Antonio Vanuzzo, Linkiesta 15/10/2013, 15 ottobre 2013
ALITALIA A NOI È COSTATA TRE MILIARDI, A LORO 300 MILIONI
Nella delicata partita per la sopravvivenza di Alitalia ci sono almeno due certezze: l’uscita degli attuali vertici della compagnia e le perdite dei soci di Cai, la società depurata dalla bad company costata ai contribuenti 3 miliardi di euro. Se è chiaro dai bilanci quanto ha perso Alitalia – secondo i calcoli dell’Istituto Bruno Leoni 9 miliardi negli ultimi 9 anni, 780 milioni al 30 giugno scorso – molto più difficile è capire qual è il valore di mercato dell’aviolinea. Qui sta il busillis. Secondo indiscrezioni di stampa, la perizia affidata dall’amministratore delegato Gabriele Del Torchio a Credit Suisse stima gli asset dell’ex compagnia di bandiera a quota 150 milioni di euro. Cifra che secondo gli spifferi si sarebbe assestata a 50 milioni nel corso dell’assemblea di ieri notte. Sommando l’aumento di capitale di 300 milioni e i 95 milioni del bond da 150 milioni emesso a febbraio scorso e non ancora sottoscritti, si arriva a 445 milioni di euro.
Banca Leonardo, advisor dell’allora commissario Augusto Fantozzi – oggi richiamata in veste di consulente per curare i rapporti con gli istituti di credito – fissò il prezzo pagato da Cai per Alitalia in 1.051 milioni di euro. Il parere di Rothschild si fermava invece a 931 milioni. Fantascienza rispetto alla situazione attuale: andando a spulciare i conti consolidati al 31 dicembre 2012 dei principali azionisti, si può sostanzialmente affermare che abbiano perso tutto. L’effetto si farà sentire nel 2013, poiché le svalutazioni operate nei mesi scorsi non hanno azzerato completamente l’investimento. Certo, i miracoli sono ancora possibili, ma al netto dell’aumento di capitale una nuova ristrutturazione sarà inevitabile.
Intesa Sanpaolo, secondo azionista dietro Air France (25%) con il 10,1% del capitale, nel 2012 ha consolidato Alitalia a 58 milioni di euro (clicca qui e vai a pag 221). Oggi, 15 ottobre, il Consiglio di Gestione di Intesa Sanpaolo ha deciso di sottoscrivere l’aumento di capitale di Alitalia per un importo pari a 26 milioni di euro e di garantire la sottoscrizione di massimo 50 milioni di euro dell’eventuale inoptato residuo, dopo che le eventuali azioni rimaste inoptate nei 30 giorni previsti per l’esercizio dei diritti di opzione siano state sottoscritte dai soci che avranno sottoscritto tutte le nuove azioni di loro spettanza e da Poste Italiane fino a concorrenza della propria garanzia di massimi 75 milioni di euro, nonché di erogare, all’interno dell’impegno di garanzia all’aumento di capitale, un anticipo fino
a un massimo di 50 milioni di euro. Pertanto, l’impegno massimo di Intesa Sanpaolo a fronte dell’aumento di capitale di Alitalia corrisponderà a 76 milioni di euro.
Alla famiglia Riva, al 10,6% di Alitalia attraverso Fire Spa – e proprietaria dell’Ilva di Taranto – lo scorso settembre sono state sequestrate azioni Alitalia per 71 milioni, cifra che implica una svalutazione di circa 50 milioni sui 120 versati nel 2008. Immsi, holding capitanata dall’attuale presidente di Cai, Roberto Colaninno, che detiene il 7,1% della società ha ridotto da 80 a 43,7 milioni il valore di carico di Alitalia, dopo una svalutazione di 36,3 milioni. La famiglia Benetton, che detiene tramite Atlantia l’8,9% della società e oggi ha smentito il suo impegno a sottoscrivere l’aumento di capitale per 50 milioni, ha iscritto a bilancio l’aviolinea per 41 milioni (clicca qui e vai a pag 147). Come Colaninno, anche gli imprenditori di Ponzano Veneto hanno stralciato di 23,4 milioni il prezzo di carico del vettore. La musica non cambia per Fondiaria Sai (4,4%), l’ex compagnia assicurativa dei Ligresti: -39,6 milioni.
Poi c’è la compagine degli inguaribili ottimisti. Come Carlo Toto (5,3%), l’imprenditore abruzzese che nel 2008 ha strappato un ottimo accordo vendendo la sua Air One ad Alitalia – intascando 454 milioni e liberandosi di 600 milioni di debiti – mantiene le sue azioni al costo storico, 60 milioni. E come la famiglia Orsero, all’1,77% tramite Gfmc: 20 milioni. Il che implica una valutazione della compagnia pari a 1,13 miliardi di euro. Se tutto filerà liscio da qui a un mese, Alitalia varrà meno della metà.
Il condizionale è d’obbligo. Dopo il disco verde dei giorni scorsi, fonti vicine ad Air France riprese dalle agenzie danno al 50% le possibilità di effettiva adesione alla ricapitalizzazione da parte di Parigi. Le Monde dava conto della rabbia dei sindacati, i quali ritengono insensato versare altri soldi dopo il pesante – 2.826 esuberi – ridimensionamento della forza lavoro. L’aviolinea transalpina ha chiuso il 2011 in perdita per 353 milioni, 300 milioni nel 2012 e ha debiti a quota 6 miliardi. Non proprio un pedigree in grado di far dormire sonni tranquilli a piloti, assistenti di volo e personale di terra. Sebbene, come ha ricordato domenica il ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi, un’eventuale diluizione di Air France nella nuova compagine societaria di fatto significherebbe la perdita del diritto di veto su eventuali alleanze, appare molto difficile l’arrivo di altri cavalieri bianchi. Chi entrerebbe mai in una società in cui figura tra gli azionisti il principale competitor? Non Lufthansa né Aeroflot e nemmeno Etihad, che opera già in alleanza con i francesi. Altro che 75 milioni, le Poste ci avrebbero dovuto mettere 2 miliardi. Tanto valeva rischiare il niet di Bruxelles per una cifra quantomeno in grado di rilanciare la compagnia.