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 2013  ottobre 16 Mercoledì calendario

DENUNCE GIUSTE E MORALISMI SBAGLIATI


Fino all’altro ieri, Fabio Fazio era l’uomo più corteggiato d’Italia: case editrici, case discografiche, case cinematografiche, politici, chiunque avesse qualcosa da promuovere sul mercato avrebbe fatto carte false per entrare in quel salotto. Adesso è diventato la vittima sacrificale. Per di più, non uno dei suoi famosi invitati è intervenuto in sua difesa.
L’on. prof. Renato Brunetta, invitato a «Che tempo che fa», si è divertito a sfregiare il galateo di quella trasmissione. Come ha scritto il Foglio , «Là, dove tutti mozartianamente si danno la mano, si danno di gomito, si baciano/abbracciano/complimentano, cenacolo e ritrovo e tavernetta casalinga dei mejo italiani, in tre inauditi minuti Renato Brunetta ha messo i piedi sul tavolo, il dito nell’occhio, le mani nel piatto. Insopportabile. Implacabile. Imperdibile».
L’on. prof. Brunetta, membro della Commissione di vigilanza Rai, ha pubblicamente rivelato i guadagni del conduttore e ha messo in discussione le modalità del rinnovo del suo contratto.
Senza fare il tifo né per l’uno né per l’altro, proviamo a ragionare su quanto è successo. Sui milioni che Fazio guadagna si è subito aperto il fuoco amico e nemico: Grillo, il solito Codacons, parte del «popolo del Web». I soldi sono tanti, ma, senza infingimenti e moralismi, la cosa più importante è che quei soldi siano un buon investimento. Se Fazio, con i suoi programmi, riesce ad avere un ritorno pubblicitario proficuo significa che quei soldi sono ben spesi. A Mediaset, a Sky, a La 7 fanno così.
Si dirà, ma la Rai è servizio pubblico. Veramente, come abbiamo scritto più volte, la Rai ha perso da tempo la sua identità ed è diventata una tv fra le tante. L’accesso al bene pubblico radiotelevisivo è ormai alla portata di tutti, la pluralità delle istanze politiche, sociali e culturali è assicurata dalla varietà e molteplicità dei canali, dei media, delle fonti. Ma c’è ancora una canone da pagare e bisogna tenerne conto. La Rai, in estrema sintesi, ha una doppia natura giuridica: è pubblica in quanto è partecipata dal ministero dell’Economia e delle finanze (99,56%) e il suo contratto di servizio è stipulato con il ministero dello Sviluppo economico; è privata in quanto è una spa. Nella sua storia, la Rai ha sempre giocato su questa duplice identità. Alla fine, però, chi è il vero editore di Viale Mazzini? Sono i partiti politici attraverso quel fenomeno triste e umiliante che si chiama lottizzazione (un condominio consociativo a cui partecipano tutti i partiti, con quote maggiori o minori; e lo chiamano pluralismo).
Teoricamente quindi se la Rai, come spesso viene dipinta, è un luogo dove si assumono, in mezzo a tanti bravi professionisti, anche parenti, amici, amici degli amici, fidanzate, fidanzati, amanti, incapaci la colpa dovrebbe ricadere sul vero editore. In questa prospettiva, anche la Commissione di vigilanza andrebbe intesa come un istituto che umilia le responsabilità dei dirigenti di Viale Mazzini e che serve solo a sancire il controllo dei partiti sulla Rai: una vera vergogna. È ridicolo poi che la presidenza sia in mano ai grillini: invece di abolirla la cavalcano.
Se c’è da calmierare i compensi, la battaglia è più che giusta. Se c’è da promuovere una campagna di «pulizia etnica» per restituire verginità a Viale Mazzini bisognerebbe cominciare a denunciare tutte quelle persone che occupano indegnamente un posto, dirigenti compresi, tutti quei conduttori che sono stati messi lì grazie a una raccomandazione e fanno flop, tutti i «fornitori» che profittano di un intervento dall’alto. Ho più volte criticato «Che tempo che fa» ma dovessi stabilire un ordine nell’epurazione non mi sentirei certo di considerare la trasmissione una priorità.
C’è poi la questione della trasparenza, prevista dal contratto di servizio tra ministero e Rai. Certo, ma in questo modo la Rai dovrebbe vivere solo di canone. Nel momento in cui si mette sul mercato, e la Rai è sul mercato, invocare la trasparenza sui contratti delle cosiddette star o dei conduttori di primo piano significa solo fare un favore alla concorrenza. E ogni intervento per sbandierare i compensi può apparire strumentale.
Per affrontare questi temi sarebbe meglio tralasciare ogni ipocrisia, ogni risentimento, ogni spirito di vendetta e affrontarli nelle sedi opportune. I rancori fanno spettacolo, ma difficilmente risolvono i problemi.