo del linguaggio negli uomini e in alcune specie di volatili si assomigliano è un curioso esperimento del laboratorio svizzero: il team di Hahnloser ha tentato di insegnare ai passerotti armonie e ha cercato di capire se fossero in grado di riprodurle, proprio come fanno i bambini educati dalla maestra o dal genitore. Un esperimento che ha avuto successo. Ma lo scienziato ci tiene a precisare: «Non si è trattato semplicemente di un esercizio scientifico, magari per pubblicare un articolo che possa dire “Ecco, abbiamo capito come insegnare a cantare agli uccelli”. Ciò che in realtà ci interessa soprattutto - spiega - è identificare la matematica del linguaggio, ovvero gli algoritmi, i calcoli dei neuroni, che sottendono la capacità di articolare i suoni in tutte le forme possibili, dal primitivo scambio di segnali vocali come le sillabe fino alle capacità più elaborate come il canto».
I metodi delle ricerche di Hahnloser e dei colleghi neuroscienziati includono tecniche di osservazione «in vivo» come la stimolazione magnetica transcranica (la stimolazione non invasiva del tessuto cerebrale che fornisce indizi decisivi sul funzionamento dei circuiti tra neuroni), ma anche la somministrazione di farmaci che evidenziano l’attività in «set» di aree del cervello altamente specializzate nella pronuncia dei suoni. Diversamente si affidano anche all’informatica, ricreando al computer modelli semplici del cervello dei volatili per simulare esperimenti di ogni tipo.
«È estremamente utile - commenta lo scienziato svizzero - avere individuato animali con un cervello musicale simile a quello umano, perché, adesso, lo studio dell’anatomia e della fisiologia comparativa ci porterà a comprendere sempre meglio le origini del linguaggio». Lo studio, infatti, si concentra su una comunicazione vocale sostanzialmente «primitiva» come quella di uccellini e neonati - sottolinea Hahnloser - e proprio per questo è importante: «La semplicità dei modelli ci permette di osservare circuiti poco caotici e, quindi, di formulare ipotesi e studiare in modo più efficace come sia nato il più grande potere in dote all’uomo, ovvero la parola».
La squadra di Hahnloser, supportata dai colleghi neuroscienziati che indagano l’anello tra la «matematica del cervello» - come la chiama - e le sue espressioni complesse, ci riporta un quadro stuzzicante. L’homo sapiens, rispetto a tutte le altre specie, è «attrezzato» con tre speciali tecnologie biologiche che lo rendono unico: il dito opponibile - il pollice - che ci permette di manipolare la materia, la porzione di corteccia cerebrale che garantisce il pensiero astratto e, infine, proprio il linguaggio, l’elemento base, prima di ogni altro sorprendente stratagemma di madre natura, dello svolgimento ordinato del ragionamento, quello che ha permesso la creazione delle prime comunità e poi delle società via via più organizzate. Le indagini del gruppo svizzero, così, aprono uno squarcio su uno dei misteri più intriganti: come mai siamo un animale che evolve e che apprende grazie a un perenne scambio di parole.