Francesco Semprini, La Stampa 16/10/2013, 16 ottobre 2013
“FALLIMENTO? È UN BLUFF I SOLDI SI TROVANO SENZA ALZARE IL DEBITO”
[Martin Feldstein]
L’ipotesi «default» è un bluff messo in atto da entrambe le parti per accrescere la pressione e ottenere il massimo vantaggio». Non ha dubbi Martin Feldstein, guru di Harvard e già consigliere capo per l’economia di Ronald Reagan. Padre del «deficit hawk», la dottrina sul bilancio che mira a tenere sotto controllo il debito attraverso la riduzione della spesa pubblica, Feldstein spiega che il vero pericolo non è il fallimento ma la totale «intolleranza» di Obama al negoziato.
Professore, tra poco le lancette segneranno l’ora del fallimento. Di cosa dobbiamo avere paura?
«Mi faccia iniziare con il rischio fallimento. Non c’è in realtà nessuna possibilità, che il governo americano faccia un default sul debito, vorrei che questo fosse chiaro».
Ci stiamo preoccupando per nulla?
«Chi paventa la minaccia di un rischio del genere lo fa per accrescere le pressioni, per spaventare l’altro, e portare a casa il maggior guadagno possibile. Mi riferisco tanto alla Casa Bianca quanto ai repubblicani del Congresso».
Ma se in cassa rimangono meno soldi del necessario per pagare il costo del debito pubblico, tecnicamente è default....
«Non è così, il fisco americano ha già raccolto proventi da tassazione e tributi più che sufficienti per pagare gli interessi sul debito oltre a qualche altra spesa, ancora per diverso tempo. Per capirci, tra ritenute d’imposta e anticipi trimestrali dei pagamenti, nei forzieri del Tesoro c’è già il 70% di quello che i cittadini americani dovrebbero pagare in tasse per il 2013. Quindi non ci sono possibilità che il default sia un esercizio praticabile».
Si tratta di un bluff, ma se entrambi ne sono consapevoli, come se ne esce?
«É quello il fatto, è una situazione pesante che riflette il momento di grave difficoltà che attraversa questo Paese dalla leadership in giù. Il prolungato “shutdown” pesa non poco e, anche in caso di un innalzamento del tetto del debito per sei settimane, non si farebbe altro che prolungare un’agonia. Se si continua ad aumentare l’esposizione senza agire su altre variabili, s’indebolisce una ripresa già fragile».
Sta tornando in lei il «deficit hawk»?
«Se l’alternativa è aumentare le tasse, direi che adesso è meglio tagliare le spese».
Quindi è un’impasse tutta politica?
«É una impasse politica ma con conseguenze economiche, e anche notevoli. Il problema è che il presidente non sembra disposto a negoziare né con i repubblicani né col suo stesso partito. E questo non porta da nessuna parte nel sistema politico americano. Quando ero alla Casa Bianca con Reagan, anche se l’opposizione democratica controllava la Camera, abbiamo potuto varare un’importante riforma della tassazione, e un congruo ridimensionamento della Social Security»
Dall’altra però c’è un partito ostaggio dei Tea Party...
«Ma questo è parte di un negoziato, si parlava di bluff prima: ebbene loro sono disposti più degli altri ad andare a vedere le carte, fino all’ultima mano».