Federico Fubini, la Repubblica 16/10/2013, 16 ottobre 2013
LA LENTE DELL’EUROPA SUI CONTI ITALIANI
SE C’È una novità nell’ultimo vertice dell’Fmi, è in ciò che non è successo. Per la prima volta si è smesso di parlare ossessivamente dell’euro. Il contagio partito in Grecia nel 2010 non tiene più svegli la notte i mandarini delle diplomazie e delle banche centrali.
Nei giorni della legge di stabilità, il governo rischierebbe però di trarre il segnale sbagliato se pensasse che anche l’Italia è uscita dai radar: l’esame che questa manovra sta per affrontare a Bruxelles potrebbe dimostrare l’opposto nel giro di sei settimane.
Nessuno in realtà nella Commissione europea intende pronunciarsi a caldo sulle misure. Non è sorprendente, benché proprio la mezzanotte di ieri fosse la scadenza data al governo da Bruxelles per inviare il provvedimento. È tutto troppo «nuovo e delicato» per commentare, si spiega, sia a causa di fattori legati all’Italia in particolare che per il quadro complessivo dell’area euro. C’è innanzitutto il caso nazionale: visto da Bruxelles o da Berlino questo appare – a ragione o a torto – il solo paese in crisi a restare poco leggibile; Grecia, Portogallo, Spagna o Irlanda si sono dimostrate più fragili, ma tutti in Europa ormai hanno un’idea più o meno chiara delle loro prospettive. Se non altro perché sono ancorate ai piani di salvataggio, su di loro la visibilità a un anno o due sembra assicurata. Si capisce cosa faranno e si intuisce come risponderanno i mercati. Invece per l’Italia, è il timore diffuso in Europa, molto meno: ed è la più pesante delle economie vulnerabili, quella il cui impatto si fa sentire su tutto il sistema.
È con questo spirito che l’esame della legge di stabilità sta per iniziare a Bruxelles in condizioni inedite. Quest’autunno per la prima volta si applica la cornice di regole che Mario Draghi, presidente della Bce, ha chiamato «fiscal compact». È un «patto di bilancio» imperniato su pochi pilastri che cambiano la natura stessa della sovranità nazionale. Da ora in poi, ogni proposta finanziaria passerà al vaglio di Bruxelles prima che il parlamento del paese coinvolto la approvi; l’esame preliminare serve a chiedere (di fatto, a imporre) modifiche all’impianto se la manovra risultasse incoerente con le regole europee e gli obiettivi. Per l’Italia ciò significa che entro fine novembre la Commissione prima e l’Eurogruppo dei ministri finanziari poi guarderà a fondo l’impianto del bilancio. Quindi si pronuncerà. Non è un caso che il mese prossimo siano già in agenda due vertici dell’Eurogruppo.
Il governo arriva a questo passaggio pieno di trappole mandando Bruxelles, secondo il Financial Times, una versione della manovra che ieri mostrava ancora delle caselle bianche. La promessa fatta alla Commissione è di riempirle fra qualche giorno, non appena ci sarà l’accordo di tutti. Eppure all’attivo ci sarebbe anche un po’ di credibilità. Ieri Olli Rehn, il commissario Ue agli Affari monetari, ha detto che l’Italia ha dei margini d’investimento in più nel 2014 perché il suo deficit resta sotto il 3% del Pil. Non era scontato. Alla Francia per esempio è stato permesso di rinviare la stretta di bilancio e restare sopra il 3%, ma la vigilanza europea sui conti di Parigi si è fatta asfissiante. La lista di rassicurazioni richieste ai francesi è lunghissima; a confronto, il governo italiano viene marcato meno stretto.
Questo non significa che l’esame europeo sarà una passeggiata, al contrario. In base al «fiscal compact», l’Italia dovrebbe ridurre il suo debito pubblico rapidamente a partire dal 2015: sarebbe una rivoluzione copernicana di cui oggi si faticano a vedere i presupposti, ma la legge di stabilità verrà misurata anche su quell’impegno. Quanto alla Commissione, se quello di Rehn è un segnale, potrebbe dimostrarsi meno severa negli atti pubblici che non nei colloqui privati. Poi però si andrà all’Eurogruppo, dove ogni governo ha una sensibilità e una convenienza diversa. In Germania per esempio si sono già rifatti i conti sui numeri di debito, deficit e saldi al netto degli interessi contenuti nell’ultimo Documento di economia e finanza del Tesoro italiano. E la conclusione dei tecnici tedeschi è che quelle stime sono fragili, niente affatto a prova di bomba. A Berlino molti pensano che l’Italia non stia facendo la sua parte, dopo aver incassato un sostegno provvidenziale grazie alla disponibilità della Bce a intervenire, protetta dal tacito assenso di Angela Merkel.
La cancelliera non ha ancora il suo governo post- elezioni ed è improbabile che voglia creare un caso politico sul grande vicino del Sud proprio ora. Ma le regole europee sul «fiscal compact» sono nuove, nessuno vuole che perdano subito mordente. Non ha voglia di concedere sconti l’Olanda, pressata com’è dai partiti anti-euro in casa e dall’infrazione a Bruxelles per il suo deficit sopra il 3%. Ha solo elettori da guadagnare dall’intransigenza anche il governo Helsinki. E per parte sua l’Italia non ha molti alleati. La Francia in Europa è in perdita di velocità, piombata in un silenzio assordante per la crisi di fiducia che la paralizza. E la Spagna, vincolata al pacchetto di salvataggio Ue per le sue banche, vorrebbe semmai che l’Italia la raggiungesse: da mesi Luis de Guindos, ministro delle Finanze di Madrid, ripete in privato che anche Roma dovrebbe chiedere un aiuto europeo.
Il ministro Fabrizio Saccomanni, su questo sfondo, avrebbe bisogno di una manovra solidissima. Lui, il ministro agli Affari europei Enzo Moavero e il premier stesso sarebbero perfettamente in grado di difenderla a Bruxelles. Ne hanno le competenze e i rapporti. Tutti in Europa però hanno visto come la strategia per tenere il debito sotto controllo è basata, da ora al 2017, su un aumento previsto del surplus di bilancio di 45 miliardi (prima di pagare gli interessi sul debito). In teoria sono quasi tutti tagli di spesa. Da stamani, molti ne cercheranno invano traccia nella legge di stabilità.