Bianca Di Giovanni, L’Unità 15/10/2013, 15 ottobre 2013
DA ANSALDO A TELECOM E OLTRE: TORNA LA MANO PUBBLICA
Confindustria non è convinta. «Sono sempre molto perplesso di fronte agli interventi della mano pubblica in una società privata», dichiara Giorgio Squinzi commentando l’ingresso di Poste Spa nel capitale Alitalia. Maurizio Lupi dal canto suo si dice certo che alla fine gli imprenditori «comprenderanno». Forse non hanno capito perché era tardi quando lo abbiamo annunciato, azzarda il ministro.
Certo, mettere insieme francobolli e cloche degli aerei è difficile da capire, ma una cosa appare molto comprensibile: la mano pubblica si muove. O si (ri) muove, dopo le illusioni e i fallimenti degli animal spirits. Lupi si sbraccia nel dire che no, non c’è aiuto di Stato. «Non possiamo far pagare ai cittadini il debito di una azienda privata – spiega – L’intervento di Poste è quello di una azienda sinergica e con i conti assolutamente a posto». Sarà: andrà pure spiegato ai piccoli risparmiatori clienti di Poste.
Resta il fatto che quando nel capitale sbarca un’azienda pubblica, gli equilibri interni cambiano e di molto. Se mettiamo in fila le operazioni di caratura nazionale in cui l’esecutivo ha preso l’iniziativa per regolamentare, ripescare, salvare dal baratro, vengono in mente subito tre nomi pesantissimi: Telecom, Ansaldo e quindi Alitalia. Sul colosso delle telecomunicazioni l’esecutivo si è mosso (in ritardo?) attraverso i nuovi poteri speciali sulle infrastrutture strategiche, tra cui viene inclusa anche la rete di tlc. Le «solite» banche (sono sempre le stesse da noi) hanno tranquillamente deciso di cedere lo scettro al partner industriale Telefonica: un passaggio di mano senza alcun vantaggio per i piccoli azionisti e con parecchi rischi per la sicurezza dello Stato. Ma stavolta a muoversi è anche il Parlamento. In Senato è stata presentata una mozione per rafforzare i poteri di controllo della Consob e rivedere le soglie Opa. Il testo è stato condiviso da tutti i gruppi parlamentari e sottoscritto dai quattro vicepresidenti del Senato. «Per questo riteniamo che la mozione potrà indurre il governo ha detto il presidente della commissione Industria Massimo Mucchetti ad agire in tempo utile per difendere oggi i risparmiatori che posseggono azioni Telecom e domani i soci di minoranza delle altre grandi società a capitale diffuso». Su Ansaldo energia è stato lo stesso premier ad impegnarsi, durante l’intervento alla festa nazionale del Pd a Genova. La mossa del governo anche su pressioni sindacali ha modificato il disegno della vendita diretta alla coreana Doosan. A entrare in campo è stato il Fondo strategico della Cassa depositi e prestiti, che acquisirà l’85% da Finmeccanica e dal fondo First Reserve corporation. Un’operazione ponte, in vista di un partner industriale, che probabilmente sarà la stessa Doosan. Ma anche in questo caso sulle scelte strategiche ai coreani toccherà vedersela con il partner pubblico, che dovrebbe restare con il 35%. Discorso assai più complesso, quello di Ansaldo Sts e Breda. Il dossier è sul tavolo del sottosegretario Claudio De Vincenti. Il piano è creare una holding dei trasporti, in cui far confluire le due controllate di Finmeccanica e probabilmente il gruppo Firema. Sono già avviati i contatti con General electric, all’inizio interessata alla sola Ansaldo Sts. Anche in questo caso potrebbe intervenire come socio di minoranza il Fondo strategico italiano, mentre i sindacati chiedono l’intervento di Ferrovie.
Insomma, le pedine sono tutte in movimento, e la scacchiera è collocata nelle stanze della politica. Che l’esecutivo Letta avesse in mente di riattivare il canale dello Stato attore del mercato lo si era capito già a inizio estate, quando il premier aveva presentato insieme ai vertici della Cassa depositi e prestiti il piano industriale della «cassaforte» pubblica. Un programma di interventi per 80 miliardi, elevabili a 95 con nuove disposizioni legislative. Letta aveva aperto porte e finestre al nuovo gigante degli investimenti immobiliari e industriali.