Paolo Lepri, Corriere della Sera 16/10/2013, 16 ottobre 2013
ACCUSE ALLA MERKEL PER I SOLDI DALLA BMW «PARTITO IN VENDITA»
E’ una storia di relazioni pericolose e di coincidenze inquietanti quella della valanga di denaro regalata nei giorni scorsi dai maggiori azionisti della Bmw al partito di Angela Merkel. Una donazione di 690.000 euro della famiglia Quandt, la chiacchierata dinastia le cui fortune si consolidarono negli anni del nazismo, è stata versata nelle casse della Cdu qualche giorno prima dell’ultimo affondo tedesco, a Bruxelles, contro il progetto di limitare le emissioni di anidride carbonica delle vetture europee. È da tempo che il governo di Berlino combatte una dura battaglia contro l’iniziativa dell’Ue, ritenendo che danneggi l’industria automobilistica nazionale. Ieri però i ministri dell’Ambiente hanno accettato un nuovo rinvio. Si era sempre detto che dietro la posizione della Germania c’era l’azione di lobby delle case produttrici di macchine di lusso. Ma la notizia dell’ingente finanziamento di Susanne Klatten, della madre Johanna Quandt e del fratello Stefan Quandt proprio alla vigilia della riunione europea ha scatenato un’ondata di polemiche ancora più aspre e alimentato nuovi sospetti sui rapporti compromettenti tra politica e industria. E la donna più potente del mondo è ora costretta difendersi.
Certo, la sua posizione è sempre stata chiara. Qualche settimana fa, intervenendo all’inaugurazione della Fiera dell’auto di Francoforte, Angela Merkel aveva sostenuto esplicitamente le ragioni della aziende tedesche padrone del mercato delle vetture di grossa cilindrata, sottolineando la necessità di trovare «un equilibrio ragionevole tra gli obiettivi ambiziosi da una parte e la libertà delle imprese dall’altra» perché il futuro dell’industria «continua a basarsi anche sulla produzione di modelli di fascia elevata e sulla loro penetrazione nei mercati globali». «L’Europa deve imparare — aveva aggiunto — a guardare oltre i suoi confini». Parole che non hanno bisogno di essere interpretate. Come quelle, del resto, pronunciate a Bruxelles dal ministro dell’Ambiente Peter Altmaier, uno degli uomini a lei più vicini, secondo cui l’impegno contro il riscaldamento globale va coniugato con flessibilità alla difesa dell’industria automobilistica europea. «Troveremo una soluzione nelle prossime settimane», è stato il suo auspicio finale. Sarà così, ma è un fatto che dopo il cedimento alle pressioni tedesche non sembra assolutamente facile poter arrivare in tempi brevi a quella limitazione delle emissioni di Co2 (95 grammi a chilometro entro il 2020) ritenuta dagli esperti indispensabile. Con la Germania si sono schierati Paesi come Ungheria, Portogallo e Slovacchia, che hanno nel loro territorio fabbriche gestite da aziende tedesche.
Uno scontro a viso aperto, quindi, nel segno di quella promozione della «competitività» che è uno dei cavalli di battaglia di Angela Merkel? Fino a un certo punto si potrebbe dire, perché gli interessi della aziende tedesche in questo dossier sono troppo forti per non lasciare il campo a molti interrogativi. Che il caso della donazione sia estremamente delicato lo dimostra la tempestività con cui la Cdu si è preoccupata di chiarire che la famiglia Quandt sostiene da tempo i cristiano-democratici «sia che essi siano al governo oppure all’opposizione». E il finanziamento privato è stato regolarmente denunciato in Parlamento, come prevede la legge. Non la pensa così l’opposizione. Secondo i post-comunisti della Linke si può ormai parlare di una «politica favorevole» a Daimler, Volkswagen e Bmw «comprata con il denaro». I Verdi hanno sottolineato che questo episodio «danneggia l’immagine della Germania all’estero».
La potentissima famiglia, comunque, alle polemiche è abituata. Sono stati versati fiumi d’inchiostro sui rapporti con il regime hitleriano di Günther Quandt, che fu il primo marito di Magda Goebbels, la moglie del gerarca nazista Joseph. Da lei ebbe uno dei suoi due figli, Harald, fratellastro dei sei bambini avvelenati dai genitori con il cianuro. Johanna è la terza moglie dell’altro rampollo, Herbert (l’uomo che prese il comando dell’impero paterno), del quale era stata la segretaria. Suzanne fu al centro di un clamoroso scandalo, ricattata e derubata da un gigolò. Ora le cose sono più serie, perché questo è un caso politico che coinvolge la cancelliera. Apparsa molto meno prudente del solito.
Paolo Lepri