Matteo Muzio, Linkiesta 14/10/2013, 14 ottobre 2013
BREVE STORIA DELLE TASSE SULLA CASA DA BISANZIO ALL’IMU
Dopo che il governo Letta è scampato alla sua prima crisi, sono tornate sul tavolo varie ipotesi di tassazione sugli immobili, tra cui anche un inaspettato ritorno dell’Imu per le case con rendita catastale superiore ai 750 euro. Molto spesso però, nella Storia, i governi si sono trovati a fronteggiare rivolte e forti opposizioni sulle tasse sulla casa. Pensiamo all’Inghilterra del primo Ottocento. All’epoca, una tassa sul reddito o sulla proprietà della casa era osteggiata da un vasto schieramento parlamentare.
Tanto per fare un esempio, il cancelliere dello scacchiere Nicholas Vansittart nel 1815, poco dopo la battaglia di Waterloo tentò di mantenere la tassa sul reddito introdotta nel 1799 come mezzo per finanziare le guerre napoleoniche. Ma la sua proposta venne battuta in aula e tutti i dati relativi alla sua esazione vennero distrutti. Così, i governi nella Storia tentarono da sempre di trovare modi meno diretti di tassare redditi e proprietà che non fossero giustificati da uno sforzo bellico. Eccone alcuni.
Focatico
La più antica di tutte le tassazioni sulla casa risale addirittura al nono secolo. L’imperatore bizantino Niceforo I, regnante dall’802 al 811, introdusse il “kapnikon”, una tassa che gravava su ogni nucleo familare, senza alcuna esenzione per i poveri. L’impero d’Oriente, assediato da nemici interni ed esterni aveva bisogno di sempre più denaro per mantenere le sue armate. Così si inventò una tassa sul “Kapnos”, sul fumo emesso dai camini delle case. Qualche secolo dopo, anche la Francia di Re Filippo VI, con la necessità di fondi per sostenere l’inizio della Guerra dei Cent’anni, nel 1342 introduce la tassa per "feu fiscal", poi riformulata sette anni dopo a causa della Peste del 1348. La tassa era raccolta in modo farraginoso e discontinuo, a volte utilizzando anche le strutture diocesane per far fronte alla mancanza di una solida macchina statale. In più, il pagamento di questa imposta era discontinuo: le comunità locali chiedevano frequentemente, vuoi per una carestia, vuoi per un’epidemia, delle esenzioni o dei privilegi per pagare meno o per non pagare del tutto. O anche per rendere cumulativa la tassa, in modo che tre capifamiglia poveri pagassero una sola tassa come nella vicina Bretagna.
Molto più preciso il sistema invece istituito dall’Inghilterra ai tempi della Restaurazione degli Stuart dopo la parentesi di Cromwell, nel 1662. Le spese per il mantenimento della Corona vennero stimate in un milione e 200 mila sterline, da raccogliersi con il sistema che re Carlo II aveva appreso durante la sua permanenza in Francia negli anni dell’esilio. La tassa era di due scellini a focolare, pagabili in due rate il 29 settembre e il 25 marzo, giorni di San Michele e dell’Annunciazione di Maria. C’erano diverse esenzioni: per i poveri impossibilitati a pagare, per le chiese, per le tenute che rendevano meno di una sterlina all’anno, per le fornaci, i forni per il pane, le vetrerie e gli ospedali. Ma anche questo sistema aveva delle falle: molti proprietari terrieri di fatto ne erano esenti, facendo gravare la tassa in questione sui loro manenti e sui loro fiduciari. I più gravati da questa tassa erano la classe media urbana e il mondo del commercio e degli affari, che per i motivi suddetti si ritenevano i più ingiustamente gravati. Con la gloriosa rivoluzione del 1688 e la cacciata del cattolico Giacomo II dal trono, il nuovo governo di Guglielmo III d’Orange si premurò subito di abolire l’odiata gabella. Per sostituirla qualche anno più tardi con una nuova tassa, molto più originale.
Tassa sulle finestre
Ancora una volta, è lo sforzo bellico a giustificare la Window tax, varata nel 1696 per fare cassa contro le armate di Luigi XIV di Francia sul Continente europeo. La tassa, impostata su un criterio di progressività, era composta in due parti: la prima era un’aliquota unica di due scellini ad abitazione, la seconda invece riguardava il numero di finestre. Quelle con meno di dieci, erano esentate. Quelle con un numero da dieci a venti finestre pagavano ulteriori quattro scellini e infine quelle con più di venti aperture ne pagavano otto. Ma anche questa legge era facilmente aggirabile: murando le finestre. In molte case d’epoca molte finestre ancora oggi sono rimaste murate per aggirare l’odiata imposta, definita, in una richiesta di esenzione mandata al Tesoro da un pastore della Chiesa di Scozia “una tassa sulla luce e sull’aria”.
Ma era pur sempre meglio di un’imposta sul reddito, per i suoi sostenitori. Che a scanso di equivoci, ne avevano introdotta un’altra, qualche anno più tardi.
Accisa sul vetro
Introdotta dal governo Whig di Henry Pelham nel 1745, la tassa, ancora una volta, mirava a colpire i ricchi possidenti di lampadari, oggetti d’arte o anche, perché no, doppi vetri alle già tassate finestre. I produttori di vetro spostarono la produzione in Irlanda, come conseguenza primaria (l’isola, benché parte del Regno Unito, aveva un regime fiscale diverso). E la produzione, siccome la tassa era sul peso, sì concentrò su oggetti finemente decorati e leggeri. Ma per le abitazioni che erano sfuggite alla tassa sulle finestre, questa fu una mannaia intollerabile. Le abitazioni popolari divennero estremamente malsane, tanto che, cent’anni più tardi, nel 1845 là rivista medica The Lancet scriveva:
«Da un punto di vista igienico, la pesantissima tassa sul vetro, che ammonta al tre per cento del suo valore, è una delle più crudeli che un governo possa infliggere a una Nazione... La mancanza di luce nelle abitazioni urbane, in gran parte causata dall’eccessivo costo del vetro, è unanimemente riconosciuta come una delle maggiori cause della malsanità delle città».
Tassa sui mattoni
Nuova guerra, nuova tassa. Stavolta siamo nel 1784. Infuria la guerra contro le colonie americane e il debito pubblico aumenta vertiginosamente. Il nuovo primo ministro, William Pitt il Giovane, vuole porre un freno a questa emorragia. E così ecco la tassa sul singolo mattone, un’accisa di quattro scellini ogni mille mattoni. Le fornaci così, per diminuire il costo complessivo del nuove costruzioni, si misero a produrre mattoni più grandi. Il governo reagì immediatamente imponendo una misura massima per i mattoni, 150 pollici cubi, pari a 2.500 cm cubi. E la tassa venne alzata altre tre volte, nel 1794, nel 1797 e infine nel 1805, quando raggiunse il record di 5 scellini e dieci ghinee al migliaio. In molte aree del paese si tornò a costruire con il legname.
Tutte queste tasse che abbiamo elencato vennero gradualmente abolite tra il 1845 e il 1851 come residui di un passato ostile allo sviluppo industriale e al progresso.
E l’Italia? Già il Regno di Napoli nel 1263 introdusse il focatico, ben prima della Francia. E l’imposta sopravvisse fino al 1923 nel Regno d’Italia. Per venire sostituita con l’imposta di famiglia, una tassa che aveva lo stesso principio, ma che si pagava solo nei comuni sotto i 30mila abitanti. La tassa in questione venne abolita nel 1974, inaugurando così un breve periodo fino al 1992 in cui l’Italia non aveva imposte sulla casa. Guarda caso, lo stesso periodo dove il debito pubblico crebbe a dismisura.