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 2013  ottobre 15 Martedì calendario

PERCHE’ CHIUSERO PIANOSA A E L’ASINARA?


Quelli che dicono no all’indulto e all’amnistia. Sotto le bandiere di Matteo Renzi ma anche lontani dal sindaco di Firenze tanto che il fronte anti è assai variegato e va dai radicalchic di Micromega alla destra di Fratelli d’Italia, passando attraverso 5stelle e Lega.

Il botto ovviamente l’ha fatto Renzi e subito i suoi aficionados si sono adeguati, come il sindaco di Bologna, Virginio Merola, uno dei tanti convertitosi al renzianesimo dopo una lunga professione bersaniana. «L’indulto e l’amnistia, come misure emergenziali - dice - non possono risolvere il problema delle nostre carceri, dove ai detenuti devono essere garantite misure detentive dignitose. Abbiamo il difetto di ricorrere sempre a questa logica dell’emergenza per cui non è la prima volta che si parla di amnistia e indulto, nel frattempo non è stata nè potenziata la situazione delle carceri nè migliorato il trattamento dei detenuti. Ogni 3-4 anni ridursi al fatto che l’unica possibilità è quella dell’amnistia e dell’indulto non è un bel vedere per il nostro Paese».

Così i renziani, allineati. Ma da Napoli è un prete anticamorra a prendere posizione, nonostante Papa Francesco abbia più volte chiesto un atto di clemenza per i detenuti. «Non mi sento- dice don Aniello Manganiello, in prima fila nel cercare di dare ai giovani un futuro non camorristico - di sostenere la richiesta del presidente della Repubblica». Insieme al leader degli ecorottamatori Verdi, Francesco Emilio Borrelli, ha addirittura fondato un comitato contro l’indulto e l’amnistia. «Dall’indulto di Mastella», dice il sacerdote, «sono passati pochi anni e i penitenziari sono di nuovo strapieni dimostrando il totale fallimento di questo modus operandi. La verità è che bisognerebbe cambiare il regime carcerario obbligando i detenuti a lavorare per la collettività che hanno danneggiato. Ad esempio molti di quelli campani potrebbero partecipare alla bonifica della Terra dei Fuochi che in parte è stata avvelenata anche per colpa loro. Oppure potrebbero pulire le strade o servire alle mense dei poveri svolgendo dei servizi sociali. Come è successo dopo ogni indulto e amnistia oltre all’aumento di atti criminali si otterrà una sempre maggiore demotivazione delle forze dell’ordine a cui, evidentemente, i vertici istituzionali non stanno pensando adeguatamente. Senza contare il pessimo esempio per le vittime di atti delinquenziali e per l’ intero Paese, col messaggio distorto che il crimine conviene e chi delinque alla fine la fa sempre franca».

Una certa sorpresa è il no espresso dai radicalchic di Micromega, in dissenso con Sel, coi partiti della sinistra radicale e con la coppia Pannella-Bonino, tradizionali e principali interlocutori della rivista, sulla quale Andrea Camilleri, Roberta de Monticelli, Paolo Flores d’Arcais, Barbara Spinelli firmano un manifesto in cui sottolineano che «la condizione di vita nelle carceri è incivile e indegna di un Paese democratico». Però poi avvertono: «L’indulto e l’amnistia non risolvono il problema, come già dimostrato da precedenti anche recenti. Per fare uscire migliaia di detenuti basterebbe abrogare la legge Bossi-Fini e la legge Fini-Giovanardi». «L’indulto e l’amnistia che il presidente Napolitano chiede in toni ultimativi al Parlamento», continua l’appello sponsorizzato da Micromega, «non risolverebbe nessun problema strutturale e avrebbe come unici effetti più rilevanti quelli di fornire un salvacondotto tombale a Berlusconi, di delegittimare il lavoro della magistratura di contrasto al crimine, di umiliare le vittime e i loro parenti».

Sul fronte della magistratura ad alzare la voce è Nicola Gratteri, procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Reggio Calabria: «La cosa grave è che si mette nella testa della gente l’idea che alla fine tutto si aggiusta, che non esiste la certezza della pena, che in primo grado, in appello o addirittura dopo la sentenza definitiva qualcosa succede, perchè uno sconto ci sarà sempre per tutti. In Italia nel 2012 c’erano 112,6 detenuti per ogni 100 mila abitanti. La media europea è 127,7. Quindi noi siamo sotto la media: questo ci dice che il problema non è che sono troppi i detenuti, bensì che sono poche le carceri».

Ma il procuratore affonda il suo j’accuse: «Cosa hanno fatto i politici per risolvere il problema delle carceri dopo l’ultimo indulto del 2006? Perché sono state chiuse le carceri di Pianosa e dell’Asinara dove potevano stare i detenuti del 41 bis? Perché in questi anni non sono stati fatti accordi bilaterali con Paesi come la Romania e la Tunisia per trasferire nella galere patrie i detenuti stranieri, che in Italia sono ben 20mila? Perché non lo fa domani mattina il ministro della Giustizia?». Infine Gratteri fa due esempi di malagestione del problema: in provincia di Cagliari c’è un carcere quasi finito, costruito appositamente per i 41-bis, mai utilizzato per mancanza di personale mentre in provincia di Nuoro un’intera sezione dedicata ai 41-bis è vuota. Gli fa eco, da Brescia, il sindacato della polizia di Stato, Ugl: «Tralasciando l’aspetto puramente politico della vicenda», è scritto in un documento ufficiale, «rimangono indelebili le sicure lacerazioni all’ormai devastato tessuto sociale e giuridico cui già si assistette nei precedenti indulti e amnistie che furono elargite con tanta benevolenza dai nostri parlamentari qualche anno fa. In realtà, con l’indulto del luglio 2006, uscirono circa 25mila condannati ma un anno dopo le carceri erano strapiene perché circa un terzo degli indultati sono tornati in carcere. Ancora una volta, un atto di umanità ai delinquenti si tradurrà in un peso sociale che dovrà essere assorbito e pagato dai già martoriati cittadini».

Pure il Coisp, altro sindacato di polizia, fa sentire la sua voce di dissenso: «Già nel 2006», afferma Giuseppe Raimondi, del direttivo Coisp, «allorquando fu adottato il medesimo provvedimento di indulto, i fatti diedero ragione a chi come noi non era d’accordo, difatti dopo lo «svuotamento delle carceri» ci fu il successivo «riempimento delle stesse», ove in tantissimi casi, trovarono nuovamente alloggio le stesse persone che ne avevano beneficiato e che avevano commesso nuovi reati. Non possiamo permettere che il lavoro certosino fatto dagli uomini e le donne della polizia di Stato e delle altre forze di polizia vada al vento, troppo spesso si vedono in circolazione personaggi che con non poca fatica erano stati tratti in arresto».

Nel cocktail politico troviamo (oltre a Matteo Renzi) Lega e 5stelle a fare da battistrada. Matteo Salvini, vicesegretario della Lega sostiene che «in un Paese civile, se le carceri sono sovraffollate, ne costruisci altre, non depenalizzi e apri le porte». Aggiunge Lorenzo Fontana, capodelegazione Leganord al parlamento europeo: «Qui si sta invertendo la logica dello Stato di diritto. Qualsiasi provvedimento di clemenza è inutile, come dimostra l’indulto del 2006, anch’esso firmato da Napolitano. Facciamo un indulto ogni tot anni per poi trovarci da punto a capo?».

Non usa termini molto difformi Beppe Grillo, che dopo avere scomunicato i suoi parlamentari che si erano espressi a favore, se la prende col presidente della Repubblica: «Le lacrime napulitane versate per coloro che sono detenuti - ha scritto il leader 5 Stelle sul suo blog - sono sospette da parte di chi è parte fondante di questa classe politica. E il sospetto che l’appello avvenga per salvare Berlusconi e una miriade di colletti bianchi è lecito». Al coro si unisce Fratelli d’Italia. Secondo Barbara Benedetelli, responsabile dell’area tutela vittime della violenza di Fdi: «In Itali vi sono decine di carceri finite e inutilizzate, costate non poco ai contribuenti, e altre semivuote. In più ci sono caserme abbandonate che possono essere adibite a carcere senza spendere denaro per costruirle. Poi il 40 % dei detenuti sono stranieri: vadano a scontare la pena nel Paese d’origine, si riprendano gli accordi bilaterali in questo senso, avviati nel 2010 da Alfano. Guai a sbiadire il principio della certezza della pena».

Sulla certezza della pena è intransigente anche una voce fuori dalle diatribe politiche, quella di Rosanna Zecchi, vedova di Primo, assassinato dalla banda della Uno bianca perché prendeva il numero di targa dell’auto in fuga dopo una rapina, coordinatrice dell’associazione che raggruppa i parenti delle vittime della banda che vent’anni fa insanguinò l’Emilia-Romagna e le Marche: «Ci sentiamo delle sentinelle - dice - vigiliamo affinchè le condanne processuali non vengano disattese nell’esecuzione della pena. Se arrivassero sconti sarebbe uno schiaffo inaccettabile dopo tutto quello che abbiamo sofferto».